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Scuola Subacquea, Nautica, Diving e Circolo Sub

 

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Sensazioni di un Corsista

Post n°14 pubblicato il 21 Novembre 2009 da maxcervoni

Il Corso

 

Qualche mese fa un mio amico insisteva parecchio per farmi andare in piscina.
Lui fa l'istruttore. Non so se perché gli sto simpatico o perché mi voleva far soffrire dove lui era più forte, fatto sta che alla fine ho ceduto.

No, a me l'acqua non piace tanto. Si mi lavo, la doccia, il bagno come tutti.
Il mare mi fa un po' paura, da piccolo passavo le vacanze in montagna, grandicello al mare ci son stato ma più che altro per godere dei topless e dei falò notturni.

Lo snorkeling mi affascina... cos'è? Me lo chiedevo pure io quando un'amica di ritorno dal mar Rosso mi ha detto: " Ho fatto snorkeling tutti i 15 gg". L'ha detto con quell'aria da gran donna, gonfiando il petto già ricco di per se. (Forse è stato quello ad impressionarmi).
Ho pensato tra me e me "Sti cazzi! Pure io lo devo fare, sarà qualcosa del kamasutra". Invece no.. vuol dire nuotare con la maschera, il boccaglio e il culo al sole e guardare i pesciolini.
Ho provato pure a fare dell'apnea, 10 secondi li facevo tutti. Giù' a 2 metri e di fretta a riemergere.

Non so come ha fatto a convincermi, forse parlando di ragazze in costume, forse declamando sensazioni improbabili.
Pensare di fare il Sub.. quasi non ci credevo neppure io.

Tre mesi mi sembrava un tempo troppo lungo per imparare a respirare da un tubo e quando ho scoperto la prima lezione che di bombole, pesi etc non se ne parlava prima di aver imparato a nuotare sono rimasto un po' deluso.
Non ci ho messo molto però a capire quanto fosse importante lo stare in acqua, quanto sia bello tuffarsi e trovare una temperatura accogliente, fetale. Come i rumori siano attenuati, come lo stress accumulato nella settimana affoghi uscendo dai pori.

Posso dire di aver imparato a stare a mollo. Di aver capito come rendere più efficace il respirare come muovere gambe e braccia per far meno fatica.
Se proprio devo esser sincero, anche fare un po' di casino con i compagni di corso e il trattenermi dopo a mangiare al bar ha svolto un ruolo coadiuvante (perché mi viene da dire "per il mal di gola" quando uso la parola coadiuvante?)
Poi nuotare (non si dovrebbe dirlo) al seguito di una bella ragazza, le cui piccole imperfezioni sono corrette dall'effetto galleggiante dell'acqua è uno dei piaceri che rendono più fioco qualsiasi sforzo.

Il tempo è volato, le lezioni di teoria smitizzato i dubbi e le paure, in men che non si dica ci siamo ritovati con bombole, erogatori, pesi ed un compagno sul fondo della piscina... udite udite respiravamo!
Ci si riesce, sembra esserci uno gnomo che ti soffia aria nei polmoni proprio quando vuoi tu, non fai a tempo a iniziare a pensarlo che lui apre il rubinetto.
Merito agli istruttori (speriamo nello sconto sul prossimo brevetto) che, con lo sguardo rassicurante persino attraverso la maschera, hanno fugato ogni momento di tensione.

L'esame. Quasi a sorpresa, meglio così.
L'esame "in bacino delimitato": in piscina detto facile.
Manco all'inizio del corso ho nuotato così male. La vasca in immersione (un tuffo e un po' di rana sotto la superficie) si è trasformata in un annaspare col culo all'aria per cercar di tener la testa sotto. Anche la tensione fa parte dell'esame. La prova con le bombole invece bene, il peggio era passato.

La teoria una passeggiata, e pensare che avevo pure ripassato la sera prima. I concetti non sono molti ed un poco di raziocinio permette di districarsi facilmente tra le leggi fisiche e il fantasma dell'embolia.
La piscina non è il mare però, il brevetto non si può conseguirlo solo contando le piastrelle sul fondo con l'acqua a 30 gradi.

Quello che non mi ha fatto dormire la sera prima è stata la prova in mare: 2 immersioni in un giorno.

Partenza da Milano di mattina presto (a qualcuno sembrerà tardi.. a me piace rigirami tra le coperte però). Ore 7: 30 in autostrada, direzione FRAMURA tra Deiva e Levanto, ai margini delle cinque terre, il "paradiso ligure".
Poche parole in auto, la fidanzata al fianco per cercar sostegno e conforto. Appuntamento alla stazione, si è preferito trovarci sul posto per non creare una colonna di camper, fuoristrada utilitarie ed altri veicoli assortiti.
Ore 10:00 precisione militare come ci hanno insegnato al corso.

