Ambiente e politica

"Terapie innovative" ed "orfani finanziari": i grandi interessi di Big Pharma nella guerra contro il cancro - Parte prima


 Il King's College e la London School of Economics hanno esaminato i trattamenti oncologici approvati dall'Agenzia Europea del farmaco tra il 2009 e il 2013: il risultato della ricerca è stato che su 48 trattamenti approvati per 68 differenti indicazioni, 39 di queste, ovvero ben il 57%, sono state ritenute inefficaci per quanto concerne un miglioramento della qualità di vita o della soppravvivenza dei pazienti oncologici. Coordinatore dello studio è stato il dott. Courtney Davis, che così ha commentato: "Quando farmaci costosi che mancano di un'evidenza robusta sul beneficio clinico per il paziente vengono approvati e rimborsati dai fondi pubblici dei sistemi sanitari, si tratta di uno spreco di fondi pubblici e danno per i pazienti ... Abbiamo valutato per 5 anni le evidenze cliniche di efficacia di tutti questi nuovi farmaci ed abbiamo scoperto che la maggior parte di questi è entrata sul mercato senza chiare evidenze d'efficacia". Il prof. Naci Huseyin, ricercatore nel Dipartimento di politica sanitaria della London School of Economics e uno dei coordinatori dello studio, stupito che farmaci antitumorali entrino nel mercato europeo senza dati chiari sull'allungamento della vita dei pazienti ed una miglior qualità di vita, ha dichiarato: "C'è una evidente necessità di alzare il livello per l'approvazione di nuovi farmaci antitumorali". Farmaci chemioterapici che vengono proposti come "terapie innovative" di fatto non presentano alcun reale vantaggio rispetto a terapie già esistenti o, addirittura, a non seguire alcun trattamento. I pazienti, a volte, vengono spinti a rinunciare a terapie che avrebbero potuto portare dei benefici per seguire invece questi trattamenti "innovativi" che inducono false speranze per i pazienti ed i loro familiari. Tali temi sono stati abbondantemente discussi sulla stampa specializzata e trattati sulla rivista "Organisms". Tuttavia questi argomenti non hanno trovato che pochissimo spazio sulla stampa divulgativa e nella diffusione al grande pubblico. Il prof. Mariano Bizzarri, direttore del Laboratorio di Biologia Sistemica presso il dipartimento di Medicina Sperimentale dell'Università La Sapienza e presidente scientifico di un importante congresso internazionale: "Where are the Biological Sciences going?", organizzato lo scorso anno dall'Università La Sapienza di Roma, afferma: "L'introduzione dei farmaci mirati contro specifici bersagli non ha apportato i benefici promessi. Questo perché anche bloccando una via o una molecola, il tumore può aggirare l'ostacolo attivando percorsi ridondanti di attivazione biochimica. I nuovi farmaci non solo non migliorano significativamente la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumori solidi, ma spesso comportano inaccettabili effetti collaterali. Per non parlare del costo esorbitante (50-100.00 euro/paziente/anno) che difficilmente anche una nazione ricca potrebbe sostenere ... Per questo occorre indirizzare la ricerca verso soluzioni alternative, come quelle offerte dalla 'network polypharmacology', il trattamento capace di colpire più bersagli contemporaneamente".                In un recente studio sulle cause di decesso condotto su 1807 pazienti sopravvissuti al cancro, è emerso che, in un follow up di 7 anni, il 33% dei pazienti muore per disturbi cardiaci e il 51% invece per la patologia per la quale era in cura, ovvero il cancro. Evidentemente, un paziente su tre muore a causa dei trattamenti oncologici e non per il tumore in sé. Tutto questo si potrebbe evitare se, prima di qualsiasi terapia oncologica, si venisse seguiti da una struttura cardioncologica per individuare e curare eventuali fattori di rischio cardiovascolari come ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, diabete, ed