Sogno di una notte di inverno inoltrato (1)

Post n°168 pubblicato il 15 Novembre 2009 da And_But_Not_The_End

Quante volte.

Quante volte a sera sei tornato a letto chiedendoti perchè.

Hai amato, tanto.

Sei stato sincero, sempre.

E non hai mai tradito, proprio mai.

Eppure ogni volta sei stato tu a troncare, sempre e solo tu, incapace di accettare che qualcosa non aveva più nulla da offrire, incapace di arrestarti, di fermare le tue mire, le tue pulsanti brame su qualcosa che vedevi ancora più in là di dove sei ora.

Vuoi sempre di più e non sei capace di accontentarti.

E a modo tuo odiavi le Lei di ieri, le Lei di oggi, sicuramente anche le Lei di domani.

Perchè cercavano il compromesso, quel compromesso che tu hai sempre odiato.

La vita è bella, la vita è una sola, la vita va vissuta; questo dicono tutti, ma poi?

Poi rifiuti di gettarti a capofitto in qualcosa che vuoi, scegli una vita normale, quella che tutti si aspettano da te, lavoro, soldi, ventiquattrore, il capo che ci prova con te, il collega timido, appena arrivato, che ti porta il caffè e non riesce a nascondere che ti sta guardando le gambe.

Anche io te le sto guardando, mi piacciono, sono belle, non riuscirei mai a non guardartele, non lo nascondo affatto.

Guardami a tua volta, magari non le gambe, perchè le mie, in fondo, non hanno proprio niente per cui essere viste.

Ogni giorno, oggi come ieri come domani, sempre con la valigietta, sempre con il capo, sempre con il lavoro.

Torni a casa, getti i vestiti sul divano, prendi qualche scatoletta dal frigorifero, perchè non hai voglia di cucinare, ti guardi allo specchio e pensi che sei proprio stanca, sciupata, che non sei più la donna cui tutti correvano dietro al liceo, quella adorata e sognata dai ragazzi in esplosione ormonale, tiri fuori dal cassetto e indossi ancora quella maglietta bianca e verde che ti avevo regalato io - era mia -, quasi per ricordarti chi eri, quando ancora non avevi un futuro da inseguire.

Ora ce l'hai e vivi nell'incubo costante di perdere tutto, di salire in alto e poi accorgerti che dopo quel piccolo tratto in salita, dietro quella piccola cunetta nel percorso, potrebbe nascondersi una discesa inesorabile.

Non sali più sulle montagne russe perchè hai paura, soffri di vertigini e più vai in alto più non vuoi guardare oltre, più vuoi fermarti e accettare quello che hai già.

Proprio come me, anche io soffro di vertigini, ma io no.

Io su quel vagoncino giallo ci sono salito per 9 volte a fila, mi sono sentito male, ma poi ci ho riso per giorni interi.

Perchè nella vita io non voglio compromessi, non voglio rinunciare a niente, perchè avere paura è la normalità, avere paura è vita, nessuno sarà mai certo di cosa gli succederà domani, ma paura o no, la cosa importante è che succeda qualcosa, qualcosa che tu vuoi, qualcosa che tu hai scelto.

Quella sera, tornando a casa, passai ancora una volta per la solita via, il solito parco, il solito pallone abbandonato ai lati del campo, i soliti mendicanti che cercano un posto dove dormire.

Eppure un tempo era diverso.

Ripensai a Lei, perchè Lei sì che era diversa, non avevo mai capito il perchè tra noi fosse finita, sapevo solo che erano anni ormai che non la sentivo più, pur parlandoci costantemente, ogni giorno, nei miei sogni e nei miei desideri rimasti insoddisfatti.

Certe volte, anzi, molto spesso, la vita ti lascia senza un perchè, o forse tu non sei sufficientemente pronto, sveglio, da accorgerti che quel perchè era lì e tu non ti sei voltato in tempo per leggerne il contenuto.

Io non sono mai stato molto sveglio, o meglio, sveglissimo, sempre, ma nel mio mondo fatto di sogni, fatto di un oggi che non vuole mai finire, di un domani che non deve mai cominciare.

Perchè adesso tu sei qui, con me.

Non andartene via.

Aspetta ancora un po', io voglio stare ancora con te.

Appoggiai la testa sul cuscino, girandomi, come sempre, verso il muro.

