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Confine orientale: le foibe tra imperialismo e resistenza - Una storia che deve essere conosciuta... prima che la riscrivano


Premetto le mie scuse per la scarsa accuratezza dello stile, ma la ristrettezza dello spazio a disposizione mi impedisce di fare un lavoro più accurato. In ogni caso credo che sia di fondamentale importanza offrire, quanto meno, una serie di elementi atti a fornire gli elementi di base per una accurata ricostruzione storica. Questo è il dovere dello storico in fondo... spazzolare gli eventi contropelo e indicare la via della verità.Per limitarci al Novecento: con il Patto di Londra, siglato il 26 aprile 1915 tra Italia e Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia), si prevedeva, in caso di vittoria nella guerra imperialistica del 1914-1918, l'assegnazione all'Italia di Trentino, Sud Tirolo, Venezia - Giulia, Penisola dell'Istria, gran parte della Dalmazia e delle isole adriatiche.Conclusa la prima guerra mondiale e crollato l'Impero Asburgico, la conferenza di Parigi stabilì la costituzione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Il nuovo assetto pose la necessità di definire i confini con l'Italia, mentre migliaia di sloveni si trovano sotto occupazione dell'esercito italiano ed aspirano a ricongiungersi al nuovo Stato jugoslavo.Per quanto riguardava l'Italia, gli sloveni non si facevano illusioni: avevano già constatato l’esperienza dei loro connazionali delle Valli del Natisone, i quali, passati sotto l'Italia nel 1866, avevano subito da allora un costante e sistematico processo di "snazionalizzazione".Il combinato disposto dell'occupazione militare e dell'iniziativa nazionalistica (impresa di D'Annunzio a Fiume) trovava riscontro nel Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 che assegnava all'Italia nuovi territori: Istria, la Dalmazia, la città di Zara, le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa e, nel 1927, la città di Fiume. La regione assunse il nome di Venezia Giulia. La borghesia slovena benché disponibile alla collaborazione con il governo italiano, a condizione di preservare la propria identità e ruolo sociale, trovò nel governo di Roma, liberale prima e fascista poi, il fermo proposito di assimilare gli "alloglotti", come venivano chiamate le popolazioni slave. Trieste, avamposto colonialista verso l'oriente, divenne terreno fertile per lo sviluppo del fascismo: nel maggio del 1920 furono create le "squadre volontarie di difesa cittadina", bande armate fasciste, sotto la direzione di Giunta, che scatenarono aggressioni contro la classe operaia delle industrie tessili, cantieristiche, minerarie e contro le popolazioni slovene e croate. Tutti i luoghi di aggregazione degli sloveni e dei croati furono aggrediti e distrutti: società corali, società sportive, sale di lettura, circoli dopolavoristici, le scuole. Nel 1920 a Trieste fu incendiato il Narodni Dom, sede delle associazioni culturali ed economiche slovene. "Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava" affermava Mussolini nel settembre 1920 "non si deve perseguire la politica che dà lo zucchero, ma quella del bastone". Nel 1921 la federazione fascista di Trieste era la maggiore d'Italia. Il fascismo si identificava con l'italianità e conquistava il consenso della borghesia liberalnazionale triestina.Dopo la presa del potere da parte del fascismo, nel 1922, la repressione acquistò il timbro delle leggi dello Stato. Il regio decreto del 15 ottobre 1925 proibiva l'uso delle lingue diversa da quella italiana, la lingua slovena e serbo-croata fu rimossa da tutti i luoghi pubblici e dalle insegne. Con il regio decreto del 7 aprile del 1927 fu imposta l'italianizzazione dei cognomi, soppressi e confiscati i beni delle organizzazioni culturali, ricreative, economiche slovene e croate. La scuola