TagMessaggi del 13/03/2025
Post n°192 pubblicato il 13 Marzo 2025 da daniela.g0
Tag: aborto, battaglia, business, cattolicesimo, cellule fetali, Chiesa Cattolica, conservatori, contestazione, diavolo, difesa valori, divieto, Giorgio Forattini, Giovanni Paolo II, Humanae Vitae, industria farmaceutica, libertà di parola, libertà di pensiero, libertà di religione, Magistero, Paolo VI, preghiera, progressisti, rivoluzione, satira, Sessantotto, stampa, Unione Europea, vignette
Un pontificato travagliato Papa Paolo VI dovette affrontare un periodo storico molto difficile e fu contestato sia dal mondo esterno alla Chiesa, sia e soprattutto al suo interno. Eravamo all'epoca delle rivoluzioni sessantottine. Papa Montini si ritrovò tra due fuochi: fra chi voleva la rinuncia della Chiesa alle sue posizioni irrinunciabili, come nel caso di aborto e omosessualità, e fra chi voleva la restaurazione anteriore al Concilio Vaticano II, come mons. Lefebvre e i suoi seguaci. Due forze interne distruttive dell'unità della Chiesa che Paolo VI difese con fermezza. Scrive Luigi Accattoli nel 1984: «Secondo Martina [Giacoma Martina, noto storico della Chiesa e autore di svariate pubblicazioni, n. d. r.] gli atteggiamenti di "fermezza" assunti da Paolo VI dopo il 1967 vanno interpretati su una scena più ampia di quella italiana, in riferimento a fenomeni riguardanti l'intera Chiesa Cattolica: "Ecco, dopo il risveglio post-conciliare e in parte ad esso simultanea, la contestazione; ecco il maggio 1968, le occupazioni delle cattedrali, le comunità di base. Ecco la crisi ecclesiale, con la riduzione allo stato laicale di oltre tredicimila sacerdoti, la chiusura di molti seminari vuoti, mentre il processo di secolarizzazione avanzava paurosamente, con il crollo delle vecchie strutture. Alla contestazione di sinistra si oppone quella di destra: Paolo VI si trova fra Franzoni e Lefebvre (...) Paolo VI reagisce con pazienza e fermezza: evita le rotture che potevano divenire definitive, ma ribadisce i principi irrinunciabili del cristianesimo e riafferma alcune linee disciplinari ancora valide. Ecco il "Credo del Popolo di Dio" (1968) e le due encicliche Sacerdotalis coelibatus (1967) e Humanae vitae (1968)». (Coscienza, ottobre 1978, p. 6-8)». Da sottolineare qui come la "rivoluzione" del 1968 fu voluta e orchestrata sapientemente dallo stato profondo americano (fra tutti, ricordiamo come fosse in piena attività l'onnipresente George Soros), allo scopo di demolire quei valori cristiani che furono alla base della civiltà europea lungo i secoli. Solo poco tempo fa, e precisamente lo scorso 14 febbraio a Monaco in Germania, il vice presidente degli Stati Uniti, J. D. Vance, ha voluto ricordare all'Europa l'enorme pericolo della perdita dei suoi valori cristiani, nel suo discorso alla conferenza sulla sicurezza, e come questo rischio sia molto più temibile di ogni possibile minaccia proveniente dall'esterno cancellando dalla cultura e dalla storia europea i suoi valori fondamentali. «La libertà di parola in Europa è in ritirata», ha dichiarato Vance. «[...] Lo scorso ottobre, solo pochi mesi fa, il governo scozzese ha iniziato a distribuire lettere ai cittadini le cui case si trovavano nelle cosiddette zone di accesso sicuro, avvertendoli che persino la preghiera privata nelle proprie case poteva equivalere a violare la legge. Naturalmente, il governo ha esortato i lettori a segnalare qualsiasi concittadino sospettato di reati di opinione in Gran Bretagna e in tutta Europa». Nella civile e democratica Europa questo processo distruttivo e involutivo ha condotto fino al divieto della preghiera, libertà inviolabile della persona umana, persino all'interno delle proprie abitazioni. Nemmeno se gli scozzesi si trovassero rinchiusi all'interno dei laogai cinesi! La corrotta classe politica europea ha pure il coraggio di criticare la Cina, ora che questa ha finito di essere funzionale agli obiettivi della NATO e dell'atlantismo, avvicinandosi alla Russia. Ed è utile riportare le conclusioni di J. D. Vance, che mettono in risalto anche la stima del vice presidente degli Stati Uniti per un pontefice postconciliare che ha segnato profondamente un'epoca: «Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino possiede la propria saggezza e la propria voce, e se ci rifiutiamo di ascoltare quella voce, anche le nostre battaglie più riuscite otterranno ben poco. Come disse una volta papa Giovanni Paolo II, a mio avviso uno dei più straordinari difensori della democrazia in questo Continente e in qualsiasi altro: "Non abbiate paura!". Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership. Grazie a tutti. Buona fortuna a tutti voi. Dio vi benedica».
