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Post N° 48


 Sapelli.  In questa spirale nichilistica, dare un senso al lavoro è dare un senso al soggetto. Per questo non se ne parla più. Invece bisognerebbe tornare a studiarlo e a rispettarlo. Quando una famiglia si vergogna di far fare al figlio l’operaio, vuol dire che siamo veramente messi male...  Scholz.  È vero, il disprezzo del lavoro manuale è un sintomo grave. Il lavoro non è più considerato come un valore in sé, ma solo come qualcosa che serve per avere successo e reddito, possibilmente in fretta. Con due conseguenze: o viene subìto come pedaggio da pagare, o diventa una droga. Pensi ai giovani: in quelli che cercano lavoro, oggi, vedi una costante ricerca di stimoli. È come se uno avesse ridotto il lavoro a un portatore di emotività continua, invece di rendersi conto che solo nella continuità, nella dedizione, nella costruzione a lungo termine l’uomo cresce e matura. Bisogna tornare a fare esperienza del lavoro come un processo conoscitivo. Anche quando è ripetitivo. Nessuno mi può dire che una casalinga che in vita sua lava i piatti qualche migliaio di volte non maturi umanamente, se lo fa con un criterio ideale. Si cerca spesso di evitare la fatica, ma la fatica è condizione di crescita. Sapelli.  Io lo ricordo spesso ai miei studenti: quando sono entrato all’Ufficio studi Olivetti avevo 19 anni. I primi sei mesi li ho fatti in fabbrica: entravo alle sei e un quarto. Ma come me facevano tutti i laureati. Bene: questi sei mesi sono stati tra i più interessanti della mia vita. Ho capito che prima della conoscenza c’è l’esperienza. Meglio: che esperienza e conoscenza sono legate. Non è detto che perché uno fa lavori ripetitivi non sia libero nella sua coscienza.