intervenire in caso di patologie cardiache come la disfunzione ventricolare sinistra, la cardiopatia ischemica, aritmie, problemi tromboembolici e in caso di urgenza cardiovascolare. Nicola Maurea, direttore della Struttura Complessa di Cardiologia del Pascale di Napoli, avverte: "Spesso, mentre si è tutti concentrati ad eliminare il cancro, questi problemi non sono purtroppo riconosciuti, o non vengono adeguatamente trattati: un errore di prospettiva, anche perché la presenza di fattori di rischio cardiovascolari non trattati aumenta il rischio di eventi avversi cardiaci a seguito della chemioterapia o della terapia con farmaci biologici. Fondamentale, inoltre, che il cardiologo che prende in cura il paziente sia continuamente aggiornato sui farmaci oncologici utilizzati e sulle loro interazioni con i farmaci cardiologici con cui trattare il paziente".              Un grande problema per l'oncologia è costituito dal conflitto di interessi. Lo rivela l'indagine sul conflitto di interessi tra oncologi e industria del farmaco realizzata dal Cipomo (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e pubblicata nel 2018 sul British Medical Journal. Sono stati coinvolti 321 oncologi in tutta Italia, pari al 13% degli oncologi di ruolo. Dall'indagine "emerge quindi un'urgenza reale: tra gli oncologi il conflitto interessi è percepito come un problema importante che può influenzare costi e qualità dell'assistenza medica". Il Cipomo ha stilato in un documento ufficiale delle raccomandazioni con l'obiettivo di "dirigere l'Oncologia verso i principi di trasparenza e correttezza, facendo maturare nei clinici una più precisa consapevolezza circa la natura e le potenziali conseguenze del conflitto di interessi". Fra le raccomandazioni, la sfera della ricerca è da "tutelare dall'influenza degli interessi commerciali". Inoltre, l'interazione tra l'industria e i clinici dev'essere fondata sulla "trasmissione di informazioni utili a migliorare la qualità delle cure e non all'induzione alla prescrizione (farmaceutica)". La formazione "non deve rappresentare uno strumento di marketing ma migliorare la qualità delle scelte cliniche". Il presidente del Cipomo, Mario Clerico, afferma che il documento "non vuol essere una denuncia ma un invito alla consapevolezza. L'industria farmaceutica sponsorizza i congressi medici e contribuisce a gran parte della loro formazione. Dunque, i clinici devono porre particolare attenzione quando scelgono fra diverse possibilità di trattamento. La scelta deve basarsi sui valori e sulle evidenze, non sulle convenienze".     Altro nodo fondamentale è quello del prezzo dei farmaci antitumorali. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli oncologi incontrano sempre più spesso pazienti che scelgono di non curarsi a causa del costo proibitivo delle terapie, che lascerebbe le famiglie in stato d'indigenza. Infatti, pur disponendo di una polizza assicurativa sanitaria (e non tutti ce l'hanno), vi è una quota delle spese da sostenere direttamente, che ammonta circa al 20%. Dice Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo): "Il costo dei trattamenti anticancro continua a crescere vertiginosamente". In dieci anni il prezzo dei farmaci antitumorali è raddoppiato, passando mediamente da 4.500 dollari ad oltre 10.000 al mese. "Un anno di terapia costerà all'incirca 120.000 dollari e il 20% di tale somma corrisponde a quasi la metà del reddito medio di una famiglia americana: come dire che, per curare il cancro di uno dei componenti, tutti gli altri dovranno rivedere il proprio standard di vita".              