Ripensai a quella maglietta, bianca e verde, a quanto ti stava bene quando eri con me, quando vicino a quel muro c'eri tu, perchè avevi paura di stare sul bordo.

In quel momento, in quei momenti, in quell'oggi, non c'erano perchè.

Non c'erano ragioni.

Non c'erano pensieri, problemi, tormenti, domande.

Non c'era futuro, non c'era un lavoro da trovare, soldi da portare a casa, cane da portare a spasso, il mangime da dare al pesce rosso, rifare i letti, cavolo il frigorifero è vuoto, le scatolette sono finite, e allora corri a fare la spesa.

Non c'era la crisi, non c'erano morti, non c'erano genitori, parenti che litigano, non c'erano eredità da incassare, processi cui testimoniare, non c'era l'odio di chi non sa più come guardarti, non c'era la pressione di dover essere qualcuno.

Non c'era niente.

Perchè tutto quello che c'era, era una piccola figura rannicchiata alla mia, mmh, destra?

Non sono mai stato capace di distinguerle.

E in quel Tutto che mi sorrideva, si avvicinava  e mi dava un bacio, prima di richiudere gli occhi - e darmene un altro -, c'erano tutti i perchè della mia vita.

Gli unici, cui stasera avrei voluto dare un'esauriente risposta.

[continua...]

 
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In fondo, alle volte, è giusto così.

Post n°167 pubblicato il 21 Agosto 2009 da And_But_Not_The_End

Guardi nervosamente l'orologio e ti sembra che il tempo, quel tempo, quello che in un sospiro segue le foglie portate via dal vento, ecco, proprio quel tempo sembra non passare mai.

Sei ancora lì, come ieri, come tutti i giorni in cui con ogni tipo di scusa idiota le dicevi che non le avresti mai permesso di tornare a casa da sola.

Anche se la sua zona non è malfamata come la tua, anche se sono solo 10 minuti a piedi, anche se potresti dire tutti gli anche se del mondo.

Ma io anche oggi l'avrei accompagnata a casa.

E l'avrei vista sorridermi, darmi un bacio a metà tra labbra e guancia, uno di quei baci che ti fanno incazzare da morire, perchè non sai mai se sono voluti o meno, se si è sbagliata o se voleva sfiorarti le labbra per dirti "allora, ti muovi o no? io aspetto solo te".

Che bello avere 15 anni, non capire ancora nulla della vita, non pensare nemmeno a cosa possa essere la tua vita, a cosa possa riservarti, a quante emozioni porgerai implorante la mano, a quante lacrime abbandonerai i tuoi occhi, a quante stelle affiderai la notte i tuoi dormienti respiri.

Sognavi Andre, sognavi anche allora.

Sognavi di essere il suo eroe, sognavi di salvarla da questo o quel cataclisma, sognavi di sentirti dire che sareste stati insieme per sempre.

E in fondo, nemmeno l'avevi riconosciuta, dovevi solo andarla a prendere quella prima volta, ti passò di fianco e tu?

E tu tra te e te "Ma no, è troppo bella, non può essere lei".

E di colpo, rientrando a casa, un vocabolario di latino, mia madre a dirti che i pluralia tantum sono questo questo e quest'altro -me li ricordo ancora, ma non mettetemi alla prova a quest'ora vi prego-, occhi a te, occhi a me.

Eri tu.

E in quel nano secondo in cui la porta mi si chiudeva dietro le spalle e le tue labbra tinte di rosa e rese morbide, ancor più morbide dal burro cacao si aprivano per dirmi Ciao, io sognavo.

Pensavo che eri bella, troppo per lasciarti al triste destino di un Cum narrativo o una consecutio temporum, troppo per non dare alla mia fantasia il lasciapassare per una lunga storia d'amore, il primo bacio, la prima volta, le canzoni, le passeggiate mano nella mano, le figure di merda.

Sì, perchè io ne faccio sempre tante.

"Ciao Andre, ti ricordi di me?".

Sì, ora sì.

E come potrei dimenticarti.

Camminavo avanti e indietro sotto casa tua quel pomeriggio, quello dopo lo "ieri" in cui ti avevo accompagnata a casa.