era al centro della politica di "snazionalizzazione", gli insegnanti di lingua slovena furono trasferiti e costretti a licenziarsi, la repressione investì anche i preti slavi in quanto "si ostinano a celebrare le funzioni religiose in lingua slovena, e in Italia "si prega in italiano". Contro l'imperialismo coloniale italiano e la sua azione di feroce repressione si organizzò la Resistenza. In particolare si formarono due organizzazioni clandestine, la Tigr (dalle iniziali slovene di Trieste, Istria, Gorizia, Rijeka) e la Borba (lotta) che affermarono la parola d'ordine dell'unione alla Jugoslavia. In particolare nella Tigr, all'inizio degli anni '30, emerse la figura di Pinko Tomazic che pose l'obiettivo di una repubblica slovena inserita nel quadro di una confederazione di repubbliche sovietiche balcaniche. Negli anni '28-'30 gli agricoltori slavi furono costretti a mettere all'asta le proprietà, acquisite da coloni italiani mediante l'Ente per la rinascita agraria delle Tre Venezie. La repressione negli anni '27-'43, condotta dal Tribunale Speciale fascista contro sloveni e croati, fu particolarmente feroce. La stessa cultura della foiba fu utilizzata da nazionalisti e fascisti, in canzoni e in poesie nei testi scolastici, per intimorire con la minaccia di finire "in fondo nella foiba" le popolazioni slave. Il 6 aprile 1941 l'Italia, assieme alle forze dell'Asse, sferrò l'aggressione alla Jugoslavia, che venne smembrata; l'Albania era stata occupata nell'aprile 1939. Dalla spartizione della Jugoslavia l'Italia incorporò la Slovenia meridionale, il litorale Dalmata, Sebenico, Spalato, Ragusa, Cattaro, le isole e la regione della Carniola, costituendo la nuova Provincia di Lubiana e il Governatorato della Dalmazia; a Sud incorporò all'Albania la Macedonia meridionale e il Kosovo; il Montenegro divenne un protettorato.L'occupazione fu contrassegnata da particolare durezza: incendi di villaggi, deportazioni in campi di sterminio italiani (202 complessivi, tra cui Arbe-Rab in Dalmazia e Gonars in Friuli) e tedeschi, eccidi di rappresaglia, rastrellamenti, fucilazioni ed impiccagioni. Dopo l'invasione nazifascista a Lubiana, il 27 aprile 1941, si costituì l'Of (Osvobodilna Fronta: Fronte di Liberazione Sloveno), cui aderirono personalità indipendenti e gruppi di ispirazione cristiano-sociale, con un ruolo egemone del Partito comunista sloveno. L'Of iniziò la resistenza armata con l'obiettivo dell'indipendenza nazionale e l'unificazione della Slovenia nel quadro della Jugoslavia federativa, organizzando forze prevalentemente contadine e popolari. Le forze liberal-conservatrici slovene, espressione della borghesia nazionale, restavano in attesa della fine del conflitto o collaboravano con l'occupante. La risposta italiana fu la repressione civile e militare: nell'aprile del 1942 a Trieste fu istituito l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza che si sarebbe caratterizzato per i rastrellamenti, le violenze, le torture. Alla vigilia dell'8 settembre 1943, nella sola provincia di Lubiana si conteranno 33.000 persone deportate, pari al 10% della popolazione, quasi 13.000 edifici distrutti, 9000 danneggiati, ed un numero di fucilati, caduti in combattimento e morti nei campi non quantificati, ma dell'ordine di alcune migliaia (circa 7000 nei campi italiani). Dopo l'8 settembre 1943, crollate le strutture dello stato italiano, dissolto l'esercito regio, i comandanti in fuga alla ricerca di vie di salvezza, la Wehrmacht occupò i centri strategici della Venezia Giulia, le città portuali di Trieste, Pola, Fiume, l'area industriale di Monfalcone, Gorizia ma per carenza di forze trascurò l'entroterra. Il vuoto di potere nella penisola istriana fu presto riempito dall'insurrezione popolare e contadina, coinvolse la popolazione italiana dei centri costieri e quella slava dell'interno, presentando