Le Torri di Malta

Fine del PD: è l'ora della violenza.


Quanto è successo ieri a Torino dovrebbe fare riflettere sulla tragica situazione in cui da tempo versa la sinistra italiana, sempre più divisa, spaccata e priva di una guida e di un obiettivo comune e concreto. La gente di sinistra non sa più chi seguire, tali e tante sono le voci diverse e discordanti che si levano da una parte e dall'altra dell'universo comunista. E' evidente come la sinistra democratica e parlamentare abbia perso non solo il controllo del mondo intellettuale, ma anche quello delle folle. Infatti, mentre Travaglio, ospite d'onore al Salone del Libro, segue la propria collaudata prassi insultando e accusando chiunque, anche il Presidente della Repubblica, e la gente lo applaude, la piazza si agita.
A Rinaldini, delegato Fiom, cioè l'ala più radicale, intransigente ed estremista della Cgil, viene impedito di parlare da un vero e proprio branco di facinorosi che risponde al nome di Cobas. Rinaldini viene probabilmente anche aggredito, suscitando lo sdegno di ogni parte politica, mentre i diretti interessati si discolpano e asseriscono di non essere responsabili che di una civile contestazione. I due avvenimenti, quello librario e quello violento, pur distanti nello spazio, sono più che legati nel concetto. Il concetto di una sinistra che non riesce più a farsi interprete dei bisogni dei suoi naturali elettori, gli operai, e che non ha più neanche il controllo dei salotti intellettuali, un tempo il suo fiore all'occhiello. Senza una guida comune, che indichi un progetto politico con cui riformare il sistema, viene lasciato spazio alle frange estremiste, ai nostalgici della rivoluzione del '17, ai presunti candidi che si permettono di accusare tutto e tutti. La sinistra si è inalberata, in questi giorni, quando l'OCSE ha reso pubblici i dati sulle retribuzioni dei Paesi industrializzati, dai quali risulta che l'Italia è solo ventitreesima in una classifica di trenta nazioni europee. Un ottimo motivo per attaccare il Governo, giustamente, un'altra possibilità di racimolare qualche consenso sfruttando la crisi e mascherandosi da difensori degli oppressi. Ma mentre l'uomo della strada guarda ai dati sugli stipendi dei dipendenti, effettivamente bassi, alcuni si sono accorti che, inspiegabilmente, le casse dei sindacati continuano ad essere piene, e i dirigenti, quelli che si battono ogni giorno con ardore per i diritti dei più deboli, percepiscono stipendi più che lauti. Per questo motivo è comprensibile come la classe operaia non si riconosca più nei suoi sindacati, capaci solo di attaccare Berlusconi e Confindustria e di fare vaghe promesse e, al contempo, intascare la meritata paga, contando sulle tessere di chi si crede da loro rappresentato. Recenti sondaggi confermano come una buona maggioranza delle tute blu voti per il centrodestra, cioè proprio per chi è continuamente e aspramente dileggiato e infangato dai sindacati. E chi, invece, è geneticamente comunista e, anche di fronte ai fatti, si rifiuta categoricamente di dare il proprio voto al nemico cosa può fare, dato che la sinistra non è più la sua famiglia? Scende in piazza, ma non nei cortei del PD, bensì in quelli dei Cobas, seguendo chi promette distruzione, violenza e il sicuro affossamento del sistema. Parole loro, dei Cobas, che si dichiarano senza remore in "guerra" contro una presunta "involuzione autoritaria dello Stato capitalista". Evidentemente si sentono gli eredi di un redivivo leninismo che non considera valido il confronto politico, e che cerca solo lo scontro e la distruzione fisica dell'avversario. In quest'ottica anche la Fiom è il nemico, e Rinaldini un prezzolato, un alleato del potere, da zittire o peggio. I novelli Robespierre gridano nelle piazze, magari sperando che qualcuno porti una ghigliottina per decapitare i nobili, che oggi sarebbero gli industriali e, a quanto pare, anche i sindacalisti. Data la situazione precaria del sindacato, però, questo ce lo si poteva aspettare. Più difficile era, invece, immaginare lo stesso decadimento anche nella cultura, così lontana dai disordini dei comizi. Poco tempo fa gli intellettuali dovevano, quasi per forza, avere la tessera del PD, da esibire con orgoglio per dimostrarsi puliti avversari del potere dell'orco di Arcore. Oggi la situazione è ben diversa, come esplicato dalla kermesse, seppure anch'essa un po' sbiadita, del libro. In questa edizione, infatti, si è trasformata in un malcelato spot del più fiero dipietrismo, nella quale il Travaglio nazionale si è, tanto per cambiare, eletto mosca bianca della politica, l'unico che non ha niente da nascondere, senza scheletri nell'armadio, e si è permesso di criticare in pubblica sede anche il Presidente della Repubblica. Non che io non lo abbia mai fatto, anzi, ma le mie parole non hanno certo la stessa cassa di risonanza delle sue. La gente l'ha applaudito, ha gradito le sue critiche all'intero sistema, compresa quella sinistra che proprio quelle persone dovrebbero andare a votare. Adesso è più di moda seguire Di Pietro, il giustizialismo intransigente (quando fa comodo), la critica di tutto senza mai una soluzione da offrire in alternativa. E a chi è da addebitare tutto questo? Chi è il responsabile della devastazione della sinistra e dell'affossamento di un progetto, quello del PD, mai così sull'orlo del baratro? Chi, se non Dario Franceschini?
Un uomo che evidentemente non possiede né le capacità politiche né la solidità per guidare in porto una sinistra allo sbando, figuriamoci a farle vincere le elezioni. Ovviamente il mea culpa non è nel suo vocabolario, e, nonostante le sue responsabilità siano più che evidenti in quanto è successo a Torino, alle domande dei cronisti cosa può mai avere risposto? Critiche al Governo, chiaramente, colpevole, secondo lui, di non prendere in considerazione le ottime proposte che l'opposizione continuamente gli fornisce, colpevole di non fare nulla per contrastare la crisi, colpevole di non aiutare le classi deboli. Anche lui, insomma, si erge a difensore degli afflitti, anche se quanto è successo a Rinaldini dimostra che non tira una buona aria per i sindacalisti. Poi, grazie alle eresie di Santoro e dei suoi alfieri Vauro e Guzzanti, la crisi della sinistra si è pericolosamente accentuata, lasciando senza alcun controllo né freno le frange più estremiste. Non passerà molto tempo, a questo punto, prima che qualcuno proponga di trasformare la Fiat in un grande falansterio, o di sciogliere il Parlamento in favore in un soviet. Dalle macerie del PD alcuni escono redenti, associandosi al centrodestra delle promesse mantenute, ma la maggior parte sceglie la strada dell'agitazione, della lotta violenta contro tutto e tutti, della furia cieca che non risparmia neanche gli alleati. Che cosa è rimasto, in Italia, della sinistra democratica?