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Il nucleo


Pubblico un brevissimo racconto che fa parte del mio nuovo romanzo "I racconti del ripostiglio" che vedrà la luce all'inizio del 2008. Dedicato a chi sente svanire i propri ricordi...
                                             (Jackson Pollock)Lascio scivolare via giorni, settimane, mesi, anni, ripetendo le solite cose. La casa, il perimetro che unisce il letto alla sala, al bagno, alla cucina. Osservo oggetti consunti da troppa stanchezza, resi sottili da uno sguardo che li passa da parte a parte senza riconoscerne senso e funzione. E’ passato tanto di quel tempo da quando rotolavamo avvinghiati  sulla  neve che conservo solo il ricordo delle tue mani paffute. Non riesco a rammentare bene neanche il volto –che m’immagino dovesse essere arrossato per lo sforzo-, come vestivi e l’espressione dei tuoi occhi. Non è perdita di memoria, i miei quarantasei anni sono troppo pochi per tale evenienza. Solo un alone opaco intorno agli oggetti, simile a un velo di bruma che  rende incerte le forme, le  risposte a domande di cui colgo poco più di un’eco, le sensazioni che altri mettono insieme  mediante un flusso immaginario di  eventi disposti intorno a sé come un mazzo di carte.A volte mi risuona nelle orecchie una musica di violini aspra e ripetitiva, sedimentata in qualche angolo poco illuminato dei ricordi. Eppure doveva essere importante, mi sembra di risentirne il timbro acuto, lo stridio simile a uno stormo di uccelli che si leva compatto in aria  per salutare il giorno che svanisce. Rimane così poco del passato che, a volte, mi fermo perplesso, con le mani in tasca e lo sguardo rivolto verso il basso, alla ricerca di  tracce, di indizi che possano rivelarmi cosa ho sentito, cosa avvertivo, come reagivo alle parole e alla luce.Ogni tanto arriva  un  ricordo sotto forma di immagine frammentaria: una persona che mi parla, una distesa di campi bianchi, filari di pioppi, un  cane che corre in circolo cercando di afferrarsi la coda,  un mercato colmo di patate e zucche. Ma non riesco a unire le immagini in scene e fabbricare sequenze  che mi restituiscano la pienezza dei giorni.Neanche tu, di cui pure intuisco il ruolo di compagna di giochi – amica, sorella, forse ragazza promessa-, riesci ad assumere  una consistenza piena. Della tua voce conservo solo l’intonazione  acuta e gioiosa, dei tuoi vestiti un cappotto grigio, del tuo volto  il biancore della pelle. E’ come se in me  il nucleo di identità che tiene insieme,  permette di riconoscere mediante confronto e differenza, fosse eroso, stanco,  tendesse a rallentare fino a fermarsi,  come un pianeta  prossimo a estinguere il proprio movimento interno e a  sterilizzare le forme di vita che ospita sulla propria crosta terrestre.Mi piacerebbe potermi rifugiare in una malattia, in una sindrome che renda comprensibile questo affievolirsi della vita, qualcosa che richieda farmaci, cure  basate su stimoli elettrici o parole rivelate, ma  nel mio universo non c’è posto per pastiglie o terapie.Solo lo scorrere di giorni identici come se fossi morto da tempo. Writer