Papa Paolo VI insieme al cardinale Karol Wojtyla, futuro papa Giovanni Paolo II Paolo VI inginocchiato in adorazione nel Cenacolo a Gerusalemme, nel 1964, durante uno dei suoi viaggi all'estero Ma facciamo ritorno all'interessante articolo di Luigi Accattoli: «In ogni modo, comunque lo si interpreti, il fatto di un papa contestato all'interno stesso della comunità cattolica, e persino in Italia, resta innegabile. Ed è un fatto nuovo, rispetto ai pontificati più recenti. Né le critiche dei cattolici liberali contro Pio IX, né quelle dei modernisti contro Pio X avevano avuto tanta eco nella base cattolica quanto ne ebbero i dissensi nei confronti di Paolo VI. Il papa che più aveva rinunciato all'uso dei metodi autoritari e delle condanne risultava il più contestato. Anche in Italia l'Humanae vitae fu l'occasione del dissenso più vasto. Scrive ancora Martina: "Il gesto di Paolo VI non ha trovato nella base un consenso unanime e risoluto. Paolo VI rischiava di restare isolato, in un certo senso assai più di Pio XII, nel suo sforzo sincero ed eroico di conciliare le esigenze opposte di rinnovamento e di fedeltà allo spirito evangelico" (Giacomo Martina, La Chiesa in Italia negli ultimi trent'anni, Roma, 1977, p. 102). [...] Alla "impopolarità" di papa Montini, alle difficoltà di dialogo con il mondo e alle contestazioni subite da parte degli stessi cattolici dedicarono due libri, agli inizi degli anni settanta, due agguerriti esponenti del giornalismo laico: Carlo Falconi, La svolta di Paolo VI, Milano, 1971 e Vittorio Gorresio, Il papa e il diavolo, Milano, 1973. In un dibattito ospitato dall'Espresso del 2 settembre 1973 e intitolato "Processo a Paolo VI", Gorresio così riassumeva la sua tesi del "fallimento": "I dieci anni di pontificato di Paolo VI sono un ininterrotto tentativo di stabilire un dialogo con il mondo contemporaneo. Questo dialogo Paolo VI non ha saputo stabilirlo. Neppure può dirsi riuscito il suo tentativo di allargare il discorso a tutto il cosiddetto terzo mondo, attraverso i grandi viaggi che il papa ha compiuto. Questi fallimenti si spiegano soprattutto così: nonostante il suo desiderio di avvicinarsi all'uomo di oggi ed alla parte di mondo che non è nemmeno cristiana, Paolo VI si dimostra ancorato a una concezione religiosa che il mondo contemporaneo ormai non accetta più: cioè, in una parola, alla credenza del diavolo, di cui egli ha parlato in un discorso che ha suscitato aspre polemiche in tutto il mondo"». Dunque, secondo Gorresio, il mondo contemporaneo non accetterebbe più la concezione religiosa che il diavolo possa esistere: è proprio il messaggio che in questi anni, in ogni modo, hanno tentato di farci credere. Il diavolo non esiste. Ci troviamo nel mezzo di una società post cristiana dove il diavolo è ormai soltanto un lontano ricordo, solo un vecchio spauracchio del passato che non ci può più fare paura. In realtà, nascostamente ai più, le opere del satanismo - in tutte le sue forme - sono ampiamente penetrate nel vivere quotidiano di ognuno: dalla cultura della morte e dall'aborto come pratica comunemente accettata dai futuri genitori e dalla classe medica fino all'omosessualità, per arrivare allo sdoganamento completo della pedofilia. Fino alla distruzione della famiglia, proprio come aveva profetizzato suor Lucia dos Santos sul finire degli anni Cinquanta. In maniera che dell'Europa, del suo vecchio fasto ma soprattutto dei suoi valori rispettosi della persona umana e della cultura, non rimanesse più nulla. Papa Montini aveva ben intravisto il grande pericolo che minacciava la cristianità: ancorato, come scrive Gorresio, fermamente a una concezione insita nel cristianesimo: l'esistenza del diavolo. Egli è "l'oppositore" per