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VIAGGIO AD ATITLAN (terza e ultima parte)


Mi sveglio verso le otto del mattino e so già che è andata via.La cerco,  mi reco all’imbarcadero, busso alla porta della suastanza, ma è partita presto, mi dice una donna che fa le pulizie.Trattengo un moto di delusione, pensando che forse la ritroverò in un altro villaggio. Nel pomeriggio parte la barca perSan Pedro, dall’altra parte della laguna.   Passo la mattinata in modo indolente, visitando i negozi di artigianato e vestiti tipici, chiedendo i prezzi, contrattando. Alla fine compro solo due orecchini a un prezzo che mi paresimbolico. Sulla barca c’è un’allegra confusione. Una cinquantina di guatemaltechisiedono ordinati all’interno dell’imbarcazione, mentre una ventina di europei  si stravaccano sul ponte superiore. E’ un trionfodi zaini multicolori, scarpe da tennis  di marca e magliette con l’effigiedi Bob Marley.  Mi  sistemo anch’io sul ponte,  in piedi, e  lascioche il mio sguardo vada alla ricerca degli anfratti della costa. E’ il 24 Dicembre. L’aria è tiepida e il sole che declina proietta striscedi luce  rossastre sull’ acqua increspata. Navighiamo lenti, fermandocinei paesi intermedi che hanno il nome dei dodici apostoli. Arriviamoall’imbrunire alla nostra meta. Un altro vulcano altissimo   domina il  luogo come una gigante  chesovrasti dei pigmei. Una strada  di pietre che sale ripidamente ci portaal paese. Guido una comitiva di italiani che sembra arrivata lì per sbaglioalla ricerca di un hotel. Ne troviamo uno cadente e sporco, ma con unavista magnifica sul lago. La sera ce ne andiamo alla ricerca di una festa. Ci dicono di proseguirelungo la riva del lago. Entriamo  in una casa composta da un unicostanzone.Vi sono una quindicina di persone che bevono,  fumano e urlano  in modo insensato. La musica  che esce  violenta da un vecchio stereo appare incongrua e fuori posto. Gli AC/DC ci martellano conle loro sonorità da isteria. Quando ci congediamo, uno svizzero ci chiededieci quetzales per la festa. Lo mandiamo a stendere. Esco dalla casa barcollando, inizio a camminare a caso verso l’hotel, mentre una lunarossa ed enorme illumina  la scena quasi a giorno. Mormoro “che Natale da folli”, mi butto sul letto.***  Natale è un giorno tranquillo, passato tra la laguna, il paese e la contemplazione dei campi che circondano l’hotel. Ma il giorno dopoprogettiamo un’escursione di gruppo a Chichicastenango, il mercato  più  conosciuto dell’Alto Guatemala.    Chichi è un paese di montagna,  inerpicato a duemila e duecentometri  di altezza. Le cime della sierra  sembrano a portata di mano,  appaiono come rilievi bassi e tondeggianti tappezzati da una fitta  vegetazione. Nel paese ferve un’attività tranquilla. Il mercato occupa la piazza centrale e le quattro strade che vi affluiscono. Sulle scale di pietra della cattedrale,  un gruppo di indigene vendefiori variopinti e forma una macchia di colore dalle tonalità cremisi, gialle e bianche.L’area è colma di bancarelle che vendono vestiti tradizionali, cinturoni di  cuoio e stoffa, gioielli di argento, giada e turchese, maschere di legno, utensili da cucina,  sassi dipinti, spezie, peperoncini rossi e verdi,  cibo cotto sui comales. Si contratta a lungo, si cerca di ottenere prezzitre volte inferiori a quanto viene chiesto, ci si muove in un delirio di colori, forme e odori che saturano i sensi, mentre il sole del primo pomeriggio proietta strisce di luce accecanti  negli spazi liberi da tende e protezioni.Entriamo all’interno della chiesa e rimaniamo colpiti dal silenzio e dal freddo. L’ambiente è completamente spoglio, centinaia di candeleaccese sul pavimento da fedeli inginocchiati danno al luogo un aspetto solenne e spettrale, mentre qualcuno fa uscire da incensieri d’argento nuvole spesse di fumo bianco che s’innalza lentamente e  stordisce.Sulla strada del ritorno, chiudo gli occhi. Vorrei una tregua, unasospensione. Ma le immagini del giorno ritornano con forza em’impediscono di dormire. ***Quando mi sveglio la mattina dopo, mi reco in riva al lago e mi guardo intorno. Sto tre ore buone in silenzio a fissare il gioco delle correnti. Sono arrivato alla mia meta, alla fine. Qui posso riposare, bagnarmi nella laguna, andare in giro in mezzoa campi di mais dell’altezza di un uomo. Posso ascendere sulle pendici dei vulcani spenti. Visitare i villaggi indigeni dell’interno e ubriacarmi diaguardiente in osterie che  assomigliano ad anfratti ricavati nella pietra. Posso finalmente lasciare che i giorni passino, che il vecchio anno ceda  il passo al nuovo, senza l’esigenza di percorrere altre strade,di spostarmi nuovamente alla ricerca di un’idea.Writerhttp://www.writer-racconti.org/