Ancora una volta

Galdino (storia di un matto) Primo Capitolo


Galdino si alzò lentamente. Erano le tredici del sette di settembre, il giorno del suo compleanno.Come sempre, e come prevedeva il regolamento, si avvicinò alla porta della mensa.“Ho finito, posso tornare nella mia stanza?” disse chinando il capo.Onofrio, il massiccio sorvegliante di mezz'età, lo fissò con il solito sguardo derisorio e strafottente.“Hai finito il tuo pasto Galdino? Lo sai che la direttrice si arrabbia se non è così” disse in falsetto. Un grottesco tentativo d'imitare la voce del paziente.“No...adesso basta. Non devi più permettergli di trattarti in questo modo. Reagisci Galdino...reagisci!”La voce, all'interno del proprio cervello, lo scosse ma non lo sorprese più di tanto. Già in altre occasioni si era fatta sentire. Il più delle volte però, si era trattato di semplici sussurri, parole appena accennate. In quel momento invece, martellante e prepotente, gli trapassò i timpani con la forza di un ciclone.“Reagisci...ora o mai più!” insistette la voce sempre più incalzante.Nonostante tutto, Galdino rimase impassibile. Voltandosi, si diresse invece verso il tavolo che aveva appena lasciato. Onofrio, alle sue spalle, esplose in una risata di scherno. Piatti e posate si trovavano ancora dove li aveva lasciati. Con estrema calma, afferrò il vassoio e lo portò verso il raccoglitore posto nell'angolo.Quando si voltò, accanto ai piatti e al bicchiere era rimasta solamente la forchetta.“Ho finito, posso tornare nella mia stanza?” ripeté per la seconda volta.Facendo roteare il pesante manganello che teneva legato al polso, Onofrio smise di sorridere. Abituato a provocare, il sorvegliante apparve palesemente indispettito dall'atteggiamento apparentemente tranquillo di Galdino.“Hai mangiato tutto Galdino? Lo sai che la direttr...”Non riuscì a terminare la frase. Svelto come il fulmine, Galdino sfilò il coltello dalla tasca e lo piantò nell'occhio destro del sorvegliante. Pur arrotondata, la lama penetrò con facilità irrisoria nel bulbo oculare. Il rumore che produsse, risuonò del tutto simile a quello di uno sturalavandini nell'esercizio delle proprie funzioni. Galdino represse un conato di vomito, ma la sua mano continuò a rigirare il coltello con furia.Gli altri pazienti, colti di sorpresa, fissarono a bocca aperta il corpo del sorvegliante afflosciarsi senza un lamento, qualcuno gemette.Chinandosi sul corpo ormai privo di vita, Galdino s'impossessò delle chiavi e del pesante revolver che pendevano dalla cintola dell'uomo. Un istante dopo si trovava dall'altra parte della porta, in un corridoio che portava direttamente al piccolo ufficio delle guardie.Dopo aver buttato il coltello in un angolo avanzò deciso, la rivoltella tesa dinanzi a se.“Galdino mi preoccupa. Da un po di tempo si comporta in maniera strana. Non vorrei stesse tramando qualcosa”Brigida Marini, la corpulenta direttrice amministrativa della casa di cura, si tolse gli occhiali e li depose sul ripiano della scrivania.Di fronte a lei, l'uomo accavallò le gambe e sospirò.“Non ha mai dato problemi sino ad ora. Inoltre risulta essere uno dei più tranquilli e collaborativi, cosa ti fa pensare queste cose?”Filippo Dordoni, il direttore sanitario dell'istituto, la fissò in attesa di una risposta.Alto e slanciato, non dimostrava affatto i suoi settant'anni. Unico segno dell'età, i capelli tagliati corti e candidi come la neve.Brigida si alzò e si diresse verso la finestra. “Perché sono ormai trent'anni che dirigo questo posto. E conosco i miei pazienti più di chiunque altro. Galdino era poco più che maggiorenne quando venne ricoverato, ed oggi compie quarant'anni. Chiamale sensazioni, o come diavolo preferisci Filippo. Ma i miei timori restano”L'anziano medico rimase in silenzio. Ciò che Brigida aveva appena detto corrispondeva al vero, non così poteva dire di se stesso. Primario del più grande ospedale psichiatrico della città, una volta in pensione aveva accettato, non senza qualche patema, l'offerta della Marini. Vedova di Alfio Corsi, collega e amico d'infanzia, Brigida aveva assoluto bisogno di un nuovo direttore sanitario dopo la scomparsa del marito. E Filippo, pur avanti negli anni, rappresentava una sicurezza.Tutto questo accadeva appena un anno prima, un lasso di tempo troppo breve per poter dire di conoscere bene tutti i pazienti.“Questa storia dei sorveglianti non mi è mai piaciuta lo sai...” sbottò infine il medico.“Con le nuove leggi, abbiamo sempre gli occhi puntati addosso. Basterebbe anche il minimo incidente per scatenare un putiferio. Il fatto che non sia ancora accaduto è solo fortuna”Allontanandosi dalla finestra, Brigida tornò a sedersi dietro la scrivania.“I sorveglianti sono necessari, dovresti saperlo meglio di me visto che hai lavorato in un ospedale pubblico” rispose la donna con un gesto di stizza.“Certo, ma quelli non sono ne infermieri ne inservienti Brigida. Si tratta di una polizia privata con tanto di armi e chissà cos'altro cribbio!”La direttrice scattò in piedi, i pugni serrati lungo i fianchi.“Basta Filippo! Non costringermi a ricordarti che sei un mio dipendente. Pensavo di far bene a confidarmi con te, evidentemente avevo visto male. Ed ora, se vuoi scusarmi, avrei del lavoro da fare”