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"Diecimila e cento giorni" è stato pubblicato!


La prima sensazione è lo sconcerto. Guardo la copertina perplesso, come se contenesse una fotografia sconosciuta, la prua di una barca a motore sullo sfondo di acqua increspata, vegetazione tropicale esuberante e un cielo a volta dal colore intenso. Eppure l’ho vista tante di quelle volte che il viaggio sulle rive dell’Usumacinta mi appare recente, quasi non fossero passati più di tre anni da quando mio figlio e io ci siamo avventurati nel cuore segreto del Chiapas. Guardo il dorso del libro, solido, ampio, che sembra contenere più delle 230 pagine di testo, lo giro, leggo la quarta di copertina, Apro il libro con cautela, come se temessi di trovarmi di fronte alla scrittura di un estraneo a cui ho prestato nome e cognome o a un insieme di pagine bianche beffardamente numerate. Leggo una pagina a caso. “Riccardo si sente male verso le quattro del mattino. Si sveglia con la sensazione di qualcosa che striscia verso di lui. Si siede sul letto, tastando con le mani la superficie del materasso. Non trova nulla, solo un lenzuolo attorcigliato dai movimenti nervosi del suo corpo durante il sonno. Si alza, va in tinello, accende la luce, si siede sul divano. Di nuovo quella sensazione di una presenza che si muove e gli viene incontro, facendo vibrare il pavimento. Balza in piedi, scruta per terra, non vede nulla, se non le mattonelle impolverate e lievemente incrostate dalla sporcizia rappresa. Va in bagno quasi di corsa, si chiude a chiave, prende due compresse e le inghiotte senza acqua, sforzandosi di deglutire, anche se sente la bocca arida e secca. Adesso il rumore strisciante è fuori della porta del bagno, sembra che voglia scivolare sotto e riemergere dall’altra parte. Riccardo respira rumorosamente, cercando di inalare aria, si dice “non è nulla, non è nulla” con il tono di un bambino terrorizzato dal buio. Pensa che deve aprire la porta e uscire, si è messo in gabbia da solo. Mentre gira la chiave per mettersi in salvo, avverte che il rumore è entrato dentro di lui, gli vibra in testa con un suono simile a quello di un rettile che si muove lungo le pareti del cranio…” Adesso non mi sento più sconcertato, leggo le pagine in modo disordinato, torno indietro, salto da un punto all’altro, balzo in avanti, leggo le epigrafi che introducono ognuna delle quattro parti del romanzo. Sento venir su un’ondata di calore che s’irradia dalla bocca dello stomaco e, all’improvviso, vengo assalito da un’assurda allegria, ho un desiderio trascinante di GRIDARE A TUTTI che il mio romanzo è uscito, esattamente un anno dopo che avevo iniziato a scriverlo, in una Torino precocemente autunnale e grigia, in un giorno identico a questo. Mi attacco al telefono, mando una decina di mail, non riesco a stare fermo. Ho scritto il testo con un coinvolgimento violento, non potevo smettere di scrivere, continuavo fino alle tre, alle quattro del mattino, impastando fantasie, trasfigurazioni di eventi vissuti, luoghi e condizioni di vita. E’ curioso che mi venga in mente tutto questo proprio nel momento in cui il romanzo cessa di essere mio per diventare qualcosa che ciascun lettore filtrerà attraverso la propria griglia di significati, di percezioni, di sensibilità personali. Però, vi confesso, oggi mi sono sentito come un adolescente al suo secondo appuntamento d’amore, quello in cui scoprirà se la ragazza cui vuol bene sarà disponibile ad andare oltre un semplice bacio…Claudio "Writer" MartiniWriter_@libero.ithttp://www.writer-racconti.org/Claudio Martini, "Diecimila e cento giorni", Besa Editrice, 228 pagine, 13 euro.