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Post N° 181


  LA TEORIA DELL'AMORE AMORE: LA RISPOSTA AL PROBLEMA DELL'ESISTENZA UMANA Ogni teoria d'amore dovrebbe incominciare con la teoria di un'esistenza umana. L’amore tra animali, o meglio, l'equivalente dell'amore, non è che puro istinto: istinto che agisce anche nell'uomo. Ma ciò che caratterizza l'esistenza dell'uomo è il fatto di essere emerso dal regno animale, dall'istinto; esso ha dominato la natura, sebbene non l'abbandoni mai; ne fa parte e tuttavia, una volta staccato dalla natura, non può farvi ritorno; scacciato dal paradiso - vale a dire da uno stato di armonia con la natura - i cherubini con la spada di fuoco gli bloccherebbero la strada, se provasse a tornarci. L’uomo può andare avanti solo sviluppando l'intelletto, cercando una nuova armonia, un'armonia umana, invece di quella originaria, irrimediabilmente perduta. Quando un uomo nasce, viene sbalzato da una situazione ben definita, chiara come l'istinto, in una situazione incerta e indefinita. Vi è certezza solo per ciò che riguarda il passato; per ciò che riguarda il futuro, solo la morte è certa.L’uomo dotato di ragione; è conscio di se stesso della propria individualità, del passato, delle possibilità future. Questa coscienza di se stesso come entità separata, la consapevolezza della propria breve vita, del fatto che è nato senza volerlo contro la propria volontà morirà; che morirà prima di quelli che ama, o che essi moriranno prima di lui, il senso di solitudine, d'impotenza di front alle forze della natura e della società, gli rendono insopportabile l'esistenza. Diventerebbe pazzo, se non riuscisse a rompere l'isolamento, a unirsi agi altri uomini, al mondo esterno.Il senso di solitudine provoca l'ansia; anzi, l'origine di ogni ansia. Essere soli significa esse indifesi, incapaci di penetrare attivamente nel mondo che ci circonda; significa che il mondo può accerchiarci senza che abbiamo la possibilità di reagire. Oltre a ciò, è fonte di vergogna e, spesso, di colpa. Questo concetto è espresso nella storia biblica di Adamo e Eva. Dopo che Adamo e Eva si sono cibati all'albero della «scienza del bene e del male», dopo che hanno disobbedito (non esiste bene né male se non c'è la libertà di disobbedire), dopo che sono diventati umani staccandosi dall'armonia originaria con la natura, si accorgono di «essere nudi e ne provano vergogna». Dovremmo dedurre che un mito vecchio ed elementare come questo ha la stessa morale rigida del diciannovesimo secolo, e che il punto importante che la storia vuole trasmettere è la vergogna per gli organi genitali esposti? È poco attendibile e interpretando la storia con spirito vittoriano ne svisiamo il punto principale, che sembra essere il seguente: dopo che l'uomo e la donna sono diventati consci di se stessi, si sono accorti della loro diversità, in quanto appartenenti a sessi differenti. Ma, pur riconoscendo la loro separazione, essi restano estranei, perché non hanno ancora imparato ad amarsi (il che appare chiaro dal fatto che Adamo si difende biasimando Eva, anziché difenderla). In questa consapevolezza dell'umana separazione, senza la riunione mediante l'amore, sta la fonte della vergogna. E nello stesso tempo è fonte di colpa e di ansia. Questo profondo bisogno dell'uomo, dunque, è il bisogno di superare l'isolamento, di evadere dalla prigione della propria solitudine. L’impossibilità di raggiungere questo scopo porta alla pazzia, poiché il panico della completa separazione può essere vinto solo da un isolamento dal mondo esterno così totale da cancellare il senso di separazione, perché allora il mondo esterno, dal quale sì è separati, scompare. L’uomo - dì qualsiasi età e civiltà - è messo di fronte alla soluzione di un eterno problema: il problema di come superare la solitudine e raggiungere l'unione. t lo stesso problema dell'uomo primitivo che viveva nelle caverne, del nomade che si occupa del proprio gregge, del contadino egiziano, del navigatore fenicio, del soldato romano, del monaco medievale, del samurai giapponese, dell'impiegato moderno. È