"Ciao il viaggio tutto bene, oh ma ci sei anche tu". Il finto sorriso di quello che si sta cagando addosso ma vuol far capire all'atro di essere più maschio.
Qualche battuta da mattina presto e giù in spiaggia, borsa con muta profondimetro 8 chili di pesi, scarpe, guanti, maschera pinne erogatori l'asciugamano. Poi la bombola 18 litri di aria compressa a 200 atmosfere.. Sub o muli?

Ragazzi l'11 Aprile non l'avevo mai fatto il bagno, ormai si era lì, c'era il sole, mogli e ragazze a cui non si poteva mostra codardia e pian piano abbiamo indossato la muta, un preservativo di 5 mm di spessore, da testa a piedi, solo parte della faccia scoperta. La cintura con i pesi come se non bastasse. Poi passetti piccoli nell'acqua sperando che non ne passi nemmeno una goccia sotto la muta.... arrrrrrrgghhhh è entrata l'acqua cazzo.

Quando sei cosi conciato si fa fatica restare in piedi anche nell'acqua, ogni sasso sul fondo diventa viscido e provocatorio, ogni minima ondulazione del mare un onda anomala che ti sommerge. Ma il vero sub resiste, anche se beve in un metro d'acqua. Quando hai la bombola sulle spalle gia' ti senti piu' sicuro e ti accorgi che come d'incanto la tensione e' sparita, soggiunge il ricordo di come si sta bene in acqua, "Forza ragazzi altro giro altra corsa inserire il gettone e via".
Le raccomandazioni degli istruttori, trasformati come d'incanto in mamma chioccia. "Si facciamo i bravi", "si vi seguiremo in capo al mondo".

30 metri di nuoto in emersione e il segnale "GIU'". Come nei film, in braccio verso il cielo, il corpo e il viso che scompaiono misteriosamente tra i flutti, una scia di bolle a ricordare che esistiamo ancora.
L'ultimo controllo sott'acqua che tutto sia OK uno sguardo al fido compagno, un cenno di complicità. Si nuota, l'acqua è a 12 gradi ma con la muta sembra brodo. Un nuovo mondo, senza tram e scooter che ti attraversano la strada, senza il capo che declama nuove procedure. Limbo e paradiso, la musica del mare, i colori della tranquillità.

Un tubo della fogna che potrebbe rovinare la poesia invece si trasforma in una guida verso scogli sommersi più interessanti, l'istruttore con una pila illumina anemoni e altre starne bestie che prendono colore, ogni fessura nella roccia e' un tesoro da scoprire. Inebriati passano i minuti, neanche guardo il profondimetro per vantarmi poi con gli amici della profondità. Tempo e spazio si confondono e cullano me e i miei compagni.

Da non crederci sono passati 45 minuti, l'aria è ancora abbondante ma le prime volte è bene tenerne una buona riserva e si decide di uscire.

L'ho fatto, io c'ero, sta emergendo un nuovo uomo, se guardo bene magari una piccola branchia da qualche parte mi è spuntata.
Non c'e' sorriso migliore che quello dei compagni che hanno avuto le stesse sensazioni, se non avessimo la maschera magari qualche lacrima ingrasserebbe il mare.

Marco Moniga

 

 
 
 

Deontologia Professionale

Post n°13 pubblicato il 20 Novembre 2009 da maxcervoni

Deontologia professionale di un Istruttore Subacqueo o Responsabile Diving

La Deontologia Professionale consiste nell'insieme delle regole comportamentali, il cosiddetto "codice etico", che si riferisce in questo caso ad una determinata categoria professionale.

Talune attività o professioni, a causa delle loro peculiari caratteristiche sociali, devono rispettare un determinato codice comportamentale, il cui scopo è impedire di ledere la Dignità e la Professionalità di chi sia oggetto del loro operato.

Chi non rispetta tale comportamento è un cialtrone.

 

 
 
 

Le Boe Segnasub

Post n°12 pubblicato il 27 Marzo 2009 da maxcervoni

Una boa segna sub è il dispositivo mediante il quale un sommozzatore in immersione, un apneista o un semplice nuotatore, segnalano la propria presenza in acque libere.

Per legge, ma soprattutto per sicurezza, il subacqueo è sempre tenuto a segnalare la propria presenza mediante la bandiera segna sub e deve mantenersi entro 50m da essa. Le barche naturalmente devono invece transitare ad almeno 100m. La bandierina può essere posizionata sopra una barca o su una boa.

Per maggiori dettagli circa la normativa che regola la segnalazione di sub in acque libere vedere la voce bandiera segna sub.


