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In Fuga


Un frammento di un racconto incompiuto. Si accettano idee su come continuarlo :-)
                               ("La fuga", foto da web) Angelo  s’incamminò lungo una strada bianca che sembrava fatta di  perle polverizzate, di talco  di avorio, simile a una spiaggia di sabbia fine impalpabile. Si guardò intorno con un lieve movimento della testa. Grondava sudore, il sole  era una bolla ustionante, proprio davanti a lui. Si schermò gli occhi con le mani sentendo gravare sul corpo una stanchezza  feroce. Si voltò un attimo verso la costruzione da cui era uscito, un complesso turistico gigantesco che violentava la montagna grigia con i suoi colori blu e arancio. Era poco più di un punto in lontananza, ma conservava la sua mole spropositata, un ferro di cavallo buttato su un promontorio roccioso, quattrocento stanze disposte su sei piani,  due piscine fredde, una piscina riscaldata, una caduta d’acqua su pietre finte che le collegava, sette bar, quattro ristoranti, una sala concerto, qualche palma solitaria  e tre file di lettini a righe bianche e blu rivolti verso il mare. Accelerò il passo, anche se mancavano più di tre ore al tramonto. Doveva andare via da lì, a qualunque costo. Arrivare in paese prima del buio, prendere un taxi, andare in aeroporto e sparire.Lasciando i suoi effetti in stanza, come se avesse deciso all’improvviso di fare una lunga passeggiata. Senza noleggiare una vettura, senza usare la carta di credito, senza lasciare tracce che lo avrebbero reso visibile. “Sono carne morta”, il pensiero lo colpì con violenza,  gli venne da sorridere controvoglia pensando al film che glielo aveva ispirato. Si fermò un istante per detergere il sudore che gli scorreva dalla fronte, guardando alternativamente verso il mare e la montagna.  Vide solo un’estensione di arbusti bassi e licheni rossicci su rocce minerali e un mare blu che terminava il suo corso frangendosi su spiagge sassose.Si accese una sigaretta, sentendo il fumo che inspirava più fresco dell’aria. Riprese a camminare con passi regolari. Non riusciva più a scorgere l’hotel. La strada saliva su un falsopiano abbacinante, bianco e cenere.  Arrivò in cima a una collina bassa, sentendosi esausto. Da lì, aguzzando la vista, poteva scorgere il campanile che dominava il paese di Entre Rios.Entre Rios,  strano nome per un paese che non  era circondato da fiumi,  ma che si affacciava su un oceano inquieto, separato dalla costa Africana da un braccio  di mare solcato da barche di clandestini  e disperati alla ricerca di lavoro e di una speranza di vita migliore. “Ma anche quei disperati hanno una condizione migliore della mia”, pensò Angelo buttando via il mozzicone delle sigaretta, mentre riprendeva la sua strada che lo conduceva verso l’abitato invisibile.WriterIl mio sito