Sono stati rilevati aumenti, nel settore dei farmaci antitumorali, dal fabbricante del solo principio attivo Api (Active Pharmaceutical Ingredient, come viene chiamato in gergo il principio attivo) al farmaco finito di più di un milione di volte, con un incasso gigantesco nella filiera della produzione e distribuzione. Un caso esemplificativo è quello avvenuto anni fa con il Leukeran della Aspen, un antitumorale particolarmente indicato nei linfomi non-Hodgking. In Italia costava 7,13 euro la confezione da 25 compresse rivestite da 2 mg: scomparso dal mercato italiano per parecchio tempo, fu distribuito dall'azienda produttrice in altri Paesi dove il costo per i cittadini era maggiore oppure fu venduto online a cifre largamente maggiori, a scapito di controlli e sicurezza. Ritornò in vendita il primo aprile 2014, nelle farmacie italiane, con una novità: il prezzo della confezione era passato dai 7,13 euro a 94,95. Classificato in classe A era a carico dello Stato con ticket, ma la molecola rimaneva la stessa: non vi fu quindi alcuna spesa aggiuntiva per studi clinici e per l'autorizzazione all'immissione in commercio, risalente all'anno 2000. L'Aifa approvò la rinegoziazione del costo del farmaco, il 17 marzo 2014, senza batter ciglio.    Jake Bernstein, giornalista del team International Consortium of Investigative Journalist (ICIJ), vincitore di due premi Pulitzer ed autore per molte importanti testate (come "The Washington Post" e "The Guardian"), scrisse un lungo articolo nel 2014 per l'organizzazione americana senza scopo di lucro "ProPublica", dove denunciò come gli enormi interessi delle industrie farmaceutiche stessero ostacolando la guerra contro il cancro: "Per far approvare un farmaco antitumorale ci vuole circa 1 miliardo di dollari. Le aziende che investono, sperimentano solo farmaci brevettabili il cui eventuale impiego possa compensare lo sforzo economico richiesto. In tali condizioni, le soluzioni poco costose - anche se potenzialmente promettenti - non saranno mai esplorate a fondo".      Nel suo articolo, Bernstein narra la storia del fisico americano Michael Retsky, dedicatosi alla ricerca sul cancro nei primi anni ottanta e per più di dieci a modellare la crescita dei tumori del cancro al seno. Ad un certo momento della sua vita, dovette egli stesso affrontare improvvisamente un brutto tumore al colon: risvegliatosi dall'anestesia dopo un intervento, fu informato che il tumore si era già diffuso in quattro linfonodi ed aveva oltrepassato la parete intestinale. Retsky non aveva bisogno di nessuno per la sua prognosi: sapeva già che, in assenza di chemioterapia, vi era un 80% di probabilità che il cancro tornasse. Anche con la terapia, vi era comunque il 50% di probabilità di recidiva. "Il trattamento standard era brutale", scrive Bernstein: "Sei mesi della più alta dose di chemioterapia che il corpo potesse sopportare e, dopo, nient'altro che la speranza". Ma Michael Retsky, pur non essendo affatto contento, come tutti i malati di cancro, delle probabilità di sopravvivenza, possedeva tuttavia le conoscenze per metterle in discussione. Nutriva forti dubbi sul fatto che la chemioterapia standard, adottata ovunque per il trattamento del cancro al colon ed alcuni tipi di cancro al seno, fosse la soluzione migliore. Si rivolse allora a William Hrushesky, un oncologo che lavorava al "Department of Veterans Affairs Albany Stratton Medical Center" di New York e in un altro ospedale del luogo. Hrushesky aveva lavorato con il National Cancer Institute ed aveva suscitato interesse per una teoria secondo la quale gli effetti negativi della chemioterapia potrebbero essere minimizzati in base all'ora giornaliera di somministrazione. A tale scopo utilizzava una pompa automatica, sottoponendo i pazienti a chemioterapia negli orari più svariati. Aveva inoltre somministrato chemioterapia a basse dosi a pazienti con tumori in fase avanzata che non avrebbero potuto resistere alla chemio standard ad alte dosi. Anni dopo, tale metodo sarebbe stato chiamato "terapia metronomica" da un altro ricercatore.             