Tracce di rossetto.

Quella notte a 120 km all'ora...


Quel giorno, per prima cosa, vidi uno spesso strato bianco, che incorniciava il bordo della finestra del reparto, dove ero stato ricoverato.Era proprio neve, quella che si era depositata ai lati della finestra, dalla quale vedevo scorrere la vita.Fuori da quel vetro si apriva ai miei occhi un paesaggio da fiaba: le maestose fronde degli abeti, in cortile, erano appesantite da una coltre bianca di neve.Alcuni merli si insinuavano fra i rami di una pianta arbustiva per cogliere qualche bacca rossa, che creava un contrasto cromatico con il manto bianco, che avvolgeva ogni cosa.Quei merli leggiadri, nel loro volo affannoso alla ricerca di cibo, mi riportarono alla realtà, alla chiara consapevolezza che un tragico incidente, qualche mese prima, mi aveva spezzato le ali…Subito mi resi conto del dramma che si era consumato nel mio corpo. Uscito da un lungo sonno che, mi dissero, si era protratto per 72 giorni, il mio letto d’ospedale era la mia trappola, era l’inizio del mio calvario.Accennai un sorriso a Katia, la mia fidanzata, che raggiante si era protesa verso di me per baciarmi, per darmi il bentornato, dopo tanto tempo.Alzai, con uno sforzo immane, il braccio destro, dal quale scorrevano in un intreccio vorticoso tubicini e liquidi vari, così per salutare babbo e mamma che, fuori dalla porta abbozzavano un sorriso trionfante.Ma le gambe erano state sopraffatte dal sonno di Lete…Non si risvegliarono mai più… Osservando il volo di quei merli, fuori dall’ospedale, ebbi la consapevolezza che quel lungo sonno mi aveva portato via le ali, per sempre.In una rapida successione di ricordi e sensazioni, la mia mente fu rimbalzata a quel venerdì sera, quando i miei progetti e le mie speranze per il futuro si schiantarono a 120 Km/h contro un platano della provinciale.La mia “Brava” si era accartocciata dopo l’impatto, lacerandomi la pelle, procurandomi una piccola anticamera della morte.Il mio cuore resistette alla tragedia, ma le mie gambe cessarono di vivere. Da allora continuo ad interrogarmi sulla sorte crudele che si è abbattuta su di me, tarpandomi le ali. Non voglio più combattere, non voglio più essere oggetto di ortopedici e fisioterapisti, che mi promettono quella redenzione, che non potrò mai conseguire.Le mie gambe sono morte per sempre, insieme ai miei progetti, il mio cuore si è inaridito, non sussulta per un’emozione, che ormai nulla può procurargli.Ciò che ho scritto di getto su questa pagina bianca e che ancora mi ricorda la neve, che avvolgeva tutto il paesaggio attorno a me, dopo il risveglio dal coma, riassume il disagio profondo della mia condizione di chi respira, senza vivere.A chi ama il brivido della velocità e crede, come ne ero convinto io, di essere più scaltro a governare la propria auto, vorrei lasciare il mio testamento morale: se si prova, solo per un giorno, ad osservare lo scorrere della vita fuori dalla finestra, si scopre quanto sia inutile condurre un’esistenza inanimata…RACCONTO ISPIRATO AD UNA STORIA REALMENTE ACCADUTA, COME TUTTE QUELLE CHE INSANGUINANO LE NOSTRE STRADE DURANTE I FINE SETTIMANA.