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Sterilità creativa


Qualche giorno fa ho provato a narrare una storia. Evidentemente attraverso un periodo di sterilità creativa, perché è venuta fuori questa roba inclassificabile... :-)
 E’ un tormento mettere insieme  le parole. Un po’ come versare secchi d’acqua su un torrente in secca. Si formano ridicole pozzanghere che non coprono neanche le pietre del letto del fiume.  Eppure ci sarebbero tante cose su cui scrivere: le madri e le nonne della Piazza di Mayo, lo squallore del governo attuale, il presente che scorre via con il suo carico di piccoli drammi amorfi,  i genitori che invecchiano, la crisi finanziaria, l’esplosione di energie rivolte contro se stessi, il lento declinare del piacere della vita.Una storia, datemi una storia. Una storia qualunque, ma bella. Una donna  che si guarda allo specchio e ricorda un passato di sfide e solitudini; un ragazzo che s’innamora nella Lisbona del 2043 di una ragazza angolana con il corpo tatuato da farfalle dalle ali aperte; un impiegato che trova un sistema per vincere al Superanalotto, ma dimentica  la ricevuta nella sua macchina che gli viene rubata; un viaggiatore che intraprende   il suo ultimo viaggio verso Ovest e si perde tra Los Angeles e il Giappone insieme alla sua nave. Una storia, ma quale? Non voglio parlare di me, mi sembra di aver esaurito le possibilità a disposizione, l’intero repertorio della mia vita, tra un’adolescenza conflittuale e cieca, una giovinezza a cavallo tra l’Italia e l’America Latina, una maturità precocemente  immobile e l’avvio di un declino animato da sussulti, da desideri di amare e di narrare che, un po’ per volta, s’inaridiscono. Guardo le linee della mia mano, formano un reticolo di deviazioni e segmenti che s’incrociano. Non distinguo bene la linea della vita,  mi pare che si voglia arrestare a metà, poi riprende con un solco labile che si perde nell’attaccatura del polso. La linea del cuore e quella della testa sono attraversate  da linee minori che pare vogliano congiungerle, creare un ponte tra ragione e sentimento. Della linea del destino non so nulla, come nessuno, visto che il destino non è nelle nostre mani, anche se c’è chi pensa il contrario. Una storia, una storia che non sia quella di un uomo che  ha passato i cinquanta e che sente languire dentro di sé desideri, che vede la sua vita come due solchi paralleli tracciati in profondità e da cui è sempre più difficile uscire. Una storia che emozioni innanzi tutto chi la scrive e che venga letta con interesse da chi la  vede scorrere davanti a sé lungo le pagine del testo.Ho provato a descrivere la vicenda di un uomo che intraprende il suo viaggio estremo verso San Diego, dove lo termineranno, lo uccideranno con un cocktail di farmaci indolori e legali, nel 2027. Ma l’ho fatto viaggiare in luoghi che non conoscevo e il mio personaggio si è perso in un Kazakistan di cui non so nulla, a eccezione della visione grottesca che ne fornisce ”Borat”, un luogo di malaffare abitato da puttane, antisemiti, masturbatori incalliti, ladri e  ricettatori. E non ho voglia di farlo tornare su rotte conosciute, come un Antonio Nasar del futuro, verso Lisbona, l’Atlantico, il Messico, la bassa California, San Diego.Eppure tra Lisbona  e il Messico qualcosa è rimasto, un insieme di ricordi che non stingono come calzini lavati male, suggestioni che collegano il Bairro Alto con  le spiagge di Oaxaca, le dune di Carrapateira e le architetture coloniali di Guanajuato e Zacatecas, le stradine dell’Alfama e gli assi stradali che attraversano il Distretto Federale.Strano, quando torno in Portogallo o in Messico respiro l’aria di un tempo, rivedo persino il traffico demente che assedia la capitale con affetto, scorgo le case a due piani che lambiscono le arterie a otto corsie con piacere, il segno che quella città è rimasta in piedi, anche se aumenta di 300.000 persone ogni anno. Poi, un po’ per volta, inizio a cogliere un’estraneità che s’insinua in me: non è la città a essere cambiata, sono io e questa realtà mi colpisce come una rivelazione seccante e inopportuna, ma vera, vera come un’emicrania e fastidiosa come il senso di affanno legato all’altezza.Una storia, voglio una storia.Avanti, iniziamo.Writer