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Post N° 209


    Noi come Ophelia             «”Plastica facciale alla bimba down” caso in Inghilterra» G. Sant. Corriere della Sera 11.03.08«Laurence Kirwan è un chirurgo estetico di successo. Ha uno studio a Londra, uno a New York e un altro nel Connecticut. Una bella moglie di nome Chelsea e tre figli. Ophelia ha due anni, i capelli a caschetto biondi e grandi occhioni. E non sa, perchè è troppo piccola, di essere un po’ diversa dalle amichette: Ophelia ha la sindrome di Down. […] Ora il professore ha deciso di usare la sua scienza per “rettificare” i tratti somatici di Ophelia. Ha spiegato al Daily Mail come vorrebbe intervenire per aggiustare “gli occhi leggermente troppo distanti fra loro, il naso piatto, le labbra sottili, la lingua che qualche volta sporge dalla bocca e il collo troppo grosso”. L’operazione, nei piani del medico e della moglie, non avverrà subito, ma quando Ophelia sarà maggiorenne, tra sedici anni, e potrà decidere con loro.» «Chirurgia estetica su bimba down: “così sarà accettata”» Alessandro Carlini, Libero 11.03.08.« Nell’era della medicina che può tutto, il rifiuto del bambino “diverso” è rimasto, soprattutto con i canoni di bellezza imposti da media e  società. […] “Non è giusto che Ophelia, e altri nella sua stessa condizione, vengano giudicati come appaiono, e magari scartati per un lavoro che invece possono benissimo svolgere”, dice Chelsea, la madre di Ophelia. […] “ E’ una questione di autostima: se c’è qualcosa del tuo corpo di cui non sei felice, perché non correggerlo?”. Dichiara ancora Chelsea. “Tutto quello che voglio è che Ophelia sia felice”.» «La figlia è down, vogliono farle la plastica al viso» Erica  Orsini, Il Giornale 11.03.08.«[…] le  associazioni  di parenti con figli down sono inorridite, alcuni ritengono che questo modo di agire sia da considerare alla stregua di un vero e proprio abuso. “Quello che questi bambini portano nelle nostre vite è così profondo e straordinario, è l’umanità più vera.- ha detto Rosa Monkton, moglie dell’ex direttore del Sunday Telegraph e madre di Domenica, che ora ha 12 anni.- Il nucleo della questione non sta in come appaiono ma in quello che sono. Prima di tutto sono i nostri bambini che devono essere amati e non cambiati, perchè sono leggermente diversi da gli altri”. Concetto inattaccabile perchè in realtà vale per ognuno di noi. E l’essere down c’entra veramente poco o nulla.»     «Varese, viaggio nell’azienda che assume solo Down: “il nostro viso è bello così” » Stefano Zurlo, Il Giornale, 13.03.08« Agnese, impiegata, affronta senza preamboli il giornalista: “Sono Down e stamattina ho letto sul giornale la proposta del chirurgo che vorrebbe ritoccare i lineamenti della figlia”. Agnese, come Ophelia, ha occhi orientaleggianti,mascella forte, dita corte. Ma ha anche le idee chiare: “Io mi sono accettata come sono. E credo che il professore inglese dovrebbe aiutare la figlia Ophelia a crescere nello stesso modo. Cambiare fuori non serve.”. Poi Agnese si avvia verso la stazione di Venegono. Come una pendolare qualsiasi.»    Commento   Una “questione di autostima”: così Chelsea, madre di una bimba down, giustifica la “decisione” presa insieme a Laurence, il padre, blasonato chirurgo estetico, di intervenire in futuro sul povero corpo sgraziato della piccola. Lui, che ha già corretto i difetti della moglie, applicherà la sua “scienza” su Ophelia. Lo scopo?  “Rettificare” i lineamenti del viso, deformati dalla sindrome di down. Tutto perché possa un domani essere “accettata dalla società”, perchè, come dice la madre, possa finalmente “essere felice”. Ovviamente questo succederà tra sedici anni quando, con lei maggiorenne, si potranno “decidere insieme” i dettagli dell’operazione. Ma quale sarà in verità il risultato? Essa servirà soltanto a mascherare una situazione che nella sostanza rimarrà tale e quale: Ophelia è e sarà sempre down. Questo diminuisce forse di un briciolo il suo valore? Perché bisogna aspettare una “rettifica” per riconoscerle la piena dignità di persona e la possibilità di essere felice, come documenta la storia di Agnese? Ophelia ci ricorda e porta addosso, in maniera evidente, i segni di una condizione che è propria dell’uomo: il limite e il bisogno di rapporto che siamo.     Noi, come Ophelia, non possiamo fare a meno, ogni giorno, di qualcuno che ci ami per quello che siamo, così come siamo, senza dover amputare o nascondere parti di noi. Cos’è la vita, se non la ricerca continua di questo sguardo?