Per me

La pizza


La pizza è entrata a far parte a pieno diritto come alimento principe, è conosciuta in tutto il mondo, ma davanti ad una pizza napoletana si ha la sensazione che essa può essere accostata alla poesia. E' tanta e tale la differenza sotto tutti gli aspetti con le sorelline (frutto di imitazioni) in tutto il mondo, che non si può non acclamarla e decantarla. Venire da turisti a Napoli e non mangiare la pizza è come andare a Parigi e non vedere la torre Eiffel.Il consumo pro capite è di 4,5 Kg. l’anno in Italia, negli USA sfiora i 13. Non possiamo che parlare di pizza. Dichiarato il piatto globale per eccellenza, alta o bassa, capricciosa o quattro stagioni cotta nel forno a legna o in quello elettrico, le varietà sono tante e i gusti si moltiplicano. I Russi ad esempio la preferiscono con le aringhe, i Pakistani con una spolverata di curry piccante, i Brasiliani con i piselli e gli Indiani con il montone. Tuttavia nonostante il consumo più alto si ha in America è l’Italia che detiene il primato qualitativo. La tradizione “pizzaiola” ha definito i numeri giusti affinché la pizza sia “verace pizza napoletana artigianale”, prima di tutto le quattro materie prime devono corrispondere a queste caratteristiche: la farina di tipo OO con un indice di rigonfiamento pari a 22; l’acqua con un ph lievemente acido (pari a 6,7) e una durezza di circa 20 gradi francesi; il lievito di birra fresco; il sale marino. L’impasto così ottenuto deve essere cotto  rigorosamente con il forno a legna. La temperatura deve essere di circa 400 gradi per il piano di cottura e di 450 gradi per la volta del forno. Tutte queste caratteristiche sono regolate dall’ente (UNI) che ne ha tratto una norma la UNI1071/98. e le pizze attualmente tutelate sono la margherita e la marinara. Per la guarnizione delle pizze la marinara prevede 7 grammi di olio extravergine di oliva, 40 grammi di pomodoro, uno spicchio d’aglio, origano essiccato, sale marino; mentre per la margherita prevede 50 grammi di mozzarella di bufala DOP. Tanti numeri per descrivere un piatto così semplice, ma la storia della pizza affonda le radici nel ottocento; l’origine del nome deriverebbe da “pinsa”, il participio passato del verbo latino “pinsere” che significa schiacciare, pestare e dunque prenderebbe spunto dal modo in cui si ottiene la forma, ma il vero successo del piatto si ha nel 1889. Re Umberto I e la sua consorte Margherita, durante una visita alla reggia di Capodimonte, si incuriosirono molto per la pizza e per soddisfare il loro desiderio fu convocato il pizzaiolo più famoso di Napoli Don. Raffaele Esposito, che per l’occasione ne preparò una con mozzarella, pomodoro e basilico, i colori della bandiera italiana. La regina apprezzò e da quel giorno la pizza margherita ebbe una grande diffusione. Ma l’ultimo l’interrogativo  cui dobbiamo dare risposta è: come si riconosce una buona pizza?. La pizza preparata secondo le normative deve avere a fine cottura un bordo regolare, gonfio, privo di bolle e di bruciature e di colore dorato e dal profumo di pane mentre la parte centrale deve restare morbida. Altra peculiarità della pizza deve essere facilmente ripiegabile su se stessa a libro o meglio a portafoglio, può sembrare una inezia ma il consumatore spesso non sa che questo metodo ci indica se una pizza è fatta a regola d’arte. Ultimo consiglio: solo piegata a portafoglio la pizza fa assaporare le sue potenzialità basta chiedere ad un napoletano doc