Parti
Elemento fondamentale e caratterizzante della boa segna sub è la bandiera segna sub, che costituisce il vero e proprio segnale. Il corpo galleggiante della boa fa da supporto per la bandierina, è colorato in modo da essere facilmente visibile in mare (300m) ed è tipicamente dotato di una sagola di lunghezza compresa tra i 20 e i 50m. All'altro capo della cimetta tipicamente c'è un avvolgi sagola o un rocchetto.


Tipi di boe segnasub
A seconda delle varie necessità esistono diversi tipi di boa segnasub.


Pallone segnasub
Si tratta di un pallone gonfiabile dalla forma più o meno sferica che sulla sommità sorregge la bandierina. Si tratta della classica boa segnasub che viene trainata dal subacqueo per tutta la durata dell'attività in acqua.

Per mantenere meglio la posizione eretta a volte è dotata nella parte inferiore anche di una piccola zavorra o di una seconda camera che puo' essere riempita d'acqua.

 

Boa torpedo
Di utilizzo identico al pallone segnasub, si differenzia da quest'ultimo solo per la forma allungata a siluro.

Riducendo lo sforzo necessario per il traino ne dovrebbe rendere più comodo l'utilizzo.


Atollo o Plancetta
Si tratta di un tipo di boa usato in special modo dagli apneisti.

Essendo di forma piatta, dispone di un'ampia superficie per appoggiare o fissare attrezzatura e pescato. Realizzato in materiale galleggiante rigido non rischia di bucarsi.


Boa da Lancio, di decompressione o Cazzillo
Questa boa si differenzia dalle precedenti perché anziché essere trainata per tutta l'immersione, viene gonfiata sott'acqua dal subacqueo subito prima della risalita.

È utilizzata quando, a causa di correnti o scarsa visibilità, il sub non è in grado di risalire nei pressi della barca dalla quale si è immerso. Per evitare il rischio di emergere senza aver opportunamente segnalato la propria presenza, il sub prima della risalita srotola la boa d'emergenza e la invia in superficie gonfiandola con un erogatore. In questo modo permette anche alla barca di supporto di individuarlo e di raggiungerlo.

Questo tipo di boa, complici anche i produttori, è chiamata in molti modi diversi: boa di decompressione perché può essere utilizzata per facilitare il mantenimento di una certa quota durante le soste di risalita, boa d'emergenza perché in condizioni normali in teoria non ci sarebbe ragione di usarla, cazzillo per via della forma allungata, DSMB (dall'inglese Delayed Surface Marker Buoy) perché si tratta di una boa segnasub che non viene utilizzata fin da subito. È chiamata spesso anche pedagno anche se impropriamente visto che un pedagno è una boa dotata di corpo morto che serve per marcare un determinato punto.

Ci sono diversi sistemi per garantire un facile gonfiaggio della boa di decompressione e allo stesso tempo evitare si sgonfi non appena giunta in superficie. Puo' esserci una valvola di gonfiaggio e una di sovrapressione (il sistema più affidabile) oppure l'estremità inferiore è aperta (libera o autosigillante) e zavorrata.

Queste boe, in base al colore o grazie ad una lavagnetta, possono anche veicolare un messaggio verso superficie. Ad esempio presso certe didattiche la boa arancione sta a significare una decompressione regolare, mentre quella gialla indica un'emergenza e una richiesta di assistenza. È bene notare però che non si tratta di segnali riconosciuti internazionalmente e per questo possono essere usati solo con persone con le quali ci si è preventivamente accordati.


Precauzioni
L'unico rischio nell'utilizzo delle boe segnasub risiede nella possibilità di un accidentale trascinamento in superficie del subacqueo con tutti i problemi legati ad una risalita troppo rapida o ad un salto di tappa decompressiva.

In particolare questo si può verificare nel caso in cui:

la boa venga travolta da una barca: il rocchetto dev'essere sganciabile rapidamente
qualcuno tiri la boa con forza (capita più spesso di quanto si può pensare: bambini, curiosi, Capitaneria di Porto che vuole parlare con il sub, ecc): il rocchetto dev'essere sganciabile rapidamente
Nel caso di una boa decompressiva questo problema è molto più concreto e si può presentare anche nel caso in cui:

il rocchetto si inceppi durante lo svolgimento del cavo: non fissare il rocchetto o fissarlo in maniera che sia rapidamente sganciabile o utilizzare un semplice avvolgi sagola zavorrato
la boa o il cavo si impiglino nell'attrezzatura durante il gonfiaggio: prestare attenzione e non svolgere il cavo in anticipo
Prudenzialmente inoltre con le boe decompressive sarebbe sempre meglio effettuare il gonfiaggio utilizzando l'erogatore di riserva in modo da non doversi privare temporaneamente della fonte d'aria.