un problema che nasce da un unico terreno: la situazione umana, le condizioni dell'esistenza umana. La soluzione varia. Il problema può essere risolto mediante il culto per gli animali, col sacrificio umano e la conquista militare, con l'indulgere alla lussuria, con un'ascetica rinuncia, con un lavoro intenso, con la creazione artistica, con l'amore per Dio e per l'uomo. Le soluzioni sembrano molteplici ma in realtà sono limitate, e sono soltanto quelle proposte dall'uomo nelle varie civiltà in cui è vissuto. La storia della religione e della filosofia è la storia di queste soluzioni, delle loro diversità, dei loro limiti.Le soluzioni dipendono, fino ad un certo limite, dal grado d'individualità raggiunto dall'uomo nell'infanzia. Lio è sviluppato in modo rudimentale, il bambino si sente ancora una unica cosa con la madre, non sente la separazione, finché la madre è presente. Il suo senso di solitudine è annullato dalla presenza fisica della madre, dal suo contatto, dal calore della sua pelle. Il bisogno della presenza fisica della madre dipende dal grado dello sviluppo raggiunto dal bambino.Analogamente, la razza umana nella sua infanzia si sente unita alla natura. La terra, gli animali, le piante fanno ancora parte del mondo del bambino. Egli s'identifica con gli animali, e ciò si esprime adottando maschere di animali, mediante il culto per gli animali.Ma più la razza si libera da questi vincoli primitivi, più si separa dal mondo naturale, più intenso diventa il bisogno di trovare nuove vie per superare la separazione. Un modo per raggiungere questo scopo consiste in tutte le forme di stati orgiastici. Questi possono manifestarsi in uno stato di trance raggiunto artificialmente, con l'aiuto delle droghe. Molti riti delle tribù primitive offrono un quadro vivido di questo tipo di soluzione. In uno stato di esaltazione fittizia, il mondo esterno scompare, e con esso il senso di separazione. Finché questi riti sono praticati collettivamente si raggiunge un'esperienza di fusione col gruppo, il che rende la soluzione efficace al massimo. Strettamente collegata, e spesso fusa con essa, è l'esperienza sessuale. L’orgasmo sessuale può produrre uno stato simile a quello provocato dal trance, o dall'effetto di certe droghe. Le orge sessuali collettive facevano parte di molti riti primitivi. Sembra che dopo l'esperienza orgiastica, l'uomo riesca ad andare avanti per un certo tempo senza soffrire troppo la propria separazione. Poi, lentamente, la tensione dell'ansia aumenta, ma viene di nuovo mitigata dalla ripetizione del rito.Finché questi riti orgiastici rappresentano una pratica comune a un'intera tribù, non suscitano né ansia né senso di colpa. Agire in questo modo è giusto e perfino virtuoso, poiché è un sistema praticato da tutti, approvato e prescritto dai medici e dai sacerdoti; perciò non è motivo di colpa o vergogna. Ben diversa è la stessa soluzione scelta da un individuo in una civiltà che ha lasciato dietro di sé queste pratiche. L’alcoolismo e la tossicomania sono le forme alle quali l'individuo ricorre in una civiltà non orgiastica. Contrariamente ai riti proposti da un'intera comunità, quelli individuali sono caratterizzati da un senso di colpa e rimorso. L’uomo tenta di fuggire all'isola mento rifugiandosi nell'alcool e nelle droghe ma si sente ancora più solo quando è finito lo stato di ebbrezza, e di conseguenza è spinto a ricorre con sempre maggior frequenza e intensità. Leggermente diverso da questa soluzione è il ritorno a una soluzione sessuale. Entro certi limiti è un modo naturale e normale di superare la separazione, e una soluzione parziale al problema dell'isolamento. Ma in molti individui per i quali, la solitudine non può essere superata in nessun modo, la ricerca dell'orgasmo sessuale assume una funzione che li rende non molto diversi da alcolizzati e dai tossicomani. Diventa un tentativo disperato di sfuggire all'ansia suscitata dal separazione e il suo risultato è un sempre crescente senso d'isolamento, poiché l'atto sessuale senza amore, non riempie mai il baratro che divide due creature