Volevo che tu fossi mia, volevo suonare il tuo citofono dirti di scendere, abbracciarti, tenerti stretta a me, guardarti negli occhi e dirti che tutti quei 10 minuti a piedi erano stati splendidi, che tutti quei baci a metà erano stati linfa vitale, nutrimento per il mio sogno, dirti che la mia favola aspettava la sua protagonista.

E che dietro di noi era pronto un C'era una volta.

Camminai, avanti e indietro, sotto casa tua, quel pomeriggio.

Guardai bambini e mamme, e nonne, e nonni, e cani, andare tutti al parco di fronte alla tua finestra, vidi il sole saltare in alto a mezzodì e ricadere verso il basso verso le sei, vidi il cielo passare dal ceruleo e intenso all'arancio, rosso, rosa, velato dalle nubi, e diviso dai rami secchi degli alberi che si apprestavano al loro ennesimo inverno.

Ho camminato tanto quel giorno, pensando a cosa dirti, a come dirtelo, a cos'avresti risposto.

Avevo 15 anni e avevo ancora paura di tutto, ancora non capivo che la paura non è una cosa da evitare, ma è una cosa da abitare.

Non importa quante paure tu abbia, non sei più o meno forte se fai finta di essere invincibile, la paura va accettata, devi sapere che quando volerai ti tremeranno le gambe dall'inizio alla fine, maledirai tutto e tutti, soprattutto te stesso perchè sei un coglione e avresti dovuto lasciar perdere.

Ma volerai lo stesso.

Avrai sempre paura di tutto, come quella volta a 15 anni quando dovevi dichiararti alla donna che amavi.

Vivrai sempre con il cuore in gola, il pensiero costante che qualcosa sta per succederti, di positivo, di negativo, non lo so.

Inizierai un nuovo livello, saltellando come Super Mario, vedrai città, conoscerai amori, emozioni, sofferenze, anime perdute e anime che ancora non si sono trovate, alberi spogli e rigogliosi sempreverdi, treni, aerei, uccelli che migrano e ti seguono ovunque, onde del mare, scogli avvolti dai flutti che riemergono ogni volta, neve, sole, grandine e tempesta.

Vedrai tutto, perchè hai una vita davanti, da vivere, che varrà la pena di essere vissuta in ogni attimo, in ogni sorriso sfatto e ansante con cui ti rimboccherai le coperte la notte, conscio che una nuova stella si è aggiunta nel cielo.

Ne avrai tante da guardare, il tuo bel cinema, con la tapparella sempre alzata.

Apri gli occhi Andre, ora basta camminare.

Hai 15 anni, avrai tutto il tempo per farlo e per renderti conto che alla fine di fiato ne hai tanto per correre e correre ancora.

Suonai quel citofono, dopo 6 lunghe ore di avanti e indietro in quella via, davanti al parco, sotto al suo balcone.

Le avrei detto che la amavo e che volevo stare con lei.

"No, non c'è, è andata a studiare da un'amica e si ferma a cena da lei."

Il sole è tramontato.

Il sogno, anche per oggi, è rimasto chimera, è rimasto desiderio da cullare in un'altra notte di morfeica ispirazione.

Ho camminato per 6 ore e alla fine tu non c'eri.

Un altro bacio dato a metà, a metà tra l'averlo sentito e il non averlo assaporato ancora.

6 ore, tanti di quei 10 minuti che abbiamo passato insieme.

Sorrisi, tornai a casa, percorrendo ancora una volta quei 10 minuti, sperando che domani, sì, domani, tu saresti stata lì con me a guardarmi ancora una volta, donarmi l'ennesimo batticuore e prendermi per mano, dicendomi che eri tu, bella, troppo bella per una versione di cicerone o per il de bello gallico di cesare.

Eri tu, lo sei stata e a 15 anni, quelle 6 ore, sono state a loro modo bellissime, di cui riderci, tante e tante volte, quando dopo, a cose fatte mi avresti detto che anche quella volta, avevo fatto una bella figura di merda.

Ma in fondo, alle volte, è anche giusto così.

 
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Vieni con me.

Post n°166 pubblicato il 14 Marzo 2009 da And_But_Not_The_End

Parlo troppo.

Lo so.

Ogni volta che scrivo qualcosa chiudo gli occhi e lascio che siano le parole a trasportare me, non sono mai io che comando in ciò che scrivo.