Michael Retsky si recò nel suo studio chiedendosi in che modo Hrushesky avrebbe accolto la sua proposta terapeutica non convenzionale. Mentre era seduto in sala d'attesa, "Hrushesky uscì indossando stivali da cowboy e cominciò a stringere la mano di ogni paziente nella sala e a Retsky piacque immediatamente". Retsky decise di seguire una terapia della durata di due anni e mezzo, basandosi sulle sue stime di crescita tumorale e alla quantità di chemioterapia necessaria. Il farmaco scelto fu il Fluorouracile (5-FU), un agente chemioterapico standard, che Retsky assorbiva attraverso un catetere nel petto collegato con una pompa, mentre dormiva la notte. Benché, alla fine, ricevette una dose di 5-FU maggiore rispetto a quella che avrebbe ricevuto con una terapia standard, Retsky non subì alcun pesante effetto collaterale, tipico della chemio, come nausea, affaticamento, perdita di capelli. Gli unici effetti sgradevoli furono solo due vesciche nella bocca e una lieve screpolatura alle mani. Mentre era sotto terapia, nei due anni successivi, Retsky iniziò a collaborare con il gruppo di ricerca del dott. Judah Folkman, un noto ricercatore oncologico che svolse uno studio innovativo sulle modalità di accrescimento dei tumori nel suo laboratorio di Boston. Insieme al dott. Folkman, Retsky si recò al Dana Farber Cancer Center di Boston, uno dei centri di trattamento oncologico più importante degli Stati Uniti, per incontrare uno scienziato al top della struttura, allo scopo di promuovere una esplorazione della terapia metronomica. Il risultato fu scoraggiante: non vi fu il minimo interesse; al fisico americano fu detto invece che probabilmente era stato l'intervento chirurgico e non il trattamento successivo ad arrestare il suo cancro. Retsky non escludeva questa possibilità ma, affermava, non c'era modo di saperlo con certezza senza ulteriori ricerche.               Vikas Sukhatme, nato in India e cresciuto a Roma, laureato in Fisica Teorica presso il Massachusetts Institute of Technology e in Medicina presso il Massachusetts General Hospital, ricevette una borsa di studio in Nefrologia presso lo stesso ospedale, trascorrendo poi due anni a Stanford nella ricerca sull'immunologia. La ricerca svolta da Sukhatme coprì numerose aree della medicina, sia nella scienza fondamentale che nella cura clinica; il suo interesse di lunga data sul cancro si concentra attualmente sul metabolismo dei tumori e sull'immunologia dei tumori. La sua ricerca ha anche fornito informazioni importanti sul come si formano nuovi vasi sanguigni per nutrire i tumori in crescita. Rettore della Harvard Medical School, insieme alla moglie Vidula, epidemiologa, fondarono una struttura no profit, "Global Cures", per promuovere trattamenti alternativi che hanno poche probabilità di riscuotere l'interesse commerciale delle aziende farmaceutiche. Global Cures definisce "orfani finanziari" tali trattamenti alternativi e la terapia metronomica è uno di questi. Per venire in aiuto a pazienti e i loro medici, "la no profit sta producendo rapporti che spiegano la scienza alla base di queste promettenti terapie orfane che hanno avuto riscontro in studi su animali e con dati umani seppur limitati", scrive Bernstein. "Inoltre Global Cures si è posta un obiettivo ancor più difficile: trovare i soldi per gli studi clinici". Gli oncologi, senza la conferma di una sperimentazione umana su larga scala, sono poco propensi ad approvare l'uso di terapie orfane, anche quando non rimane molto altro da fare. Allen Lichter, ufficiale capo esecutivo della American Society of Clinical Oncology, affermava: "Siamo di fronte a una scelta limite: abbandonare la buona medicina basata sull'evidenza sperimentale per cercare semplicemente di affrontare le speranze disperate di pazienti disperati". Lichter riconosceva però che vi erano "orfani finanziari" che non ottenevano l'attenzione che avrebbero invece meritata.   