umane, se non in modo assolutamente momentaneo. Tutte le forme di unione sessuale hanno tre caratteristiche: sono intense, e perfino violente coinvolgono tutto l'essere, mente e corpo; sono periodiche e transitorie. Vale invece l'opposto quella forma di unione, che è la soluzione più frequente scelta dall'uomo nel passato e nel presente: l'unione col gruppo, il condividerne costumi,usi, pratiche e credenze.In una società primitiva il gruppo è esiguo; consiste di coloro coi quali si divide anima e sangue. Col crescente sviluppo della civiltà, il gruppo si allarga; diventa la cittadinanza nella polis, la cittadinanza di un grande stato, i membri di una chiesa. Anche il povero romano si sentiva orgoglioso perché poteva dire «civis rornanus sum»; Roma e l'Impero erano la sua famiglia, la sua casa, il suo mondo. Anche nella civiltà occidentale contemporanea, l'unione col gruppo è la maniera più frequente per superare l’isolamento. È un’unione in cui l'individuo si annulla in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore della solitudine. Il sistema dittatoriale si vale di minacce e di terrore per ottenere questa uniformità; i paesi democratici, di suggestione e propaganda. Esiste, in realtà, una profonda differenza tra i due sistemi. Nelle democrazie, l'anticonformismo è possibile; non è, infatti, del tutto assente; nel sistema totalitario, solo pochi sporadici eroi e martiri si ribellano alla schiavitù. Ma nonostante questa differenza, le società democratiche sono prevalentemente conformiste. La ragione sta nella soluzione al problema della separazione, nell'unione col gregge del conformismo. Basti capire il potere della paura di essere diversi, il terrore di trovarsi soli, se pure a qualche passo di distanza dal gregge; basti capire il terrore dell'isolamento. A volte, la paura dell'anticonformismo si identifica con la paura del pericolo che potrebbe minacciare l'anticonformismo. Ma, in realtà, la gente vuole conformarsi a un livello più elevato di quello a cui è obbligata ad adattarsi, perlomeno nelle democrazie occidentali.La maggior parte della gente non si rende nemmeno conto del proprio bisogno di conformismo. Vive nell'illusione di seguire le proprie idee ed inclinazioni, di essere individualista, di aver raggiunto da sé le proprie convinzioni; e si dà il fatto che le sue idee siano le stesse della maggioranza. Il consenso generale serve come riprova della correttezza delle proprie idee. Finché esiste il bisogno di un certo individualismo, tale obbligo, tale bisogno è soddisfatto col rispetto delle piccole distinzioni: le iniziali sulla busta di cuoio o sullo sweater; la piastrina su cui è inciso il nome dell'impiegato di banca, l'appartenenza al partito democratico o a quello repubblicano, oppure a un club anziché a un altro, sono le uniche manifestazioni di individualismo. Lo slogan pubblicitario «è diverso», ci rivela il bisogno ansioso di differenza, mentre in realtà ne rimane ben poca.La crescente tendenza all'eliminazione delle differenze è strettamente legata al concetto d'uguaglianza, così come si sta sviluppando nelle società industrialmente più progredite. Uguaglianza significa, in senso religioso, che siamo tutti figli di Dio, che siamo tutti fatti della stessa sostanza umano-divina, in un unico cosmo. Tale concetto di unione è espresso, ad esempio, nel Talmud: «Chiunque salvi una singola vita, è come se avesse salvato il mondo intero; chiunque distrugga una singola vita, è come se avesse distrutto il mondo intero. » Uguaglianza, come condizione dello sviluppo dell'individualismo, era anche il significato del concetto della filosofia illuministain Occidente. Significava (concetto espresso il più chiaramente da Kant) che nessun uomo deve essere il mezzo che determina la fine di un altro uomo. Che tutti gli uomini sono un fine, e non un mezzo gli uni per gli altri. Seguendo le teorie dell'illuminismo, i pensatori socialisti di varie scuole definirono l'uguaglianza come abolizione dello sfruttamento, dell'uso dell'uomo per l'uomo, indipendentemente dal fatto che quest'uso fosse barbaro o «umano».