Tracce di rossetto.

Secchiona, fai schifo!


Così mi apostrofavano i compagni di classe nei primi due anni di Scuola Media, frequentati in un piccolo paese della verdeggiante pianura padana. Quella parola, scagliatami in faccia come una gelida palla di neve, ancora echeggia nelle mie orecchie con un suono spettrale. All'epoca, tra gli 11 e i 13 anni, il mio viso informe, devastato da orribili solchi, scavati  dall'acne e il mio corpo pingue, che si nutriva smodatamente di cibo, per sopperire alla fame di affetto, contribuirono ineluttabilmente a procurarmi un secondo soprannome, POLDO. Gli estimatori di fumetti, ricorderanno il leggendario e paffuto personaggio di "Braccio di Ferro", immancabilmente intento a divorare panini super-farciti in abbondanza.Ebbene gli elementi che mi caratterizzavano allora erano lo studio e il cibo. Applicandomi con indefessa dedizione ai libri e ai compiti assegnati da tutto il corpo docente, ero incurante delle uscite festive delle mie coetanee. Le più "emancipate" si recavano a trascorrere le domeniche pomeriggio presso un bar-pizzeria del paese, ricettacolo di giovani tutte le età, luogo di perdizione per eccellenza, secondo la mia testa pervasa da ben altri interessi. Le ragazzine meno "emancipate" invece seguivano la famiglia per vedere un film in città o per la classica gita fuori porta con genitori, fratelli, sorelle e nonni al seguito, magari a Imola, in occasione del Gran Premio, per poi fare una mega-grigliata nel parco antistante il circuito di F 1.Io invece sempre ricurva sui libri, esploravo il mondo circostante, la bruna campagna ferrarese con occhi rapiti, cogliendo un tocco di poesia nella rugiada del mattino, che permeava come un velo magico la natura tardo-autunnale oppure osservando il sopraggiungere della luna, quando ancora il sole non era calato dietro l'orizzonte. In quei momenti, quando la nebbia non si stendeva come una coltre umida impalpabile su tutte le cose, ecco in quei giorni i rami spogli degli alberi assumevano forme bizzarre, talvolta mostruose, che mi ispiravano fiabe e racconti, ma sempre a lieto fine.Il mio mondo era sospeso a mezz'aria tra i libri di scuola, che fagocitavo come i panini di Poldo e la distesa pianeggiante che scrutavo da quell'enorme finestra, dove la zanzariera era sempre di troppo."Sei anocra lì, Poldo? Schifosa secchiona, vai a casa a piedi. In corriera non ti vogliamo!". Così, all'uscita di scuola tuonavano i miei beneamati compagni di classe e coetanei che, come me, si servivano del mezzo di trasporto pubblico per fare rientro a casa. Morivo dentro di paura, di angoscia, di rabbia, ma anche di sete di vendetta, per quelle parole insopportabili, come un marchio, che sistematicamente ricevevo tutti i giorni.Intanto le mie "amiche" continuavano ad uscire e a crescere con la Febbre del Sabato Sera in testa, con le unghie laccate, i capelli vaporosi, schiariti con l'acqua ossigenata e il lucida-labbra di grido. Io invece, nella mia camera con vista sulla sconfinata pianura ferrarese, osservavo i pettirossi posarsi fugacemente sui cornicioni, per poi riprendere liberi il volo. Divoravo "Il Barone Rampante" di Italo Calvino, nella stessa misura in cui divoravo i miei adorati panini. Finiti i compiti, terminato lo studio di quel capitolo di storia o di quelle nuove formule algebriche e una volta fatta la parafrasi (oddio, no!) di qualche altra pagina dell'Iliade, mi tuffavo nel mio mondo, quello della lettura. I classici della letteratura russa hanno caratterizzato gli anni della mia adolescenza, gli anni più bui oserei dire, se non mi fossi appagata da quel mondo.I mesi più terribili erano quelli invernali, proprio perchè la corriera era l'alternativa alla bicicletta per il tragitto sino a scuola. Le parole infamanti, le grida anche da lontano "SEcchiona" rimbalzavano nel mio cuore come i rulli di tamburo accompagnavano il malcapitato al patibolo.La mia salvezza fu il trasloco in città, derivato dall’esigenza di mio padre di trasferire l’abitazione a fianco della attività artigianale, che lo occupava nottetempo. Frequentai così l’ultimo anno della scuola media con compagni di classe nuovi, che mi accolsero con curiosità, ma con altrettanta ospitalità. I miei soprannomi restarono brutti ricordi sigillati in un anfratto oscuro del mio cuore e proseguii con profitto gli studi. Inutile precisare che fui promossa a pieni voti e che anche in seguito, dapprima al Liceo e poi all’Università collezionai risultati brillanti, senza sforzi, perchè il mondo era sempre quello, lo studio.Talvolta in sogno, benchè siano passati orami 26/27 anni da allora, mi riappaiono ancora quei compagni di classe famigerati, che io odiavo con tutta me stessa per la loro insana crudeltà. Sono consapevole di aver narrato la mia storia di alunna secchiona con gli occhi dell’adolescente di allora, perchè la paura e il desiderio di vendicarmi non si sopirono mai. Ora forse la mia vendetta si è consumata dentro di me e non al di fuori, perchè sono riuscita a realizzare le mie aspirazioni, perchè il mio corpo ha reagito positivamente e nessuno più mi rivolgerebbe la parola chiamandomi “Poldo”, perchè non mi è rimasta alcuna parvenza del personaggio dei fumetti, che mangiava quantità industriali di panini. Ho fatto pace con me stessa e con il mondo dell’adolescenza, che mi era ostile.Penso però che per un adolescente, come lo è stato per me, sia un trauma sentirsi tacciati, ghettizzati, insultati e derisi per qualcosa, sopratutto se quel qualcosa rappresenta il suo mondo, la sua più alta ragione di vita.