connotazioni di liberazione nazionale e lotta di classe. Ad una fase spontanea con fenomeni di jacquerie seguì l'assunzione del controllo politico-militare da parte del Novj (l'esercito di liberazione). Una liberazione assai fragile durata circa venti giorni, in alcune zone più o meno un mese. Tra l'11 e il 12 settembre 1943 le forze del Novj occuparono Pisino, nel cuore dell'Istria, organizzandovi il Comando operativo. Nei villaggi le masse popolari attaccarono i simboli e i rappresentanti dello stato colonizzatore: podestà e segretari comunali, fascisti, carabinieri, commercianti, esattori delle tasse; nelle campagne i coloni e i mezzadri attaccarono i possidenti terrieri italiani; nelle imprese industriali, cantieristiche e minerari, in particolare nella zona di Albona, con una forte tradizione di lotte operaie e socialiste, stessa sorte investe dirigenti, impiegati e capisquadra.La maggior parte furono arrestati e concentrati soprattutto a Pisino; in questo contesto alcune centinaia (300-500) furono gettate nelle foibe istriane. La propaganda nazifascista utilizzò poi il fenomeno delle foibe istriane per incitare all'odio antislavo, moltiplicando il numero e sottolineando la nazionalità italiana delle vittime. Il primo ottobre 1943 con l'Operazione Nubifragio le forze armate tedesche rioccuparono tutta l'Istria, il loro passaggio segnò decimazione di massa, distruzioni, incendi, migliaia di morti. I territori riconquistati furono uniti alle altre aree del confine nordorientale e organizzati nella "Operationszone Adriatsches Kusternland" (Zona Operazioni Litorale Adriatico), comprendente le provincie di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana, nelle quali l'autorità suprema era un commissario alle dipendenze di Hitler.L'Amministrazione tedesca emanò una serie di disposizioni e ordinanze, nominò prefetti e podestà, assegnò ad ogni amministrazione un consigliere tedesco. I giovani di leva furono incorporati nella Wehrmacht o nell’organizzazione tedesca del lavoro coatto Todt. Furono pubblicati giornali e riviste in lingua tedesca, slovena e serbo-croata, fu quindi ridimensionata la politica di snazionalizzazione delle popolazioni slave.Il potere decisionale, a tutti i livelli, era accentrato in mani tedesche, dai tribunali al controllo poliziesco, quest'ultimo era gestito dal generale Odilo Lotario Globocinik, capo delle SS del Litorale, stimato da Himmler per l'attività svolta nei campi di sterminio in Polonia. A Trieste Globocinik organizzò nel rione industriale di San Sabba, in edifici già utilizzati per la pilatura del riso, un lager che funzionava come campo di smistamento, concentramento e sterminio. A San Sabba trovarono la morte migliaia di oppositori politici e combattenti partigiani sloveni e croati, italiani, renitenti alla leva, ebrei. Per larga parte della comunità italiana della Venezia Giulia, la borghesia e larghi strati di piccola e media borghesia la creazione della Zona del Litorale Adriatico, la presenza della Wehrmacht fu considerata una garanzia contro la minaccia "slavo-comunista". A Trieste la borghesia industriale e finanziaria vide nella annessione al Reich il rilancio commerciale della città. In Venezia Giulia si costituirono corpi volontari di milizie fasciste che collaboravano col comando tedesco: la Polizia annonaria, la Guardia Civica-Stadtshutz, la Milizia Difesa Territoriale, la X Mas, la Guardia di Finanza; collaborarono con l'occupante anche forze slovene: Slovenski narodni varnostni zbor (corpo nazionale sloveno di sicurezza) detti domobranci e Slovensko domobranstvo (difesa territoriale Slovena). All'interno della popolazione italiana della Venezia Giulia gli operai di Trieste, Monfalcone, Fiume e delle cittadine costiere istriane diedero origine a formazioni quali la Brigata Proletaria e Delavska Enotnost-Unità Operaia che collaboravano