eccellenza ai piani di Dio, con la sua corrosiva azione ininterrotta all'interno della società umana. Il fumo di Satana, come Paolo VI lo definì, era finemente penetrato all'interno della società europea e occidentale. Ma soprattutto era penetrato sin all'interno della Chiesa Cattolica, ben prima dell'apertura del Concilio Vaticano II. Tutto il pontificato di Montini sarà teso in questa lotta, subendo nella sua propria persona gli attacchi dell'establishment dominante, già allora profondamene corrotto e votato al diavolo. Continua ancora Accattoli nel suo articolo: «Falconi, più attrezzato in teologia e storia della Chiesa, così replica a Gorresio: "Nella teologia cattolica tutto tiene in una maniera così profonda, così intima, così sostanziale, che se si toglie un mattone l'edificio crolla. E Paolo VI ha avvertito questo rumore di frana. Nei primi anni del suo pontificato egli aveva dato fiducia anche ai progressisti moderati. L'aveva data, ma l'ha dovuta ritogliere nel momento in cui ha sentito che le prime pietre cominciavano a cadere, che non si fermavano più, che tutto andava in rovina"». Gli attacchi contro papa Paolo VI trovarono facilissima sponda nella prezzolata stampa italiana. Così, come non accadeva dai tempi di papa Pio X, i disegnatori satirici si permisero di ridicolizzare il pontefice. Si arrivò alle parole - senza cuore - scritte da Eugenio Scalfari, direttore dell'immancabile Repubblica, oggi come è noto proprietà di John Elkann. Era infatti l'8 agosto (papa Montini era morto alle 21:40 del 6 agosto) quando Repubblica dedicò alla morte del pontefice 11 pagine. Scalfari scrisse nell'editoriale: «In realtà il pontificato di Paolo VI era finito da quella sera di maggio nella quale, sotto le volte di San Giovanni in Laterano, celebrò la messa funebre per Aldo Moro. Pochi giorni prima si era "inginocchiato" davanti agli "uomini delle Brigate Rosse" [...]». Mentre ancora su Repubblica dell'8 giugno 1978, Giorgio Forattini disegnava un Paolo VI «"incinto" e soddisfatto, a dileggio della sua posizione sull'aborto, come ad affermare la sua contrarietà invincibile ai sentimenti e agli orientamenti del Paese. E questo un mese dopo che la stessa Repubblica aveva esaltato parole e gesti del pontefice nella drammatica circostanza dei funerali di Moro, presentandolo come il solo che avesse saputo interpretare il sentimento nazionale in quell'ora di smarrimento», come scrive ancora il giornalista e vaticanista Luigi Accattoli. E' un fatto che la lotta che il pontefice di Cesio ingaggiò contro la cultura dell'aborto fu coraggiosa e tenace, in un momento storico, politico e culturale dove in Italia era stato posto in atto il tentativo di cancellare dall'etica e dalla cultura ogni valore morale proveniente dalla fede cattolica: "il diritto all'aborto" fu uno tra i primissimi obiettivi di quello stesso tentativo. Oggi a noi può risultare evidente, assai più di allora, quale siano i veri ed enormi interessi dello stato profondo (e quindi della massoneria mondiale) per il grande business dell'aborto: l'interesse per quei minuscoli e innocenti corpicini aspirati e dilaniati, a cui non è stato lasciato scampo. Si registrano introiti da capogiro per la vendita di feti abortiti destinati alla produzione di cosmetici, alla medicina rigenerativa e alla ricerca. Senza contare gli enormi incassi che fanno le strutture, per lo più private, per l'esecuzione della procedura. L'industria del farmaco, inoltre, producendo molti vaccini «con colture di cellule e tessuti animali (embrioni di pollo) o umani (tessuti fetali, linee cellulari), tale contaminazione pone dei seri rischi per la salute umana, perché potrebbe essere responsabile di reazioni autoimmuni contro