Sono una sottospecie di naufrago, partito con una esile zattera di tronchi rinsecchiti e legati male in cordicelle sfilacciate, finita in balia di una serie di tempeste.

Su che terra poggerò i miei piedi non lo so, non lo saprò mai, perchè quando vieni travolto dalla furia degli elementi tutto ciò che puoi fare è sperare, chiudere gli occhi, trattenere il respiro e sperare che un giorno, lontano o vicino, tu riaprirai quei tuoi splendidi diamanti color dell'acqua.

Oddio, io gli occhi li ho castani, ma vuoi mettere il diamante color d'acqua?

Parlo di te stasera, sei tu il mio vortice.

Vorrei tanto poterti descrivere in 3 parole, vorrei tanto esser capace di dirti che sei bella, simpatica, intelligente, sensibile, coscienziosa, eccitante, meravigliosa, vorrei tanto poterti dire tutto questo.

Ma se ti avessi qui davanti ti direi che sei puntuale.

E tu non capiresti e mi guarderesti con l'aria un po' così di chi sa che ogni volta che io dico "Ti devo dire una cosa importante" sto già per dire la cazzata.

Quell'aria di chi soffia sul caffè appena caldo, quell'aria "chissà sto scemo cosa mi dirà stavolta".

"Ora basta parlare di te, casanova, parla di lei!...che è intelligente, spiritosa, i capelli, gli occhi...quello che vuoi ma datti da fare!!"
"Principessa Jasmine...voi siete..."
"...affascinante, strepitosa, coscienziosa, meravigliosa, attraente, puntuale!"
"...PUNTUALE!"

Hai capito adesso?

Puntuale.

In realtà non lo sei mai, mi dici ti chiamo tra cinque minuti e il tempo va e passano le ore -e finalmente faremo l'amore-, mi dici che vai a dormire e poi resti con me fino a quando la tua voce diventa così leggera che si confonde con i sospiri leggeri che il vento poggia sulle mie labbra.

Dormo sempre con la finestra aperta e la tapparella alzata, anche d'inverno, guardo la luna, le stelle, anche quando non le riesco a vedere, mi piace l'idea di avere sempre qualcuno cui volgere i miei occhi, l'idea di un porto ove i miei tormenti trovino, seppur per subitanea ma fugace parentesi, quiete.

Vorrei ogni notte, appoggiare la testa sul cuscino sapendo che tra un'oretta o due sentirò vibrare il cellulare tra le mani, risponderò e tu tutta seria mi dirai "amore ho voglia di fragole".

Fra..fo..l..frag..ol..e..Fragole.

Fragole?!

E dove le trovo le fragole alle 3 del mattino?

Vorrei sentire ancora la tua voce chiamarmi, in qualsiasi modo, chiamami scemo, cretino, tesoro, campione, nano, chiamami come vuoi, ma chiamami amore.

Vorrei porgerti la mano e chiederti se ti fidi di me e tu mi risponderesti di no, come al solito.

"Ma cavolo, ho pure preso il tappeto volante, e mò che faccio?".

Fidati di me.

Ti porterò tra fiumi e prati in fiore, tra stelle comete e galassie mai scoperte, faremo cadere insieme la pietra all'egiziano che lavorava alla sfinge, andremo in Cina, in Perù o a Timbuctu.

Sono er mejo der Colosèo.

Mi vestirò elegante, ti inviterò a ballare, perchè è una storia sai, vera più che mai, che ti sorprenderà come il sole ad Est.

Quel sole che mi sveglia ogni mattina.

Quello che mi dà il buongiorno tra un'equazione esponenziale e un sonetto di Shakespeare, tra un bacio dato già e uno mai dato, sognato, desiderato, quasi sentito per davvero.

Ma che forse le tue labbra non sentiranno mai.

Per altro io non sono capace di ballare e nemmeno di vestirmi bene, non so pettinarmi i capelli, mi sveglio al mattino e quando il risveglio è con il bacio del sole io esco così come sono.

Perchè sono bello, bello di te.

E porto i pantaloni, vero bambini?

Seh, pantaloncini da basket e magliettina senza maniche.

Ti direi centomila cose, potrei scrivere per ore, parlare per altrettante -e tu lo sai-, fare tutto e anche di più, come la RAI, per tutte le ore di questo mondo.

