State molto attenti a far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime. La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché essere calpestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco, per essere uguale. Un po’ più in basso del braccio, per essere protetta. Dal lato del cuore, per essere amata.
Post n°2042 pubblicato il 01 Novembre 2025 da Vince198
Sento la tua tenerezza avvicinarsi alla mia terra, spiare lo sguardo dei miei occhi, fuggire, la vedo interrompersi, per seguirmi fino all’ora del mio silenzio assorto, della mia ansia di te. Ecco la tua tenerezza d’occhi dolci che attendono. Ecco la tua bocca, parola mai pronunciata. Sento che mi sale il muschio della tua pena e mi cresce tentoni nell’anima infinita. Questo era l’abbandono, e lo sapevi, era la guerra oscura del cuore e tutto, era il lamento sprezzato di angosce commosse, e l’ebbrezza, e il desiderio, e il lasciarsi andare, ed era questo la mia vita era questo che l’acqua dei tuoi occhi portava, era questo che stava nel cavo delle tue mani. Ah, farfalla mia e voce di colomba, ah coppa, ah ruscello, ah mia compagna! Il mio richiamo ti raggiunse, dimmi, ti raggiungeva nelle ampie notti di gelide stelle ora, nell’autunno, nella danza gialla dei venti affamati e delle foglie cadute! Dimmi, ti giungeva, ululando o come, o singhiozzando, nell’ora del sangue fermentato quando la terra cresce e vibra palpitando sotto il sole che la riga con le sue code d’ambra? Dimmi, m’hai sentito arrampicarmi fino alla tua forma per tutti i silenzi, per tutte le parole? Mi son sentito crescere. Mai ho saputo verso dove. Al di là di te. Lo capisci, sorella? Il frutto s’allontana quando arrivan le mie mani e rotolano le stelle prima del mio sguardo. Sento che sono l’ago di una freccia infinita, che penetra lontano, mai penetrerà, treno di umidi dolori in fuga verso l’eterno, gocciolando in ogni terra singhiozzi e domande. Ma eccola, la tua forma familiare, ciò ch’è mio, il tuo, ciò ch’è mio, ciò ch’è tuo e m’inonda, eccola che mi empie le membra di abbandono, eccola, la tua tenerezza, che s’attorce alle stesse radici, che matura nella stessa carovana di frutta, ed esce dalla tua anima spezzata sotto le mie dita come il liquore del vino dal centro dell’uva.
(Pablo Neruda, da Crepuscolario)
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Questi versi fanno parte di una raccolta di Neruda - Crepuscolario, di un Neruda molto giovane, scritti a decorrere dai suoi 15anni per alcuni anni, dal 1919 e pubblicati nel 1923 ai suoi 19anni. Questo suo modo di poetare, fin da giovanissimo, evidenzia lo stile che poi ha caratterizzato gli anni della maturità in cui prevale un linguaggio ancor più ricco di immagini, metafore e simboli che riflettono una profonda connessione con la natura, l’amore, la condizione umana. In altri suoi componimenti, la sua attività politica.
Il suo vero nome è Ricardo Eleciér Neftalì (il nome della madre) Reyes Basoalto, nativo di Parral (Cile) nel 1904. Ha tuttavia adottato il nome d'arte "Pablo Neruda" in omaggio allo scrittore cecoslovacco Jan Neruda. In questi versi è evidente l'esplorazione di temi tipici dell'amore, del desiderio e dell'abbandono: descrive minuziosamente i sentimenti del poeta per la donna amata e il suo bisogno di lei nonostante la distanza. Tra l'altro Neruda è stato sposato tre volte, l'ultima con Matilde Urrutia, cantante e scrittrice cilena conosciuta nel dopo guerra. Questa poesia utilizza metafore legate alla natura per comunicare un amore potente e intenso. Vista l'età in quel tempo di Neruda, mi sembra assolutamente cosa più che verosimile. Come del resto ha sempre fatto anche in tempi successivi e, sebbene in esperienze di vita più mature, ha rimodellato in una maggior dolcezza pur sempre in maniera intensa e potente il suo percorso nel mondo dei sentimenti. Leggendo questi versi e andando avanti nel tempo in altre sue composizioni poetiche, da "I versi del Capitano" ai celebri "100 sonetti d'amore" la sequenza amorosa, con qualche modifica caratteriale è molto simile, sembra in un certo senso quasi inalterata.
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In particolare una ... riflessione personale: in queste ultime settimane, ripensando questo e altri componimenti del poeta cileno, dopo notti insonni, silenzi angoscianti, pensieri volti a indagare su me stesso, su timori e stati d’animo fra i più variegati, improvvisamente … si è creato in me un puotpurrì di richiami nerudiani in versi. La mia anima si è letteralmente "ubriacata", volando letteralmente negli infiniti spazi di quel sentimento... «sento la tua tenerezza avvicinarsi alla mia terra, spiare lo sguardo dei miei occhi, fuggire, la vedo interrompersi, per seguirmi fino all’ora del mio silenzio assorto, della mia ansia di te» «Morirei per un tuo solo sguardo, un tuo sospiro che profumi d'amore ed una carezza che riscaldi il mio cuore. Non assomigli più a nessuna da quando ti amo.»
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