 

 
 
 

Il Forame Ovale Pervio

Post n°11 pubblicato il 19 Marzo 2009 da maxcervoni

Cos'è il Forame Ovale Pervio (PFO)?
Il Forame Ovale Pervio, altrimenti abbreviato con l'acronimo PFO, definisce un'anomalia cardiaca in cui l'atrio destro comunica con il sinistro a livello della fossa ovale tra septum primum e il septum secundum. Statisticamente interessa all'incirca il 25-30% della popolazione adulta.
Il forame ovale
In realtà la comunicazione tra i due atri è assolutamente normale e anzi essenziale durante la vita fetale, prima della nascita.

Durante la vita fetale i polmoni sono inattivi e l'ossigeno che va ai tessuti proviene dalla madre tramite la placenta e i vasi del cordone ombelicale. Dovendo oltrepassare i polmoni, il sangue fluisce direttamente dalla porzione destra del cuore nella parte sinistra tramite due aperture il dotto di Botallo posto tra l'arteria polmonare e l'aorta toracica e il forame ovale che connette i due atri. Alla nascita, la circolazione placentare viene interrotta, i polmoni iniziano la loro attività respiratoria e il piccolo circolo (cioè quello polmonare) diventa pienamente funzionante. Le modificazioni delle resistenze vascolari fanno si che la pressione atriale sinistra diventa leggermente superiore a quella destra. Questa differenza di pressione fa accollare al forame ovale una piccola membrana chiamata septum primum. Normalmente, entro il primo anno di vita, la membrana si salda alla parete e la chiusura diviene permanente.
Quando si parla di PFO?
Il forame ovale viene definito pervio (aperto), quando questa saldatura non avviene e la chiusura anatomica risulta imperfetta o manca completamente e quindi il septum primum viene mantenuto in sede soltanto dalla differenza pressoria. È come se avessimo una porta semplicemente accostata e non chiusa con la serratura, che si può aprire in un senso o nell'altro a seconda della pressione esercitata ai due lati. Nelle nornali condizioni di vita, il PFO non comporta nessun problema. Se invece la pressione nell'atrio destra supera quella dell'atrio sinistro, ci può essere un passaggio (shunt) di sangue nell'atrio sinistro. Il volume di sangue che viene deviato dipende, oltre che al gradiente pressorio, anche dalle dimensioni dell'apertura e ambedue variano di volta in volta.
Un forame ovale pervio (PFO) è stato riscontrato a livello autoptico (cioè all'autopsia sul cadavere) nel 25-35% della popolazione adulta senza differenza di sesso 1. Utilizzando l'ecocontrastografia, un PFO si può rilevare nel soggetto vivente ("in vivo") nel 5-20% della popolazione adulta 2, 3. Queste percentuali sono diverse perchè all'autopsia si vede direttamente la parte anatomica (coiè il setto interatriale), mentre l'ecocardiografia con ecocontrasto si basa sulla misura indiretta di un fenomeno fisiologico.
Quali sono le persone che dovrebbero essere interessate al PFO?
1. Pazienti giovani (di età inferiore ai 60 anni), colpiti da uno o più episodi di ischemia cerebrale la cui causa non sia stata determinata ("criptogenetica") e si sospetti una embolia cerebrale "paradossa"7. La causa di un episodio di ischemia cerebrale rimane sconosciuta ("criptogenetica") nel 35-40% dei casi 6.
2. I subacquei colpiti da forme gravi di malattia da decompressione dopo immersioni eseguite nel rispetto delle tabelle.
Quando va fatto l'esame specifico per il PFO?
