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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
SOLIDARIETÀ CON RED LADY E CON LOCANDA ALMAYER!
« Milano, venerdì 20 Giugno | Free chat (quarta parte) » |
A Milano è andata bene. La presentazione si è trasformata in un dialogo a più voci su alcuni temi che il mio romanzo affronta: il rapporto tra lettura e scrittura e tra autore e personaggi, la memoria, l'identità, l'abbandono. C'era un clima partecipe e complice, come se fossimo un gruppo di vecchi amici che si è ritrovato dopo un paio di anni di assenza. In effetti, erano due anni che non tornavo alla "Odradek". L'ultima volta avevo presentato il mio "Diecimila e cento giorni". Un ringraziamento particolare a Fabio, che ha presentato il libro facendone una disamina intelligente e a Felice e Anna, i gestori della libreria, che sono intervenuti nel dibattito con competenza e autorevolezza. Un saluto ad Angela, che ha rappresentato i blog di Libero, e a Chiara di F.I.A.E.
Minnie era andata via. Da qualche giorno, complice una bolletta telefonica troppo alta, forse rattristata dagli eccessi della gelosia virtuale, non si faceva viva. Tutti rimpiangevano la sua grazia un po’ ingenua, la voglia di mettersi in gioco, il coraggio nel dichiarare le sue debolezze e, forse anche, la sua volubilità.
Anche Moro, dopo qualche apparizione con nuovi alias e patetiche lamentazioni (“Mi hanno portato via la ragazza per davvero, poi vi farò sapere…”), aveva diradato le sue presenze fino a scomparire. Ma lui aveva un nome e delle cariche pubbliche da tutelare.
Je@n faceva incursioni fugaci come una stella cadente. Il tempo di mandargli un messaggio e lui svaniva, risucchiato da altri interessi o da software che gli consentivano di parlare con interlocutori selezionati.
Cyrano, Chiarcollo, P. ed Escribidor, invece, continuavano a scambiarsi messaggi ellittici e sovrapposti. La ricezione non concordava quasi mai con l’emissione e si creavano distorsioni temporali esilaranti e incongrue. Si faceva finta di nulla e si proseguiva, tanto si poteva supplire alle incomprensioni, alle cadute e agli equivoci con i messaggi di posta elettronica.
Finché un giorno…
***
Non ho tanta voglia di collegarmi questa sera. Ormai è quasi un mese che da mezzanotte alle due scambio messaggi con i frequentatori della chat. E’ divertente, ma insomma… Se per una volta, salto l’appuntamento, magari domani la trovo meno ripetitiva. Che faccio, partecipo alla cena del 9? A Firenze, devi essere matto. E se poi ti ritrovi con una ventina di mocciosi che si lanciano battute da caserma e sanno tutto di hardware e programmazione? Certo un po’ mi dispiace. Mad Sam si è fatto un mazzo così per organizzare tutto e sembra che ci siano numerosi adesioni. Ci va Highlander, V@mpiro ha assicurato la sua presenza, anche Elwood e Pablo sono della partita. Purché non vengano anche Tyson, tre o quattro Anonymous e Passerotta, che si fa chiamare anche Il Pervertito e spara oscenità sanguinose. Me li immagino, nella vita reale, inappuntabili funzionari del parastato o dirigenti di imprese assicurative che si rilassano dalle tensioni accumulate durante il giorno, concedendosi il lusso di spargere merda su sconosciuti, poiché con i conosciuti è più complicato.
Curiosa tutta questa vicenda. Il virtuale ed il reale. Forse è più interessante il primo, anche se è un peccato, pensandoci bene. Se il virtuale è il luogo dei tuoi desideri, delle pulsioni, ti viene voglia necessariamente di soddisfarle. Ma, per fare questo, devi passare per forza al reale, e se la realtà ti delude, i tuoi impulsi rimangono inappagati. Come dire che l’idea di mangiare un vasetto di marmellata è migliore che mangiarsela veramente. Che idiozie sto pensando? Forse troppo computer mi fa andare il cervello in pappa. Meglio spegnerlo e leggere un buon libro. E adesso, il telefono? Cristo, la tecnologia non ti lascia in pace neanche un minuto. Chi sarà mai a quest’ora?
