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Nella città bianca


Nel mio recente viaggio in Puglia, sono tornato a Ostuni, un luogo di particolare suggestione. Alcune impressioni sulla "città bianca".
Le nuvole. Basse, di forma cangiante, esposte al gioco della luce che le illumina di bianco candido o le rende simili a batuffoli di ovatta grigia. Sospese sul mare blu intenso, un semicerchio nitido delimitato dall’azzurro sbiadito del cielo e dal verde antico degli oliveti. Dove termina il verde sorge su un rilievo la città bianca, un fitto intrico di palazzi quattrocenteschi imbiancati a calce,  edifici signorili di origine aragonese, ricchi di stemmi, balaustre ornate da angeli, colonne e anfore di pietra. Strade a gomitolo  che si trasformano in scalinate ripide, scale che diventano vicoli,  discese che s’allargano all’improvviso in minuscole piazze, in belvedere affacciati sulla campagna, sugli olivi,  le nuvole, il mare. Città bianca, tempo sospeso. Le ore passano con lentezza, segnate dall’innalzarsi e dal digradare della luce. In cima al colle, i dieci chilometri di campagna e l’Adriatico appaiono come una cartina geografica in rilievo, quasi didascalici nella loro ampiezza e nella definizione dei colori. La cattedrale gotico-romanica  con il grande rosone centrale a raggiera che domina la facciata come un occhio alieno di civiltà scomparse modifica la monocromia del centro storico. Entro in chiesa, mi soffermo a guardare le cappelle laterali, il Cristo di legno.  Sono colpito da un quadro che raffigura un santo con le braccia allargate, un’espressione enfatica sul volto, sullo sfondo di una città astratta e indefinita, ai suoi piedi un osceno manichino smembrato, il corpo separato dagli arti e dalla testa, forse un’allegoria delle false fedi. Volgo il capo verso l’alto e vedo dipinti enormi che coprono la superficie del soffitto. Esco e inizio a camminare a caso seguendo una strada risplendente come neve,  scorgo la cinta muraria candida come la città, bianco su bianco, uniformità interrotta solo da finestre dipinte di  verde e blu che fanno da contrappunto agli alberi e al mare.Spira a tratti un vento teso e fresco che fa presagire l’autunno,  mi dirigo verso la casa che mi ospita.  Il giovane che mi affitta la stanza sembra quasi scusarsi con me, come se l’abbassamento della temperatura fosse il prodotto di un suo errore personale. Lo rassicuro. Non ho desiderio di caldo, di giornate bollenti e immobili, passate ad aspettare la frescura illusoria della notte, voglio coprirmi con giacche leggere, dormire con una coperta, dimenticare quest’estate che volge al termine, trascorsa tra una Torino afosa e l’altopiano umido dove sorgeva Tenochtitlán. Do un’occhiata all’ambiente spazioso, un locale con un tavolo, un letto, un comodino, una cassettiera, la televisione, la finestra che da' sul vicolo e la scalinata. Mi affaccio verso la luce che  si accende di riverberi giallo e rosa.Tiro su la cerniera del mio ki way   e mi tuffo di nuovo nel gomitolo di strade della città bianca.Il mio sito