Michael Retsky sapeva che la terapia metronomica con 5-FU sul tumore del colon in stadio precoce non sarebbe mai stata oggetto di sperimentazione negli USA. "Il farmaco costa meno dell'acqua sterile", affermava, "e quindi nessuna azienda farmaceutica spenderebbe milioni di dollari per testarlo se non vi è nessun ritorno finanziario".           Michelle Holmes, professoressa associata di medicina presso la Harvard Medical School, aveva cercato per anni di raccogliere fondi per sperimentare gli effetti dell'aspirina sul cancro al seno. Afferma Bernstein: "Studi su animali, esperimenti in vitro e analisi dei risultati di alcuni pazienti suggeriscono che l'aspirina potrebbe inibire il propagarsi del cancro al seno. Eppure (la professoressa) riferisce che anche i suoi colleghi dei consigli consultivi scientifici non sembrano interessati. 'Per qualche ragione, un farmaco che potesse essere brevettato otterrebbe subito un trial randomizzato, mentre l'aspirina, che ha proprietà sorprendenti, resta inesplorata perché si tratta di un rimedio cardiovascolare da pochi centesimi', dice la Holmes. Sempre più spesso, Big Pharma scommette sul successone di nuovi farmaci antitumorali che costano miliardi di sviluppo e possono essere venduti per migliaia di dollari a dose. Secondo Campbell Alliance, società di consulenza sanitaria, nel 2010, ciascuno dei primi 10 farmaci anticancro ha superato il miliardo di dollari di vendite. Dieci anni prima, in quella lista ce n'erano solo due. Quelle che vengono lasciate indietro sono le terapie alternative a basso costo - come quella di Retsky o gli altri farmaci già esistenti ma non ancora impiegati per curare il cancro, compresi i generici - che pur avendo mostrato qualche merito non hanno sufficiente potenziale di profitto per le aziende farmaceutiche che dovrebbero investire nella loro ricerca".               Scrive ancora Bernstein: "I nuovi farmaci in alcuni casi hanno allungato la vita dei pazienti in maniera sorprendente, tuttavia il cancro rimane la seconda più comune causa di morte negli Stati Uniti, dopo le malattie cardiache, con circa 580.000 decessi all'anno. ln tutto il mondo, il 60% di tutte le morti per cancro si verifica nei paesi in via di sviluppo, dove gli esperti dicono che l'incidenza della malattia è in rapida crescita, assieme ad un disperato bisogno di cure a prezzi accessibili". Oggi, secondo i dati pubblicati in un recente rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità e di AFRON, Oncologia per l'Africa Onlus, a livello mondiale i casi di cancro aumenteranno del 70% nei prossimi vent'anni, anche se in Europa i casi di sopravvivenza al cancro sono migliorati.              Michelle Holmes, la professoressa di Harvard, afferma che è il denaro a scrivere l'agenda dello sviluppo dei farmaci antitumorali. "Un prodotto è scientifico e attraente solo se può essere monetizzato", dice, "e questa diventa la prassi". Prosegue poi Bernstein : "Oggi, l'attenzione predominante nello sviluppo di un farmaco antitumorale è rivolta alle 'terapie mirate' che siano sia innovative che redditizie. Questi farmaci bloccano la crescita e la diffusione del cancro interferendo con specifiche molecole coinvolte nella crescita tumorale. Modellare queste terapie mirate richiede una costosa sperimentazione molecolare e genetica, ma una volta brevettato l'investimento può tradursi in enormi profitti per le compagnie farmaceutiche ... Un sottoinsieme delle terapie mirate riguarda la soppressione della capacità delle cellule tumorali di eludere la risposta immunitaria del corpo. L'immunoterapia, così è denominato il trattamento, è stata a lungo vista come un approccio fallito fino alle scoperte molecolari recenti. Ora, la promessa dell'immunoterapia sta innalzando i prezzi delle azioni di varie aziende che stanno sviluppando farmaci di questo tipo ... Si ritiene che alcuni degli 'orfani finanziari' identificati da Global Cures migliorino la risposta immunitaria ai tumori. Senza ulteriori studi è difficile isolare esattamente il motivo per cui essi operino in tale maniera. Vidula Sukhatme dice che questa è una delle principali lamentele che lei e suo marito ricevono da scienziati che non sono d'accordo con il loro approccio. 