***
- Pronto?
- Ciao, sono Marzia
- Marzia?
- Ma sì, sono io, quella che si fa chiamare Minnie
- Minnie?
- Non sei capace di fare altro che ripetere nomi?
- No, scusa, è la sorpresa. Come hai fatto ad avere il mio numero?
- Dimentichi che nel racconto che mi avevi mandato via mail c’era anche il tuo nome e cognome?
- Ah, è vero. Come stai? Dove sei?
- Sono qui a Torino, e non sto molto bene
- Perché, che è successo?
- Poi ti racconto, non ti secca se mi fermo un paio di giorni da te?
- Da me? Figurati, lasciami solo avvisare Jasmine
- Chi è Jasmine?
- E’ la compagna di ESCRIBIDOR, se vuoi è la escribidora
- Ah, non sapevo avessi una moglie, non ne avevi fatto alcun cenno
- A dire la verità, nessuno me lo ha chiesto
- Va buò, lasciamo perdere…
- Ma no, scherzi? Ti ospito volentieri. Dove ti trovi adesso?
- Dalle parti di Porta Palazzo
- Non è una gran zona, a quest’ora. Prendi un taxi, io sto a Santa Rita. L’indirizzo lo sai, visto che mi hai telefonato. Ti preparo qualcosa da mangiare
- Grazie, Marco, ti posso chiamare così, vero?
***
“E adesso che le racconto? Cosa le dico? Questa è Minnie, la fidanzata di Topolino? No, è Marzia che, in realtà, si fa chiamare Minnie, sai quella che stava con Moro e che poi ha scelto Cyrano? Minimo mi prende per pazzo, massimo s’incazza sul serio. Che tragedia, devo inventarmi qualcosa”.
Marco incominciò a correre in cerchio, mentre decine di idee gli si affastellavano in testa. Era anche contento. Mise su l’acqua della pasta, rifece il letto, fumò tre o quattro sigarette in mezz’ora, si mise una camicia pulita, iniziò a preparare il sugo. Era quasi mezzanotte. Marzia sarebbe arrivata tra una decina di minuti, Jasmine, di ritorno dai suoi seminari, tra un’ora.
Forse la cosa migliore era dire la verità nuda e cruda. “Mi ha telefonato Marzia, di passaggio a Torino e mi ha chiesto se poteva fermarsi da noi.”. Il suono del campanello lo fece sobbalzare. Aprì il portone, si accese una sigaretta, incurante di un’altra che bruciava a metà, diede una giratina al sugo, lasciò socchiusa la porta di casa, si lavò le mani e disse “avanti”, quando sentì un timido colpo dato con le nocche della mano.
Era molto più giovane di come l’aveva fantasticata, sembrava una ragazza di 18 o 19 anni, con i capelli ondulati e spioventi, il viso ovale, labbra sottili e un orecchino al lobo sinistro. Indossava un' elegante giacca a quadri, pantaloni di cotone bianchi e un paio di incongrue scarpe da tennis alte.
- Sei diverso da come ti avevo immaginato
- Sì?
- Pensavo fossi più magro e senza barba, forse un po’ più giovane
- Te l’ho scritto che il virtuale non deve trasformarsi in reale, pena cocenti delusioni
- Ma io non sono affatto delusa, solo che ti pensavo diverso
- Hai fame?
- Un po’
- Vieni, accomodati, ti do intanto un bicchiere di vino
- E tua moglie?
- Ritorna tra mezz’ora, è andata a un seminario di Antropologia
- Sono in un grosso guaio, Marco
- Ma che dici. Cosa può essere successo?
- Colleghiamoci alla chat, forse riesco a spiegartelo.
IL MIO ROMANZO
CLAUDIO MARTINI
"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
BESA EDITRICE
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)
LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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