(Edvard Munch, "L'urlo")Dalla strada alle tre del pomeriggio sale un odore acre di bitume, di metallo corroso, di polvere mista a sentori di decomposizione. Il mercato è una distesa di immondizie percorsa da sagome che si muovono a caso, trascinano enormi carriaggi carichi di casse con residui di frutta marcia e scarti di verdura, gettano acqua clorata su quell’oceano di rifiuti, ogni giorno identico a se stesso anche se assemblato da materie diverse ed eterogenee. Un caleidoscopio di liquami, con alcuni motivi ricorrenti: bucce di angurie, pomodori schiacciati, sacchi neri di plastica ricolmi di una materia incerta e putrescente, arance disseminate come sassi su una strada sterrata, topi che frugano a frotte tra carni andate a male, un brulichio di vita che si decompone e viene frettolosamente portata via, nascosta, gettata nelle cloache, in quelle Venezie di merda che abitano i sotterranei delle nostre città. Sto così male che attraverso quella palude in diagonale, evitando il contorno della piazza e i negozi che vendono elettrodomestici, articoli economici per la casa, tappeti persiani e carne macellata all’uso islamico. Mi cola il naso, ho le gambe in preda a crampi, spalanco la bocca per inspirare aria che arriva liquida ai polmoni. Mi comprimo il costato con la mano, accendo una sigaretta con la brace di un’altra, cammino più in fretta che posso, anche se mi reggo a stento in piedi. Quello è il mio uomo. O suo fratello gemello. Mi chiede come sto, domando se ce l’ha, mi mette in mano una pallina bruna di materiale friabile, prende due biglietti da dieci che allungo con dita tremanti, mi saluta con un “see ya, brother”. Adesso devo solo trovare un posto dove farmi, calmare questo movimento di insetti nervosi nelle viscere nelle gambe nella testa. I portici no, neanche il lungofiume. Nei bar non fanno neanche entrare, se chiedi di andare al cesso. Forse nella fabbrica abbandonata, ma non ce la faccio a camminare fino a lì. No, mi farò in mezzo alla piazza, dietro un cumulo di sacchi straripanti di immondizie. Poi mi sdraierò e aspetterò di recuperare un po’ di energia per tornare indietro. Tra sei ore si ricomincia, penso infilandomi a fatica l’ago in vena.Writer
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