Il PFO non provoca alcuna anomalia all'esame fisico e radiologico nè all'elettrocardiogramma. Raramente da manifestazioni patologiche, per cui molti non sanno assolutamente di averlo. Esistono vari metodi di indagine che accoppiano tecniche contrastografiche all'uso di ultrasuoni e che consentono di valutare lo stato delle strutture cardiache e del flusso di sangue, sia normale che patologico (ecocontrastografia bidimensionale ad alta definizione, ecocardiografia color doppler). In pratica, viene iniettata in vena una soluzione salina contenente microbolle che, una volta giunte al cuore, permettono di rilevare il tipo e l'entità di un eventuale shunt. Il metodo Doppler visualizza molto bene le bolle gassose e la direzione del flusso circolatorio, che apparirà in blu quando è in allontanamento dalla sonda e in rosso quando si sposta in direzione opposta. L'uso della soluzione salina con microbolle non ha evidenziato nessuna conseguenza particolare e la metodica è considerata pressochè sicura. La sensibilità diagnostica aumenta se questo esame viene associato alla manovra di Valsalva. Se è presente un PFO, l'ecocardiografia con ecocontrasto metterà in evidenza il passaggio dall'atrio destro a quello sinistro di microbolle nella fase transitoria di aumento della pressione in atrio destro. La dimostrazione di un PFO mediante ecocontrastografia è strettamente correlata con i risultati del cateterismo cardiaco. Quando usata in associazone alla manovra di Valsalva, l'ecocontrastografia ha rilevato il 60% dei PFO che sono stati rilevati al cateterismo cardiaco, e quando usata in associazione al test del colpo di tosse è stato rilevato nel 78% dei casi 4, 5. Una tecnica di più recente introduzione è l'ecocardiografia transesofagea color doppler, che si esegue introducendo una sonda in esofago previa una blanda sedazione del paziente. La più stretta vicinanza tra il trasduttore e il cuore porta a migliori risultati con una sensibilità diagnostica del PFO del 100%.
I pazienti con episodi di ischemia cerebrale da sospetta "embolia paradossa"
L'embola paradossa viene ritenuta responsabile di un episodio di ischemia cerebrale quando:
1. non è presente una fonte trombo-emboligena nelle sezioni cardiache di sinistra,
2. vi è la possibilità di uno shunt (passaggio di sangue) tra le sezioni destre e sinistre del cuore, e
3. viene rilevato un trombo nel sistema venoso o nell'atrio destro 9.
Dal momento che il rilievo di un trombo all'interno del PFO è di raro riscontro1 , 10 la diagnosi di embolia paradossa è di solito presuntiva. Le condizioni che in presenza di un PFO determinano un'embolia paradossa si ritiene siano le seguenti:
1. un aumento cronico della pressione nell'atrio destro con conseguente shunt destro-sinistro (ad esempio ipertensione polmonare, BPCO, embolia polmonare) 11,
2. un aumento transitorio della pressione atriale destra che si verifica al termine di un aumento della pressione dell'aria nei polmoni (manovra di Valsalva, tosse, immersioni12) e
3. differenze cicliche della pressione tra i due atri con transitori shunt tra l'atrio destro e il sinistro.
Mentre non c'è attualmente alcuna prova sicura di un rapporto causa-effetto, numerosi studi hanno comunque confermato una forte associazione tra la presenza di un PFO e il rischio di embolia paradossa o di episodi di ischemia cerebrale13, 14. Quando confrontati con un gruppo di soggetti di controllo senza PFO, i pazienti con PFO hanno un rischio di soffrire di un evento trombo-embolico che è quattro volte più alto; tale rischio è 33 volte maggiore nei pazienti che hanno sia il PFO che un aneurisma del setto interatriale 15. Inoltre, la presenza di un forame ovale ampiamente pervio (con separazione tra septum primum e septum secundum >5mm) o con ampio shunt destro-sinistro (più del 50% dell'atrio sinistro riempito da ecocontrasto) sono state identificati come predittori ecocardiografici di un aumentato rischio di embolia paradossa16. Infine, ci sono sempre più dati che evidenziano come i pazienti con PFO ed embolia paradossa hanno un rischio aumentato di future recidive di ischemia cerebrale.

