Ancora una volta

Galdino (storia di un matto) Secondo Capitolo


Un inverno di molti anni primaGaldino aveva compiuto diciotto anni da pochi mesi. Nessuna festa, nessuna torta per lui. Solo la consapevolezza di aver raggiunto un traguardo nella vita, null'altro. La scuola era un ricordo ormai lontano, anni buttati al vento e il sapore amaro della sconfitta in bocca. Le difficoltà nell'apprendere, gli scherzi e le cattiverie dei compagni, tutto lasciato alle spalle, pur con fatica. I suoi genitori non si erano adirati più di tanto “Verrai a lavorare con me in cantiere Galdino” gli aveva detto suo padre una sera mentre cenavano “Le spalle buone le hai, e la voglia te la farò venire io, stai tranquillo” La madre aveva versato qualche lacrima, ma non più di tanto. Galdino aveva cominciato così la propria vita da adulto, tra sacchi di cemento, polvere e mani rovinate dalle vesciche. Ed era stato nel cantiere che era iniziato il tutto.La mattinata si era presentata gelida. Una nebbia bassa e avvolgente penetrava le ossa, insinuandosi in ogni angolo del corpo provocando brividi continui. Galdino, per una volta, non aveva dovuto sopportare i rimbrotti del padre “ Sempre con sta bicicletta! Ho la macchina, se ti ammali chi ti sostituisce?” sbraitava spesso tra un colpo di tosse e l'altro. Quel mattino invece, solo la madre l'attendeva al tavolo della cucina “Tuo padre doveva incontrare dei fornitori molto presto. Copriti bene che fa freddo” aveva detto in tono mesto. In sella alla propria bicicletta, pedalando senza fretta, aveva percorso i pochi chilometri che lo separavano dal cantiere. Amava contemplare le strade ancora deserte, i sacchi della spazzatura ricoperti di brina, i gatti randagi. Una volta arrivato, aveva aperto il cancello ed aveva messo la bicicletta al solito posto, di fianco alla baracca degli attrezzi. Non pensando alle ore di lavoro che aveva dinanzi, si era aggirato tra le mura in costruzione e i tubolari dei ponteggi. Spesso, si era ritrovato a pensare che una volta terminate, quelle stanze avrebbero ospitato delle famiglie. Immediato, un groppo lo prendeva alla gola, per trasformarsi poi in un pianto sommesso e silenzioso. E quella mattina non aveva fatto eccezione.Dopo aver girovagato per una decina di minuti, si era quindi deciso a tornare verso la baracca degli attrezzi. Ma, a circa metà strada, la propria attenzione era stata attirata da qualcosa d'insolito. Un particolare che, grazie al repentino sollevarsi della nebbia, gli sarebbe probabilmente sfuggito. Tra la casa in costruzione e la baracca infatti, quello che all'apparenza poteva sembrare un mucchio di stracci, improvvisamente si era mosso. Spaventato, Galdino si era avvicinato con circospezione.La ragazza, poco più che una bambina, giaceva sulla schiena. I jeans e gli slip, calati sino alle caviglie, mostravano gambe magre e bianchissime. Anche la felpa, stracciata in più punti, le cingeva il collo sottile simile a una sciarpa. Il pallore del suo volto, strideva in modo evidente col verde brillante del tessuto. Ma, ciò che l'aveva colpito con più forza, era stata la profonda ferita all'altezza del cuore e il filo di sangue che continuava a colare dall'inguine della giovane. Gli occhi, serrati sino a quel momento, si erano socchiusi e l'avevano fissato intensamente. Galdino non avrebbe mai dimenticato quegli occhi. Di un azzurro intenso, si erano velati rapidamente, sbiadendo in un grigio opaco per poi spegnersi del tutto, per sempre. Come un automa, Galdino si era inginocchiato e aveva afferrato qualcosa a fianco del corpo, osservandolo come se lo vedesse per la prima volta. Il coltello era di quelli da cucina. Nel manico, di un bianco sporco, era inserita una lama lunga almeno una ventina di centimetri. Quasi tutti ricoperti di sangue.In seguito, non avrebbe mai ricordato per quanto tempo era rimasto in quella posizione. Erano stati Oreste e Diego, due suoi compagni di lavoro, a ridestarlo da quella specie di trance “Galdino, che fai in ginocchio? Ehi, sei sordo? Dai vieni che-” Una volta avvicinatisi però, i due si erano bloccati sul posto sgranando gli occhi “Mio Dio...Galdino. Cosa...cosa hai fatto-” aveva balbettato Diego con un filo di voce. Oreste, poco più indietro, aveva estratto un fazzoletto trattenendo a stento un conato “Io...io...è morta” aveva risposto con una voce che non aveva riconosciuto come propria. Ciò che accadde nelle ore successive, rimase sempre un periodo nebuloso per Galdino. L'arrivo dei carabinieri, le manette e la corsa verso la caserma stretto tra due militari che lo fissavano torvi. Gli interrogatori infiniti e le botte prese durante gli stessi. Il processo e la condanna. Il carcere per qualche tempo e il successivo trasferimento in un istituto per malattie mentali.OggiVentidue anni.Le voci, appena dietro l'angolo, gli confermarono che Carmelo e Carlo, gli altri due sorveglianti, si trovavano nel piccolo ufficio. Gli sarebbe spiaciuto doverli uccidere, loro non erano come Onofrio. A Galdino interessava qualcos'altro e nessuno, a quel punto, l'avrebbe più fermato.