Quando vedo la tempesta, spero sempre che mi venga incontro, non ho paura della pioggia, non ho paura del gelo, non ho paura di sentire centomila spilli entrare nel mio corpo, perchè l'acqua dell'oceano solcato dal Titanic è veramente fredda.

Ha piovuto per tanto, troppo tempo, le uniche carezze che ricevevo erano quelle delle gocce di pioggia, leggere, delicate, bagnavano la punta dei miei capelli, scendevano fino al collo.

E sussultavo, un brivido, una mano nella maglietta perchè cavolo, giu per la schiena fa troppo freddo poi.

Vorrei non aver mai aperto gli occhi, perchè io sono così, gli occhi li apro solo quando dormo, perchè nelle ore in cui vago cantando e ciondolando per una città che non è la mia, in cui scrivo, parlo, faccio e dico cose che non sono mie, in cui passo sempre davanti agli stessi negozi senza un perchè.

Io sto dormendo.

Chiudi gli occhi Andre, sogna ancora.

Perchè è quella la tua vita.

Sì, è dormire sul divano perchè agli allenamenti dal balcone sei stato scoperto che parlavi con un'altra, è svegliarsi la mattina "tuturuturututtu" con la voglia di parlare, solo con te.

Svegliarsi sapendo che anche tu lo devi fare.

Ed è fare il buffone con i nostri figli, dir loro che oh ragazzi qui comando io, guardate come faccio correre mammina, allora donna è pronta la cena?

Ma dove vuoi andare Andre.

Comanda lei.

Vero?

Non la dimenticherò mai, quella mattina, quella giornata e quella notte.

Pioveva.

Ma la mia guancia non era solcata da mille gocce che prostituiscono la loro anima a tutti i passanti, che non sono mie, sono di tutti.

C'era la tua mano, calda, dolce, mia.

Mi accarezzava, mi faceva chiudere gli occhi, mi faceva sognare, da sveglio o da dormiente, da quel cazzo che è, non me ne frega niente -rima!-.

Ha piovuto per tanto tempo, piove ancora e forse pioverà sempre nel mio cielo, perchè uno che non sa sorridere continuerà a vedere le finestre rigate dalla tempesta e i suoi orizzonti densi di nembi oscuri e lampeggianti.

Ma quando quella mano mi faceva chiudere gli occhi, spuntava il sole.

Ridevo.

Sorridevo.

Piangevo ridendo.

Davvero, è solo un gioco, è solo un'illusione, è solo un sogno.

Ma per me questo è tutto.

Il gioco, l'illusione, il sogno.

Ha mai amato il mio cuore, se fino ad ora non aveva conosciuto la bellezza?

Ho il muso lungo, sono girato di spalle e non voglio parlare con nessuno, nè ascoltare alcuna voce profanare il sacro, religioso silenzio.

"Amore, lo vuoi un bacino?".

...

"Amore, non lo vuoi?".

...

Sei bella.

Lo voglio.

Lo vorrò sempre.

Perchè quando pioggia e sole si incontrano, spunta sempre l'arcobaleno e tu corri per poterlo vedere, correte bambini  venite a vedere l'arcobaleno.

Pensi che è bello, leghi ad ogni colore un'emozione, un ricordo, un pensiero.

Il primo che vidi sullo sfondo aveva anche un bel cerbiatto, in Trentino dove ho la casa.

Certo il cerbiatto non ce l'avevo in casa.

L'arcobaleno passerà, perchè al mondo tutto passa e tu sei solo la stazione in cui il treno fa 15 minuti di sosta.

Ma finchè è davanti ai tuoi occhi, chiusi o aperti che siano, non puoi fare a meno di pensare che è bellissimo, meraviglioso..insomma, puntuale.

Raggi di sole filtrano le nubi.

Colpiscono il tuo viso.

Ti sporgi dalla finestra, tenendoti ben stretto perchè sei un coglionazzo che soffre di vertigini, non dimenticartelo mai.

Guardi tutto di fronte a te, vedi tappeti che volano, belle e bestie che ballano tra candelabri e orologi, gatti che suonano il pianoforte, innamorati che "dove la porto signorina? Su una stella", lacrime da film sotto le coperte con il caminetto acceso.

Andre ti sbagli, fuori dalla finestra c'è la città, grigia, cupa, con la nebbia, sì, quella per cui mi si prende sempre per il culo.