'Loro le chiamano medicina sporca', dice. 'Dicono che il mondo intero sta andando verso le terapie mirate mentre voi state andando indietro'. Sukhatme crede che capire se un farmaco funzioni conti più della comprensione accurata del suo meccanismo di azione. È possibile che queste alternative possano avere effetti sinergici che non si possono ricondurre ad un singolo bersaglio molecolare, afferma".                L'approccio dei coniugi Sukhatme si dimostrò lungimirante: oggi stiamo assistendo infatti al fallimento delle terapie mirate. Alle dichiarazioni del prof. Mariano Bizzarri, di cui sopra, fanno eco le parole del dott. Giampaolo Tortora, direttore dell'Oncologia Medica del Policlinico Gemelli di Roma e luminare della terapia contro il cancro al pancreas, pronunciate in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, il primo febbraio di quest'anno: "dalla chemioterapia alle terapie a bersaglio molecolare, avevamo forse l'illusione di poter venire a capo di tutto, ma poi ci sono state delle battute d'arresto. Il tumore è furbo. Ora, con l'immunoterapia, la sensazione che si sia imboccata una strada diversa. Anche se non deve illudere, perché non è per tutti: nei casi in cui funziona, però, i pazienti reagiscono bene e non hanno recidive. Quest'ultimo è uno dei punti più difficili da superare".       Erano ormai trascorsi diciassette anni dal cancro di Retsky, quando Jake Bernstein pubblicò il suo articolo, nel 2014. Retsky non aveva la certezza che fosse stata davvero la cura a guarirlo, benché in cuor suo ne avesse la profonda convinzione. Molteplici studi di laboratorio su animali e ridotti studi sull'uomo potevano far ritenere che la chemioterapia continua a basse dosi permettesse di ridurre i tumori e prevenire le recidive. Ma un test clinico su vasta scala della procedura applicata a Retsky era molto improbabile, considerando le modalità con cui si mettono a punto i trattamenti anticancro. Vikas Sukhatme pensava che la terapia metronomica fosse un "orfano finanziario" per eccellenza. Vi erano dei dati promettenti a suo favore ma non si comprendeva bene il perché sembrasse funzionare. Ricercatori indipendenti in Canada, in Europa e India stavano esplorando farmaci a basso costo simili a quello usato da Retsky in terapia metronomica. Se i costi contenuti non incentivavano le aziende farmaceutiche a condurre studi, tuttavia queste ricerche rivestivano grande importanza per i paesi in via di sviluppo. Il gruppo di ricerca del dott. Folkman, che aveva collaborato con Retsky durante il periodo della sua terapia, pubblicò nel 2000 uno studio con animali sulla terapia metronomica e scoprì che questa pareva limitare la crescita tumorale. Negli stessi anni Robert Kerbel, ricercatore oncologico del dipartimento di biofisica medica presso l'Università di Toronto, fece uno studio su animali arrivando a delle conclusioni similari. Inoltre studi sull'uomo randomizzati, coinvolgenti centinaia di pazienti europei e giapponesi che erano stati sottoposti ad una terapia metronomica, mostrarono un miglioramento dei tassi di sopravvivenza. Kerbel affermava che una spiegazione teorica sulla capacità di funzionamento della terapia metronomica avrebbe potuto consistere nel fatto che questa inneschi una risposta immunitaria aggiuntiva al tradizionale effetto tossico della chemio sulle cellule tumorali.                        Fine prima parte. Per la parte seconda e l'elencazione delle fonti relative ad entrambe le parti, si rimanda il lettore al Post successivo