Uno studio retrospettivo, multicentrico eseguito in Francia ha dimostrato che il rischio annuo di avere una recidiva di ischemia cerebrale transitoria (TIA) è dell'1.2%, e del 3.4% di avere una recidiva di ictus cerebrale o di TIA; le stesse percentuali di recidiva di eventi ischemici cerebrali si verificano anche nei pazienti con PFO e pregressi episodi di ischemia cerebrale "criptogenetica" che assumono una terapia medica profilattica con farmaci anticoagulanti o antiaggreganti piastrinici 17. I dati di questo studio francese sono confermati da quelli di uno studio svizzero condotto a Losanna, in cui la recidiva di ictus ischemico cerebrale in 140 pazienti con PFO e pregresso ictus è stata dell'1.9% all'anno, mentre la percentuale combinata di ictus e TIA è stata del 3.8% all'anno18 , 19.
I subacquei colpiti da forme gravi di malattia da decompressione dopo immersioni eseguite nel rispetto delle tabelle
Le bolle gassose originate dopo ogni immersione subacque si formano all'interno delle vene e non nel sangue arterioso. Quest'ultimo presenta una pressione più elevata, non è quasi mai sovrasaturo e non riceve gas direttamente dai tessuti. Le bolle formatesi sono piccole e non provocano sintomi poichè si arrestano a livello dei capillari polmonari e vengono gradatamente espulse con la respirazione (microbolle). In definitiva rimangono confinate alla circolazione venosa, la quale non ha nessuna funzione nutrizia ma costituisce una sorta di via di scarico per le sostanze che vanno eliminate dall'organismo. Un PFO consentirebbe a queste bolle altrimenti asintomatiche di entrare nel circolo arterioso, dato che la separazione tra i due atri non è ermetica. Inoltre, questo passaggio potrebbe associarsi a turbolenze e creare nuovi nuclei gassosi. Il filtro polmonare perderebbe così l'importante funzione di blocco ed eliminazione dei gas in eccesso residuati dall'immersione. Queste bolle farebbero come un ospite indesiderato che entra nella porta di servizio, evitando di essere respinto all'ingresso da un cortese ma deciso portiere (i polmoni). Se poi la decompressione è stata inadeguata, la gran quantità di bolle presenti potrebbe congestionare i polmoni far alimentare la pressione in atrio destro e spingerne una certa quantità nel circolo arterioso. L'inversione del gradiente pressorio, per un transitorio alimento della pressione venosa, si potrebbe verificare anche durante una manovra di compensazione forzata come il Valsalva, della quale sono noti gli effetti del piccolo circolo. Il Valsalva alimenta la pressione nella parte destra del cuore e può incrementare uno shunt in caso di PFO o di altro difetto settale. Inoltre, anche rapidi cambi di posizione o di orientamento, sollecitazioni improvvise, stress termici, tosse, vomito, mute o cinghiaggi troppo stretti potrebbero dare origine a transitori aumenti di pressione. Infine, qualche cenno sui possibili effetti indotti dalla posizione di Trendelemburg, ormai peraltro poco usata, nel caso la vittima dell'incidente sia portatore di PFO. È stato visto che gli effetti sullo shunt non sono consistenti, poichè l'innalzamento delle gambe fa aumentare la pressione simultaneamente in ambedue i compartimenti sia destro che sinistro.
Il PFO è realmente un fattore di rischio?
Nel già citato studio di Moon, il 61% dei subacquei colpiti da forme gravi di Mdd (malattia da decompressione) presentava un PFO. Successivamente Wilmhurst trovò che molti individui con sintomatologia da Mdd dopo immersioni nel rispetto delle tabelle evidenziavano shunts destro-sinistri. Venne attribuita un'incidenza di PFO del 66% in coloro che presentavano sintomi precoci di Mdd (entro 30 minuti dall'immersione), a fronte di un dato del 17% tra chi aveva manifestato più tardivamente i segni dell'incidente da decompressione. Il tempo che intercorre tra l'emersione e l'inizio dei sintomi è tanto più breve quanto più rilevante e immediato è l'interessamento del circolo arterioso. Il Divers Alert Network (Dan) definisce come immeritati quegli incidenti non giustificati da chiari errori di risalita o di decompressione. Uno studio specifico compiuto da tale organizzazione considerava la possibilità che tali incidenti venissero favoriti dalla presenza di un PFO. I dati non ancora definitvi evidenziano una significativa, maggiore incidenza del PFO nelle patologie da decompressione di tipo celebrale: la percentuale è del 62% in chi ha subito un incidente da decompressione, del 88% nei casi con ripercussioni cerebrali e del 40% se presenti sintomi neurologici periferici. In un'articolo di Moon diffuso recentemente nella traduzione italiana, viene rilevato come circa il 50%) dei soggetti sofferenti di gravi forme neurologiche di Mdd presenti una pervietà del forame orale, attribuendo loro lma probalità 5 volte maggiore di venir colpiti da forme severe di Mdd. La predisposizione rigllarderebbe anche le fonne cardiorespiratorie e cutanee di Mdd ma non le localizzazioni articolari. Altri studiosi ritengono invece che il legame tra shunt e Mdd continui a rimanere controverso. I dati a sostegno di questa valutazione considerano, per esempio, che dei 50.000 sub praticanti in Gran Bretagna, circa 15.000 dovrebbero presentare un PFO. Ebbene, ogni anno vengono osservati circa 100 casi di Mdd di tipo neurologico, e cioè indica che il fatto di avere lo shunt non necessariamente deve portare a Mdd. Uno shunt potrebbe si incrementare il rischio di incidente con sintomi neurologici, ma tale rischio rimane comunque molto basso in tennini di popolazione.
Terapia medica profilattica contro l'embolia paradossa in presenza di PFO
La presenza di un PFO o di un aneurisma del setto interatriale non necessita di una profilassi farmacologica nei soggetti che non hanno sofferto in precedenza di episodi di ischemia cerebrale. Al contrario, ai pazienti con PFO che hanno già avuto un ictus cerebrale o un TIA e in cui non è stata evidenziata nessun altra causa responsabile dell'evento ischemico cerebrale (forma detta "criptogenetica") viene consigliata una terapia profilattica (preventiva) per diminuire la percentuale annua di recidive tromboemboliche. I pazienti vengono generalmente trattati con anticoagulanti orali (Coumadin, Sintrom) o antiaggreganti piastrinici (aspirina, ticlopidina o clopidogrel, ecc). A tutt'oggi, comunque, non c'è un consenso su quale trattamento sia il più efficace (gli anticoagulanti orali piuttosto che gli antiaggreganti piastrinici), o per quanto tempo la terapia medica debba essere protratta dopo che è comparso un evento ischemico cerebrale. Nello studio di Losanna, ad esempio, non sono state rilevate differenze nella riduzione del rischio di recidive di ictus o TIA tra i differenti tipi di terapia profilattica anticoagulante o antiaggregante assunta18.

