Izet Sulejmanovic, bosniaco di 36 anni, era stato arrestato il 30 novembre 2002 per furto aggravato, mentre era in attesa del permesso di soggiorno, e condannato a nove mesi e cinque giorni di detenzione. Tra il novembre del 2002 e l'aprile del 2003, recluso nel carcere romano di Rebibbia, ha condiviso con altre cinque persone una cella di 16,20 metri quadrati, disponendo, quindi, di 2,70 mq, in cui ha dovuto passare circa diciotto ore al giorno per almeno due mesi e mezzo. Dopodiché la sua situazione è migliorata, venendo trasferito in ambienti con un minore numero di detenuti. Nell'ottobre del 2003, appena dopo la scarcerazione, Sulejmanovic ha presentato ricorso alla Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo. Il ricorso è stato accolto, con cinque voti favorevoli e due contrari, con una sentenza pronunciata il 16 luglio scorso. Poiché il detenuto disponeva di soli 2,70 mq, la Corte "giudica che una simile situazione ha potuto provocare fastidi inconvenienti quotidiani per il ricorrente, obbligato a vivere in uno spazio molto esiguo, ben inferiore alla superficie ritenuta auspicabile dal Cpt (Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o punizioni disumani o degradanti), che ha indicato come minimo desiderabile 7 metri quadri per detenuto", definendo "disumano e degradante" il trattamento subito da Sulejmanovic. Lo Stato italiano dovrà, quindi, versare all'ex-detenuto una somma di mille euro più eventuali danni morali entro tre mesi dalla sentenza. L'assurda storia è l'emblema della situazione carceraria in Italia. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 30 luglio, i detenuti sono circa 63500, con undici regioni che superano la capienza massima e altre due al limite. L'allarme è lanciato dal sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, SAPPE, che, per bocca del segretario Donato Capace, accusa il Ministro della Giustizia Alfano e il capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Ionta di rimbalzarsi le responsabilità e i progetti di edilizia penitenziaria, che non cominceranno che nei prossimi anni. Il risultato è che l'emergenza del sovraffollamento delle carceri sia addossata esclusivamente alla Polizia Penitenziaria, pericolosamente in carenza di organico.
Un premio ai criminali.
Izet Sulejmanovic, bosniaco di 36 anni, era stato arrestato il 30 novembre 2002 per furto aggravato, mentre era in attesa del permesso di soggiorno, e condannato a nove mesi e cinque giorni di detenzione. Tra il novembre del 2002 e l'aprile del 2003, recluso nel carcere romano di Rebibbia, ha condiviso con altre cinque persone una cella di 16,20 metri quadrati, disponendo, quindi, di 2,70 mq, in cui ha dovuto passare circa diciotto ore al giorno per almeno due mesi e mezzo. Dopodiché la sua situazione è migliorata, venendo trasferito in ambienti con un minore numero di detenuti. Nell'ottobre del 2003, appena dopo la scarcerazione, Sulejmanovic ha presentato ricorso alla Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo. Il ricorso è stato accolto, con cinque voti favorevoli e due contrari, con una sentenza pronunciata il 16 luglio scorso. Poiché il detenuto disponeva di soli 2,70 mq, la Corte "giudica che una simile situazione ha potuto provocare fastidi inconvenienti quotidiani per il ricorrente, obbligato a vivere in uno spazio molto esiguo, ben inferiore alla superficie ritenuta auspicabile dal Cpt (Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o punizioni disumani o degradanti), che ha indicato come minimo desiderabile 7 metri quadri per detenuto", definendo "disumano e degradante" il trattamento subito da Sulejmanovic. Lo Stato italiano dovrà, quindi, versare all'ex-detenuto una somma di mille euro più eventuali danni morali entro tre mesi dalla sentenza. L'assurda storia è l'emblema della situazione carceraria in Italia. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 30 luglio, i detenuti sono circa 63500, con undici regioni che superano la capienza massima e altre due al limite. L'allarme è lanciato dal sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, SAPPE, che, per bocca del segretario Donato Capace, accusa il Ministro della Giustizia Alfano e il capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Ionta di rimbalzarsi le responsabilità e i progetti di edilizia penitenziaria, che non cominceranno che nei prossimi anni. Il risultato è che l'emergenza del sovraffollamento delle carceri sia addossata esclusivamente alla Polizia Penitenziaria, pericolosamente in carenza di organico.