No, siete voi a sbagliare.

Sorridi.

E va bene così.

Non c'è nient'altro da dire, non vi pare?

Fidati di me.

Prendi la mia mano.

E vieni con me..nel regno delle favole.

 
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La notte, che non dorme mai.

Post n°165 pubblicato il 11 Marzo 2009 da And_But_Not_The_End

Quante ferite ha il tuo povero corpo.

Dilaniato, straziato, ridotto in brandelli dall'Achille di turno.

Gira intorno alle porte Scee, un altro giro dinnanzi a Priamo, ad Ecuba, ad Andromaca e Astianatte, infante in fasce tra le braccia della madre.

Muori Ettore, muori.

Onore, gloria, trionfi e delusioni.

Cicatrici che adornano il tuo corpo, come medaglie al valore di una vita vissuta, una vita di ricordi, di sensazioni, di cose, sì, semplicemente cose, che non dimenticherai mai.

Guardati le braccia, non hanno segni, non hanno ferite, nemmeno la stortura leggera di due dita fratturate.

Rompitele ancora.

Sì.

Ma nel mio cuore nessuna croce manca, è il mio cuore il paese più straziato.

Tombe, cimiteri, fiori, preghiere.

Passi solenni, che incedono lungo la ghiaia, che scendono le scale dell'Averno, voi, che nulla eravate, che nulla siete e che nulla siete diventate.

Voi, mie piccole fiammelle di vita e di speranza.

Voi, dove siete finite.

Falciate dalla morte, dal suo ghigno luminoso d'acciaio, brandito da ossute braccia che senza sforzo troncano le vostre candide cervici.

Lunghe chiome si posano in terra, ciocche bionde, rosse, canute e tinte.

Di tante braccia verso me protese, di tante membra che mi invitavano ad entrare, non è rimasto che qualche pallido ricordo.

Dove siete.

Brucia fiammella, perchè sei bella ed è così bello guardarti bruciare.

Dirigerti verso l'alto, spingerti verso l'aere più profondo e oscuro, non aver paura, io ti abbraccerò.

Caron dimonio, occhi di bragia, accogli e traghetta le anime dei defunti verso il loro girone, di fronte ai loro peccati, al contrappasso dei rintocchi di un orologio che scandisce inesorabile il tempo che non trascorre mai.

L'eterno presente.

La morte.

Una piccola goccia di cera sta colando, non spegnerti mia piccola candela, resta ancora accesa.

Pallida e tremolante, esile ed indifesa.

Vinci l'invidiosa notte, resisti ancora, te ne prego.

Sii compagna della mia solitudine, sii amica delle gocce dei miei occhi, vola in alto a prendere le mie dita e baciarle ad una ad una.

Bruciami, io non ho paura.

Non sorridere ad altri, non chiamarli con il mio stesso nome, devi essere mia, solo mia.

Il mio piccolo tesoro, pieno di sonanti monete e di dobloni sfavillanti.

Il sogno proibito di ogni uomo, sì, tu sei mia, solo mia.

Non mostrerai ad alcuno la grazia del tuo piacere, vivrai nel nome dell'amore che mi porti, sirena ammalierai le mie orecchie con melodiosi canti, con poesie interminabili, con cantilene e note che mai nessuna orchestra sarà in grado di suonare.

Sei così piccola, sempre più piccola.

Non abbandonarmi.

All'orizzonte scompare un treno, l'ennesimo, vagone dopo vagone, così grande, così lungo, ridotto ad un puntino.

Fermati, non lasciarmi.

Resta con me, la tua ultima stazione, la tua ultima tappa.

Non andare oltre, perchè oltre non c'è niente.

Caron dimonio, quanti treni hai visto passare, quante anime hai traghettato.

Piange il mio cuore, dilaniato e sfatto.

Barba incolta ed occhiaie di interminate veglie.

Quante anime hai condotto nella valle di lacrime dentro al mio cuore, quante fiamme estinte, quanti gironi raccolgono ora frotte urlanti di miscredenti e traditori.

Voi mi avete tradito.

Brucerete in eterno nel mio cuore, brucerete delle fiamme che voi stessi avete alimentato.

Sentite ancora lo schiocco dei ceppi gettati nel caminetto.

Ti stai spegnendo anche tu, mia piccola candelina.