Chiusura non chirurgica (per via percutanea) dei PFO
La chiusura non chirurgica dei PFO è diventata possibile con l'avvento dei sistemi di chiusura transcatetere, inizialmente sviluppati per la chiusura percutanea dei difetti interatriali (DIA). LA prima chiusura per via percutanea di un DIA con un doppio-ombrellino di Dacron è stata eseguita nel 1974 20, 21. Da allora, sono stati introdotti numerosi nuovi sistemi di chiusura percutanea che sono stati utilizzati con successo in ambito clinico (cioè impiantati in esseri umani). Tra i sistemi di chiusura utilizzati in ambito clinico ricordiamo il sistema a bottone Sideris, il sistema Sideris auto-centrante, il sistema Angel Wings e il sistema Cardioseal.

Il principale svantaggio dei primi sistemi di chiusura percutanea dei PFO appena citati consiste nel fatto che alcuni di essi sono tecnicamente difficili da impiantare, oppure sono a rilascio incontrollato, o non sono recuperabili a causa della loro forma e contruzione. Uno degli ultimi sistemi sviluppati (denominato "AMPLATZER PFO Occluder") ha risolto quasi tutti questi svantaggi: è facile da impiantare con un rilascio controllato ed è facilmente recuperabile. E' perciò diventato, nei centri specializzati in questo tipo di interventi, uno dei sistemi più utilizzati in alternativa alla terapia anticoagulante (non esente da effetti indesiderati come emorragie, ematomi, necrosi o gangrena cutanea, o interazione con altri farmaci) o a quella chirurgica (sicuramente più traumatica) nei pazienti con PFO ed episodi di embolia paradossa associata ad ischemia cerebrale.

 

 
 
 

Uso dell'Ossigeno

Post n°10 pubblicato il 19 Marzo 2009 da maxcervoni


USO DELL'OSSIGENO NORMOBARICO COME PRIMO INTERVENTO
SUL POSTO E DURANTE IL TRASPORTO VERSO IL GENTRO
DI TERAPIA IPERBARICA.
(estratti delle lezioni e degli interventi del seminario DAN Europe
sul primo soccorso in caso di malattia da decompressione
nell'immersione sportiva)

Il trattamento degli incidenti correlati all'immersione subacquea in camera di decompressione è una procedura nota anche ai non subacquei.
I subacquei addestrati conoscono bene, inoltre, il significato e l'importanza dell'uso dell' ossigeno come misura immediata di soccorso. L'uso dell' ossigeno è, dal punto di vista tecnico, abbastanza complesso per questa utilizzazione e le attrezzature presenti sul mercato non soddisfano le esigenze specifiche per un incidente da decompressione.
Questo giustifica, ancora di più, la tendenza all'immediato trasporto verso un centro iperbarico, dove la terapia è eseguita in modo efficiente da specialisti. .

Questo approccio è però errato, nel senso che, omettere l' ossigenazione a pressione atmosferica, è un grossolano errore nel protocollo terapeutico della MDD ed esistono mezzi tecnici che consentono la respirazione di ossigeno sul luogo stesso dell'incidente durante il trasporto verso il centro iperbarico, senza significativi limiti di tempo.

Perché l' ossigeno è più importante della ricompressione

I sintomi della MDD o dell'EGA, sono provocati da bolle gassose, per la maggior parte situate nel circolo sanguigno, che può esserne parzialmente ostruito o compromesso.
I tessuti a valle delle ostruzioni possono, quindi, diventare ischemici.
A seguito di ciò, il tessuto non è più in grado di mantenere le sue funzioni biologiche e va incontro, entro un certo lasso di tempo, alla sofferenza od alla morte cellulare.
E', dunque; chiaro che l'obbiettivo di ogni terapia deve essere l'immediata eliminazione o riduzione di queste bolle.