con la resistenza jugoslava nella prospettiva della rivoluzione socialista, prospettiva che le organizzazioni egemoni del movimento operaio italiano (Pci e Psi) non sostenevano, provocando grosse contraddizioni tra quadri e militanti comunisti. Il Pci infatti partecipava attraverso il Cln al Fronte popolare con i partiti borghesi (Dc, Pd'a, Monarchici, Liberali), e a questa alleanza subordinò l'indipendenza di classe. In Jugoslavia il Pcj, pur aderendo alla politica dei Fronti popolari, in presenza di una borghesia nazionale legata al capitale straniero, tipica di un Paese semicoloniale, le cui forze politiche collaboravano con l'occupante o restano passive, fu costretto dalla dialettica della rivoluzione a superare la fase democratico-borghese (unificazione ed indipendenza nazionale, riforma agraria) fino a liquidare una borghesia che queste esigenze non aveva risolto o risolto parzialmente. Un intreccio di contraddizioni nazionali e di classe che si riversarono nel movimento partigiano della Venezia Giulia, provocando a Trieste rotture nel Cln, qui le forze borghesi, liberali e cattolici, si opposero per ragioni di classe alla rivoluzione jugoslava, tale avversione portò, come nel caso delle Brigate Osoppo, alla collaborazione con forze fasciste in funzione antislava e anticomunista. La situazione politico-militare costrinse gli inglesi a limitare il controllo alla parte occidentale della regione, per l'importanza strategica delle comunicazioni verso Nord, in particolare Trieste e Gorizia, rinunciando all'ipotesi greca. L'offensiva finale jugoslava iniziò il 20 marzo 1945 e furono i reparti del Novj ad arrivare il 1° maggio per primi a Trieste e Gorizia, anticipando le armate britanniche; con questi collaboravano le formazioni partigiane comuniste.Il Cln triestino, costituito dal Psi, Pd'a, Dc, e Liberali, che oscillava tra l'attesa e l'insurrezione, aspettando l'arrivo degli inglesi diede inizio alla lotta mediante il Corpo Volontari della Libertà, ma questi si scontrarono con le forze jugoslave e si ritirarono dalla lotta. Le forze neozelandesi raggiunseno Trieste e Gorizia il 2 maggio, la situazione rimase aperta per circa un mese fino a quando i governi inglese ed americano costrinsero le forze jugoslave a ritirarsi da Trieste e Gorizia. Il nuovo potere jugoslavo nelle zone liberate si basava sull'Armata, sulla Difesa popolare, sull'Ozna, il servizio segreto, mentre mancavano strutture consiliari tipo i soviet. L'obiettivo era affermare prima possibile la nuova sovranità jugoslava, epurare l'apparato amministrativo e di polizia, prelevare i reazionari e trasferirli per processarli in campi di prigionia in Slovenia, altri furono fucilati dopo la cattura o la resa. Nemici furono considerate le forze armate dello stato imperialista, le formazioni fasciste, le forze antislave e anticomuniste tra cui aderenti al Cvl del Cln triestino. In questo quadro, tra il maggio-giugno del '45, si ripresentò il fenomeno delle foibe nell'entroterra carsico di Trieste e Gorizia con aspetti simili al precedente istriano. Da una ricerca accurata svolta da C. Cernigoi e pubblicata nel libro ≪Operazioni foibe a Trieste nella provincia triestina≫, le vittime finite nelle foibe furono circa 517 di cui 112 della Guardia di Finanza, 149 della Pubblica Sicurezza, 115 delle Forze armate, 105 civili, tra questi collaborazionisti e spie. Certo la propaganda reazionaria e liberaldemocratica, per esorcizzare la rivoluzione proletaria, continuerà a rivangare di "migliaia di martiri delle foibe", di "partigiani rossi e violenti", mentre i riformisti, pur di allearsi con i liberali, giureranno sulla nonviolenza. Per parte mia, con Marx, Lenin e Trotsky riaffermo la necessità della rivoluzione socialista fino a quando le masse proletarie di questo pianeta non si saranno liberate dal capitalismo e dall'imperialismo.