Vedo la tua fiamma sempre più lieve, quasi scomparire.

La cera cola ancora, ti accarezza il corpo, fino ad arrivare sulla mia mano, tingendola di rosso.

Lasciami i segni amore mio, marchiami.

I miei occhi sono fissi su di te, ti vedono sempre più prossima all'ultimo vagone, ti vedono diventare sempre più piccola.

Non è bella la donna mia quando altrui saluta, non lo è quando nasce sotto il nome Capuleti, non lo è quando smette di guardarmi negli occhi e cullarmi in un sorriso, in un canto di buonanotte.

Mi alzo, cammino portandoti di fronte alla finestra.

Anche stasera la tapparella è alzata, guarda.

La notte è ancora giovane.

Il buio è ovunque, è là fuori, è qui dentro, è proprio qui dentro.

Hai paura vero?

Anche per te, nuova fiammella.

Ora è tempo di morire.

Arriverà.

Una nuova candela da amare finchè anche tutta la sua cera non sarà colata tra le mie mani, che grondano sangue.

Sciolta, spenta, defunta.

In un sospiro, in una parola, in un sorriso leggero e una lacrima sul viso.

Un soffio di fiato.

Muori fiammella.

La tua candela si è spenta.

Un soffio, un solo ed unico soffio.

Labbra schiuse.

Eccolo.

Un soffio.

Addio.

 
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Please my wings fly me away..

Post n°164 pubblicato il 09 Marzo 2009 da And_But_Not_The_End

La notte porta consiglio.

Si dice così no?

Sia che tu dorma sia che tu stia sveglio, senza ben capire in realtà quando dormi e quando sei sveglio, la notte ti aiuta.

Ti fa vedere chi sei, cosa vuoi, cosa pensi, cosa hai e soprattutto cosa non hai.

Rivedi te stesso quando eri piccolo, quando ancora non sapevi niente, quando ancora prima di andare a letto guardavi dietro la porta e fuori dalla finestra per vedere se la Maschera di Ferro di D'artagnan quella notte sarebbe venuta ad ucciderti.

Avevi paura che le api ti pungessero perchè poi ti si gonfiava il braccio, avevi paura che la mamma ti vedesse mentre rubavi la cioccolata perchè poi ti dava le sberle sulle manine e ti diceva che no, così non si fa.

Sognavi di volare, perchè quando allungavi le braccia non riuscivi mai a raggiungere le stelle, ti alzavi sulle punte, saltavi, ma non ci arrivavi comunque.

Cosa sono quei puntini luminosi nel cielo?

Sono i grandi re del passato che ci guardano.

Davvero?

Non lo so, però quella frase del Re Leone mi piaceva tanto.

Da piccolo tu non sei nessuno e non ti importa nemmeno di essere qualcuno.

Ti senti chiamare Andre e ti giri, oppure scappi quando sai che hai fatto qualcosa di male, ti nascondi, fai finta di non sentire o fai finta di dormire.

Corri via mentre i tuoi amici contano, cerchi di trovare il posto in cui non riusciranno mai a raggiungerti, cerchi di essere una stella, ti cercano, li vedi, li senti, sempre piu vicini.

Chiudi gli occhi.

Non mi hanno visto.

Corri Andre, corri a liberare tutti.

Tutti chi?

Ti guardi intorno, ancora una volta e vedi soltanto foglie che cadono dagli alberi, il manto verde che circonda la tua casa diventare improvvisamente rossastro, giallognolo, grigio.

Di tanta erba è rimasto solo un pugnetto di terra cenerea, di tante chiome a contrastare il vento è rimasto solo qualche ramoscello rinsecchito che faticosamente si protende ancora verso il cielo, dicendo no, io oggi non mi staccherò.

Delle corse a perdifiato, delle zanzare e dei moscerini che ti riempivano di punture, delle biciclette con i loro campanelli, delle cadute, delle partite, delle ginocchia sbucciate e delle lacrime che, quelle sì, scendevano sempre.

Di tutte le volte in cui liberavi tutti, ti guardavi intorno e ridevi, avete visto? Ho liberato tutti, sono stato bravo.

Sì, sei stato bravo.

Il più bravo di tutti.

Ma la strada è lunga, passo dopo passo lo diventa sempre di più, ti guardi indietro, poi di nuovo dritto di fronte a te.