La maggior parte degli organi è scarsamente minacciata da questo rischio di sofferenza ischemica, a causa della possibilità di attivare sistemi di circoli collaterali o per la loro intrinseca maggior resistenza all' ipossia. Altri organi, però, quali il cervello ed il midollo spinale, posseggono, in misura minore, queste capacità di reazione all' ischemia e sono maggior- mente dipendenti da un' adeguata e costante ossigenazione.
Per questi organi, la formazione e la presenza di bolle, rappresenta un pericolo maggiore.

Le bolle situate nel contesto stesso del tessuto, al di fuori dei vasi sanguigni, possono, invece, provocare effetti diversi, di carattere meccanico, con compressione di strutture anatomiche, di terminazioni nervose e con sintomi dolorosi.

La ricompressione terapeutica di per sé, per quanto utile ed importante, non porta sempre al successo terapeutico definitivo e ci sono altri e diversi fattori da considerare per ottenere il miglior risultato possibile.

1. La Finestra di Ossigeno.
La frazione di Azoto nell' aria ambiente della camera iperbarica è pari a circa 0.8; il sangue circolante, in equilibrio di pressioni parziali di gas è pertanto saturo di azoto ad una pressione pari all'80% di quella ambiente. Le bolle gassose, in caso di MDD, sono composte, invece, solo di azoto-. Le eventuali parti di ossigeno presenti in raccolte di gas intratissutali vengono, infatti, rapidamente utilizzate o disciolte.
Questo comporta una differenza di concentrazione di azoto fra bolla e tessuti circostanti, che facilita la soluzione dell' azoto dalla bolla nei tessuti e nel sangue. Quanto più la bolla si riduce in volume, tanto più tende a diminuire, per effetto della tensione superficiale, fino a "scomparire. Tutto questo è tanto più evidente quanto minore è la frazione di Azoto nell'aria inspirata e tanto maggiore è la frazione di Ossigeno.

2. Ossigenazione del plasma.
La pressione parziale dell' ossigeno aumenta con l' aumento della pressione idrostatica in camera iperbarica. Per esempio, a 40 metri di profondità la pressione parziale è 5 volte quella atmosferica, pari ad un valore lieve- mente superiore a quello che si avrebbe respirando ossigeno puro al livello del mare (798 rnrnHg contro 760 mmHg).
Questo, pur comportando un maggior trasporto di ossigeno disciolto nel plasma (circa 2 volumi % in più rispetto ai 20 volumi trasportati dall'emoglobina), non varia sostanzialmente la situazione della disponibilità tissutale di ossigeno, anche se la quota disciolta può avere un'importanza vitale in certe situazioni patologiche di trasporto di ossigeno compromesso.

3. Il fattore tempo.
a) L'interruzione improvvisa del trasporto di ossigeno al tessuto provoca, dapprima, una diminuzione dell'attività cellulare, seguita, poi, da sofferenza e morte. Questo processo di distruzione tissutale può essere rallentato con un precoce inizio della ossigenoterapia.
b) In mancanza di questa precoce riossigenazione, la formazione di depositi di sostanze organiche e di cellule sulla superficie della bolla è facilitata; già 2 ore dopo l'insorgenza dei sintomi, la diffusione di gas dalla bolla ai tessuti è compromessa da questa barriera organica e, dopo 6 ore, è pressoché annullata. .

Una terapia adeguata richiede quindi i seguenti passi:

-inizio precoce, possibilmente entro 2 ore dalla comparsa dei sintomi
-massima pressione parziale possibile di ossigeno inspirato
-minima pressione parziale possibile dell' azoto inspirato

Ciò dimostra che la terapia ricompressiva in aria, effettuata fino ad alcuni anni fa, ha un' efficacia limitata rispetto all' attuale e più efficace approccio di ricompressione in ossigeno alla pressione di 2-2.8 ATA.

Il tempo che trascorre fra un incidente subacqueo e la ricompressione terapeutica in camera iperbarica in genere non è mai breve e, spesso, si aggira fra le 3 e le 10 o più ore.
E' , dunque, importante utilizzare bene questo tempo attraverso l' immediata somministrazione di ossigeno puro a pressione atmosferica, che rappresenta un trattamento di efficienza simile a quello dell' ossigenazione iperbarica.
Il fattore tempo viene ottimizzato, così come l'inizio rapido dell'eliminazione dell'azoto (uno "svuotamento" precoce delle bolle); la quantità di ossigeno trasportato dal sangue è anche aumentata, seppure in misura minore rispetto al trattamento con ossigeno iperbarico a 2.8 ATA. Naturalmente manca l' effetto di compressione e riduzione di volume delle bolle, sulla cui importanza, però, non c'è ampio accordo e che può avere, al contrario, dei risvolti negativi sull'effetto di "riperfusione".

 
 
 
 
 

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Un blog di: maxcervoni
Data di creazione: 16/01/2009
 

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