il DNA umano». L'industria ottiene così, oltre a lauti incassi, anche il risultato di aumentare considerevolmente le possibilità di far ammalare i loro ignari destinatari, i quali ricevono nei loro corpi DNA umano estraneo. Non si tratta qui di ipotesi o di chiacchiere inventate, ma fu messo nero su bianco dalla relazione finale della Commissione Parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, nel febbraio 2018. Ma sarebbe stato allora troppo in anticipo con i tempi parlare del concetto di "spopolamento" o di Nuovo Ordine Mondiale. Eppure i fili che hanno condotto la società occidentale al punto in cui si trova oggi sono stati intessuti pazientemente proprio in quei giorni e in quegli anni, durante la così tanto vagheggiata Prima Repubblica.
L'Humanae Vitae e l'incessante battaglia di Paolo VI contro l'aborto L'enciclica Humanae Vitae vide la luce il 25 luglio 1968 e rappresenta l'esempio più alto di questa sua lotta contro la cultura della morte: papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesantemente gli oneri del suo alto ufficio per la questione della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione. Riporto qui la stessa Wikipedia, che cito soprattutto per fornire al lettore un quadro obiettivo e non di parte, quale potrebbe costituire la mia personale opinione: «[...] Tali questioni furono trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica. Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un'epoca in cui il Cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, appannò la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico. In tale frangente i suoi critici gli affibbiarono il nomignolo di Paolo Mesto. Il pontefice non poté mettere in disparte il problema, e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento. Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell'ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò. La decisione era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa su temi non strettamente legati alla dottrina religiosa. Tuttavia il papa ribatté a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d'intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito. Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della "pillola cattolica" (come venne soprannominata), ma una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l'utilizzo degli anticoncezionali violasse la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa. Paolo VI appoggiò questa posizione e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell'enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l'utilizzo degli anticoncezionali di natura chimica o artificiale». Il papa quindi rimase ancorato nelle sue posizioni, confermando la dottrina perenne della Chiesa Cattolica. Continua Wikipedia: «Questa decisione di papa Montini ricevette molte critiche. Tuttavia, Paolo VI non ritrattò mai il contenuto dell'enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni: "Noi portiamo il peso dell'umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l'uomo accetta di dissociare nell'amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo "una medicina" diventa per l'uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell'amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all'amore e l'amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell'umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere." (Jean Guitton, Paolo VI segreto) Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che: "E' contrario al genio del cattolicesimo, al Regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell'incertezza circa la dottrina della fede"».
Fine terza parte.
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