Dove corri Andre?

Dove corri bambino mio?

Io, io.

Io non lo so.

Quando guardavi in terra da piccolo, vedevi questo disegno nero, questa sagoma e ti chiedevi di chi fosse, vedevi quella dei tuoi genitori, quella del tuo amico un po grassottello, le vedevi tutte piu grandi della tua, provavi a calpestarle, provavi a correre per diventare alto come loro.

Provavi a stringere le dita di tua madre, mentre cercavi di imparare a camminare, la tua manina era sempre piu piccola e quelle dita così grandi ancora adesso non avresti mai il coraggio di stringerle.

Sei diventato grande Andre.

Sono passati 23 anni in cui sei cresciuto, ti sono cresciuti i capelli -belli vero?-, ti è cresciuto il naso -un po' meno-, sei diventato più alto -o meno basso-, hai più cervello -forse-.

Sì.

Sono io.

Anche la mia ombra è cresciuta, le mie braccia.

Ma quando, la notte, solo e pensoso senza deserti campi da misurare a passi tardi e lenti, guardi ancora le stelle sapendo cosa sono, sapendo che sono a miliardi e miliardi di km di distanza, allunghi lo stesso la mano.

Scosti la tenda, accarezzi il vetro della tua finestra, le conti ad una ad una e in ognuna di esse rivedi il tuo passato.

Rivedi le persone che hanno preso quella mano e ti hanno accompagnato per un po', fino alla prossima meta, la prossima stazione, la prossima stagione, la prossima volta in cui correndo come un matto avrai liberato tutti.

Una, due, tre, quattro.

Tante stelle nel mio cielo.

I grandi re del passato mi guardano.

Le grandi persone del mio passato mi abbracciano, mi scaldano, mi tengono ancora compagnia.

Vivono nei miei ricordi, vivono dell'amore che ancora conservo gelosamente, come una rosa malvagia che perde i petali rinchiusa in una teca di cristallo.

Quando l'ultimo petalo cadrà sul manto roseo dei suoi compagni, la maledizione sarà compiuta, sarai definitivamente una bestia, la bestia, sola e abbandonata, schifata dagli umani e allontanata dalle fiere.

Odiata, temuta, disprezzata.

Sarai l'orco cattivo dei racconti delle madri ai figli, sarai l'incubo, la maschera di ferro da controllare dietro porta, letto e finestre, sarai quello che nessuno vorrà mai essere, la vittima sacrificale degli strali e delle voci, delle grida e degli strepiti.

La bestia.

Uccidiamola.

Ha tante stelle il mio cielo, ogni giorno, ogni notte una stella in più.

Splendi stellina mia, non spegnerti, non morire mai, perchè quando anche l'ultima luce si sarà spenta, io non avrò più nemmeno il tuo conforto ad accompagnare i miei occhi tra le braccia di Morfeo.

Guardami.

Come quella volta in cui guardandoti mi addormentai in mezzo alla neve.

Ho bisogno di te, ho ancora bisogno di te.

Il passato non ci abbandona mai, lo temiamo, lo patiamo, ne coltiviamo tensioni, pulsioni, frustrazioni.

Hai sofferto, hai odiato, hai urlato.

Vi sfido stelle.

Chiudo la tenda, richiudo la finestra, non abbasso la tapparella, no non lo faccio mai.

Sorrido.

Sì, mi viene da ridere.

Ho 23 anni, ho tante stelle nel cielo, ho un passato che mi segue come un'ombra che mi sembra più grande ogni giorno che passa, non so chi sia nè dove sia il sole che la proietta, forse sono io stesso, è dentro di me che tutte le ombre oscure asfissiano lo spazio all'amore mio, immenso e puro.

Quell'ombra mi segue sempre.

Corri Andre, corri, liberati, liberati.

La tua ombra si è distratta, scappa e liberati.

Mi viene da ridere.

Penso a quando ero piccolo.

Passato.

Temevo anche allora questa parola, mi faceva inorridire.

Perchè significava che quella sera a cena, la mamma avrebbe preparato il passato di verdure.

E certe cose, in fondo, non si dimenticano mai.

Come tutta quella brodaglia verdognola, che mai, mai e poi mai, riuscirai con soddisfazione a mandare definitivamente giù.

 
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