In punta di penna

RACCONTO DI NATALE


 
Solo. Di una solitudine voluta, cercata, strappata alla vita, agli affetti, nel tempo sempre più radicata nel terreno arido della sua anima. Era diviso in due e le due parti non collimavano, erano animate di  vita propria. Quella che mostrava tra i mille impegni in cui anestetizzava la mente,  un antidoto al vuoto che lo divorava e l’altra, quella vera, spaventosa, amica,  quella che lo guardava una volta chiusa la porta di casa.Viveva  con i suoi fantasmi nello splendido attico che guardava i tetti della città, una fortezza difficile da espugnare, come le sue resistenze ad aprirsi, quasi a credere che gli oggetti costosi  dei quali si era circondato potessero animarsi e dargli le risposte che cercava. Non c’erano risposte perché aveva paura, paura di guardarsi dentro, indagare. Davanti allo specchio rimaneva impassibile. Guardava i suoi occhi riflessi che non lanciavano nessun segnale, erano fissi, lucidi, nessuna lacrima usciva da quelle fosse inghiottite da un dolore muto da lungo tempo. Era la Vigilia di  Natale e il telefono squillava. La segreteria era colma di chiamate senza risposta.  Lasciò che suonasse e uscì. Non aveva nessuna intenzione di accettare inviti a unirsi agli assembramenti natalizi di parenti e amici .Nevicava da qualche ora, gli alberi ammantati brillavano sotto la luce dei lampioni, le strade trattenevano la neve che si era fatta più pesante.Anche la sua anima era pesante ma nel camminare sentiva un certo sollievo. Immerso nell’oblio dei suoi pensieri non si era accorto che qualcuno lo stava seguendo. Si girò di scatto e notò, quasi sommerso dalla neve, un cucciolo di cagnolino che zampettando a fatica, cercava di assecondare il suo passo. Intirizzito, scheletrico, sembrava allo stremo delle forze, eppure era riuscito a seguirlo ed ora si era accucciato mentre il codino si muoveva ritmicamente sollevando la neve soffice intorno.  Dall’alto della sua statura  ne colse lo sguardo smarrito, timoroso e il sempre più flebile guaito. Si accovacciò accanto alla povera bestiola, la raccolse, la infilò dentro il cappotto cercando di trasmetterle un po’ del suo calore e con passo veloce si diresse verso casa.  Nel tepore dell’ambiente il cagnolino si rianimò, mostrò di avere fame e mangiò qualche briciola di pane. Si addormentò nell’incavo del suo braccio e mentre la mano accarezzava quel pelo arruffato, dentro di sé qualcosa si stava sciogliendo. “Probabilmente è stato abbandonato”, pensò. A quella parola trasalì e un mare di emozioni lo travolse. Anche lui era stato abbandonato o – meglio - così credeva,  proprio da chi aveva di più caro al mondo,  Ada, che dopo aver lottato mesi contro un cancro,  si era arresa lasciandolo solo, impietrito dal dolore. La sua morte l’aveva avvertita come un affronto, un insulto alla sua felicità - appena abbozzata - al suo benessere, non l’accettava e aveva chiuso con la vita covando un rancore muto  contro colei che nel suo egoismo amoroso riteneva essere la principale responsabile della sua sofferenza. Un cambiamento di posizione del cagnolino lo distolse dai suoi pensieri. Sorrise.Come avrebbe chiamato il cucciolo, anzi la cucciola dopo una più attenta occhiata. Rina, l’avrebbe chiamata Rina, come Rinascita, miracolosamente avvenuta la notte di Natale attraverso quell’esserino spaurito che si era trovato sulla sua strada. Quanto cammino avrebbe ancora dovuto fare per affrancarsi dal dolore che accompagnava i suoi giorni. L’avrebbero fatto insieme.