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Accadde trent'anni fa: The Sound "Heads And Hearts"

Post n°90 pubblicato il 20 Gennaio 2015 da sanavio.stefano

La  band  di  cui  scrivo  non  ha  purtroppo  goduto  della  considerazione  che  meritava,  sia  negli  anni  ottanta  che  in  seguito.  E  di  questo  ne  sono  particolarmente  dispiaciuto,  perché  riascoltando  oggi  alcune  prove  significative  mi  sorge  un  quesito  a  cui  è  difficile  rispondere:  perché  gli  U2  si  e  loro  no?  Perché  non  hanno  goduto  della  considerazione  (e  magari  parte  dei  cospicui  guadagni)  del  gruppo  di  Bono  Vox,  nonostante  alcune  evidenti  similitudini?  Non  solo,  perché  la  critica  non  li  ha  elogiati  quanto  ad  esempio  Echo  &  the  Bunnymen  (altra  evidente  similitudine)?  Sono  domande  difficili  in  un  mondo  difficile.  Partiamo  dalla  storia:  dopo  la  divulgazione  del  verbo  punk  e  l’avvento  della  new  wave  il  giovane  Adrian  Borland  forma  a  Liverpool  un  gruppetto  chiamato  The  Outsiders,  progetto  nato  già  morto  dato  che  nel  corso  del  biennio  1977-78  pubblicherà  un  solo  EP  “One  To  Infinity”  per  un’oscura  label  chiamata  Raw  Edge. 

Verso  fine  ’78  Adrian  cambia  compagni  di  viaggio  e  si  affianca  a  Graham  Green  al  basso,  Michael  Dudley  alla  batteria  e  Bi  Marshall  alle  tastiere. 

Con  questa  formazione,  e  finalmente  col  nome  definitivo,  The  Sound,  alla  fine  dell’anno  successivo  pubblicano  un  altro  EP  “Physical  world”  questa  volta  un  lavoro  più  compiuto  che  mette  nelle  tre  tracce  tutta  l’energia  che  i  nostri  sono  soliti  sprigionare  dal  vivo. 

Dopo  aver  firmato  per  la  Korova,  come  i  concittadini  Echo  &  The  Bunnymen,  la  band  è  pronta  per  la  pubblicazione  del  loro  esordio  adulto  e  a  mio  avviso  il  migliore,  “Jeopardy”,  è  un  raro  esempio  di  post  punk  che  mescola  alchimie  oscure  con  la  leggerezza  del  pop  più  intelligente,  contiene  l’inno  epocale  “I  Can’t  Escape  Myself”  e  gode  di  intriganti  trame  psichedeliche  filtrate  dal  canto  nervoso  di  Borland,  insomma  un  disco  magico.  Un  po’  Magazine,  un  po’  Joy  Division,  i  nostri  si  ritagliano  un  seguito  considerevole  in  patria.  Nel  frattempo  Borland  assieme  a  Green  divaga  rispetto  ai  Sound  occupandosi  di  un  progetto  sperimentale  e  secondario  chiamato  Second  Layer;  inoltre  nello  stesso  periodo  avviene  un  avvicendamento  nella  line  up  dove  alle  tastiere  Calvin  Mayers  sostituisce  Marshall. 

L’anno  successivo  vedono  la  luce  due  diversi  progetti,  un  EP  live  contenente  registrazioni  da  un  concerto  londinese  e  il  secondo  LP,  “From  The  Lion’s  Mouth”  prodotto  da  Hugh  Jones  è  di  livello  impercettibilmente  inferiore  rispetto  al  precedente,  qui  regna  la  tendenza  ad  emulare  i  primi  U2  che  si  stanno  rapidamente  affermando  senza  perder  il  riferimento  ai  crepuscolari  Joy  Division.  Comunque  sia  ben  chiaro,  le  canzoni  sono  più  che  buone.  Nel  frattempo  i  rapporti  con  l’etichetta  si  fanno  tesi:  la  Korova  esige  una  conversione  al  pop  più  vendibile  per  risanare  le  casse  mentre  Borland  e  soci  non  ci  stanno.  Dopo  diverse  controversie  l’atteso  seguito  esce  solo  l’anno  dopo  e  segna  il  livello  qualitativo  più  basso  mai  toccato  dalla  band;  il  sound  di  “All  Fall  Down”  tende  ad  una  miscela  gothic  pop  che  non  entusiasma  e  che  scontenta  i  vecchi  fans,  Borland  che  non  è  l’ultimo  arrivato  se  ne  rende  perfettamente  conto  e  decide  di  chiudere  con  l’etichetta  per  accasarsi  alla  Statik.  Per  riascoltare  nuove  note  dei  nostri  devono  passare  due  anni  con  l’uscita  dell’EP  “Shock  Of  Daylight”  prodotto  da  Pat  Collier  che  li  fotografa    ai  livelli  qualitativi  che  gli  competono,  la  voglia  di  stupire  è  accompagnata  da  una  fluidità  e  freschezza  negli  arrangiamenti  da  far  ben  sperare  nel  futuro.

Gennaio  1985,  trent’anni  fa  esatti  esce  “Heads  And  Hearts”,  disco  al  quale  sono  particolarmente  affezionato  (perché  acquistato  dal  sottoscritto  dopo  innumerevoli  sacrifici  sulla  paghetta  dell’epoca)  e  che,  pur  non  essendo  eccelso,  in  parte  ottiene  l’obiettivo  prefissato  di  allargare  la  sfera  degli  adepti.  Brillano  la  tensione  evocativa  di  “Whirlpool”,  la  melodia  tenebrosa  di  “Total  Recall”  che  sfocia  in  un  solare  refrain,  il  singolo  “Under  you”  che  paga  dazio  ai  Simple  Minds  non  ancora  rintronati  di  “Don’t  You”  e  la  rilassata  “Mining  For  Heart”.  Da  qui  in  poi  la  storia  precipita  e  l’aria  si  fa  pesante  con  l’etichetta;  per  vedere  un  nuovo  lavoro  di  studio  sugli  scaffali  dei  negozi  bisogna  attendere  il  1987  quando  un  timido  “Thunder  Up”  sancirà  che  i  tempi  sono  irrimediabilmente  cambiati  perché  i  nostri  raccolgano  il  successo  agognato.  Come  dire:  il  treno  è  passato  e  voi  non  ci  siete  saliti.    L’anno  dopo  i  Sound  non  esistono  più,  un  Adrian  Borland  disorientato  decide  di  intraprendere  la  carriera  solista  che  sarà  avara  di  soddisfazioni,  nonostante  la  bontà  di  alcune  prove,  ad  esempio  “Brittle  Heaven”  del  ’92  che  ispira  anche  il  nome  del  suo  sito  ufficiale  mentre  l’altra  mente,  Graham  Green,  abbandona  la  scena  musicale. 

Sul  finire  di  millennio  Adrian  ritrova  la  fiducia,  sta  lavorando  in  studio  per  un  nuovo  disco  che  è  quasi  pronto,  sente  la  pesantezza  dei  suoi  insuccessi  e  li  vive  in  modo  disturbante.  La  mattina  del  26  aprile  1999  si  dirige  presso  la  stazione  metropolitana  di  Wimbledon,  stanco,  sfiduciato  e  depresso  si  getta  sotto  un  convoglio  in  arrivo.

 

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