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U.S.A. 2000

Post n°80 pubblicato il 18 Maggio 2009 da Antologia2

 

AMERICAN BEAUTY

(American Beauty)

 

U.S.A. 2000

Regia: Sam Mendes

Sceneggiatura: Alan Ball 

   Tutta la vicenda si svolge all’interno del quartiere residenziale di una non meglio individuata città americana, con i suoi bei viali alberati su cui si affacciano lindi e curati giardini di villette monofamiliari; vediamo i suoi abitanti che li percorrono facendo lo jogging o si scambiano saluti di cortesia attraverso le siepi di recinzione, fra il taglio dell’erba e la potatura delle rose della specie "american beauty".

Il protagonista, Lester, che accompagnerà tutta la storia con il suo commento fuori campo, si qualifica subito come un perdente rassegnato. Fin dal suo risveglio egli prevede che non ci sarà nulla che potrà entusiasmarlo, giornalista mediocre di un giornale di provincia. Facciamo la conoscenza anche con sua moglie Carolyn perfezionista dell’ordine e della pulizia di casa, che svolge il suo lavoro di mediatore immobiliare con tenacia ed ambizione, desiderosa di sfondare nel suo ramo. Questa sua ossessione per il successo la porterà ad ammirare e poi ad avere incontri amorosi con il leader degli immobiliari della zona, un personaggio che recita dal vivo l’immagine che si è costruita attraverso abili campagne pubblicitarie. Marito e moglie svolgono le loro vite parallele senza affetti e con frequenti bisticci su cose di poco conto. Tutto questo non fa che allontanare ancor di più da loro la figlia adolescente Jane, che trova invece interesse, ricambiata, per Ricky, ragazzo della casa accanto e suo compagno di scuola, che ha da poco traslocato con la sua famiglia. Apparentemente bravo ragazzo che cerca di guadagnare qualcosa con lavoretto serale, rispettoso dell’autorità paterna (suo padre è un rigido ufficiale dei Marines), in realtà egli arrotonda la sua condizione economica di studente spacciando (e consumando) erba. Nessuna sorpresa quando, indifferente alla famiglia lei, soffocato dal padre dittatore lui, meditino entrambi una romantica fuga a New York dove lui "conosce altri spacciatori che potrebbero aiutarlo".

Jane ha una amica Angela, che si compiace, novella Lolita, di innescare il desiderio di maschi più grandi di lei, vedendo in questo una riprova della sua capacità di seduzione, essenziale per la sua aspirazione a diventare top model. In effetti è proprio Lester ad avere i sensi risvegliati dalle sue attenzioni e, indifferente anzi soddisfatto per aver perso quel lavoro che costituiva per lui una continua fonte di frustrazione, si dedica ora a seguire miti narcisistici, quali quello della prestanza fisica indispensabile per riuscire a conquistare le attenzioni di una giovane come Angela. Il finale tragico del film porta alla ribalta il tema della morte preannunciato già all’inizio del film (il protagonista racconta infatti il suo ultimo anno di vita). Come suggerisce lo stesso Lester, è l’unica cosa certa che avverrà e se è successo a lui, succederà anche a noi (la reazione degli spettatori a quest’ultima battuta del film è facilmente prevedibile).

Questo film è americano; l’osservazione è ovvia ma la nostra appartenenza al vecchio continente ci fa percepire qualcosa nel film che ci è estraneo, che non ci è proprio, anche se forse per poco tempo ancora. Qualcosa di diverso nella misura in cui la percentuale di divorzi in U.S.A. è quasi il triplo di quella italiana e nella misura in cui da sempre la ricerca del successo e del benessere economico, unica unità di misura per le persone, pervade non solo le classi più elevate, quelle che effettivamente detengono il potere della ricchezza, ma anche la sconfinata vallata della media borghesia, dove la ricerca dei posti più in vista assume il tono di un campionato provinciale fra persone mediocri.

Ecco che Carolyn si ripete incessantemente che "per avere successo è importante apparire di successo" mentre Angela ribadisce più volte che "non c’è nulla di peggio che essere banale". Il più cinicamente integrato in tale logica e il giovane Ricky che costruisce intorno a se, un’immagine di tranquillo e bravo ragazzo ma poi è il primo a perseguire la regola che l’importante è avere denaro, indipendentemente da come lo si ottiene. Nessuna molla interna di ribellione scatta in questo ragazzo, egli non sente nessun impegno per un comportamento coerente o quantomeno integro, troppo spento nel suo quieto vivere, nel suo piccolo benessere truffaldino conquistato.

Lester è un più deciso contestatore di questo mondo di arrivisti (forse perché riconosce obbiettivamente di non averne le capacità) tanto che volutamente cerca un semplice impiego in una tavola calda proprio "per non avere responsabilità". Rinfaccia alla moglie di esser più attaccata alle "cose", ai begli oggetti di casa che non alle persone. Ma anche lui risolve i suoi problemi in modo assolutamente privato, sognando, a 42 anni, di essere ancora sufficientemente prestante da riuscire conquistare una ragazza adolescente. Solo alla fine, dopo un lungo colloquio con Angela, capisce quanto sia stato immaturo e ridicolo il suo atteggiamento e contemplando una foto che gli richiama un momento di serenità familiare con sua moglie e sua figlia, torna a rivolgersi verso gli unici veri valori umani sui quali, nonostante tutto, può contare.

 

In questo film ognuno agisce per se stesso ed ha rapporti con gli altri nella misura in cui gli è conveniente nella ricerca della propria soddisfazione.

In questo contesto le due famiglie che ci vengono presentate, quella di Jane e quella di Ricky (a dire il vero ve ne è una terza formata da due gay, assolutamente felici), si ritrovano insieme solo per alcuni appuntamenti obbligati della giornata (a cena la sera nel primo caso o davanti alla televisione per vedere un film scelto dal padre nel secondo). Sono incontri che in realtà disgregano, perché avvelenati da futili litigi o da pesanti silenzi.

Non ci troviamo di fronte ad un film satirico sulla middle class americana, anche se l’ironia e la comicità di certe situazioni sembrerebbe farlo pensare; fare satira vuol dire distruggere per costruire, per valorizzare un comportamento di riferimento anche se esplicitamente non dichiarato. In questo caso non traspare nessun messaggio: il film ci presenta i personaggi così come sono, ben tratteggiati nel disagio della loro desolante umanità: tutti disadattati per cercar di essere quello che non sono, tranne Lester che riesce ad essere ribelle perché si fa forte della sua rinuncia e Ricky che non si pone problemi perché perfettamente allineato alle regole dominanti.

L’atteggiamento nichilista che pervade il film è attenuato da due soli riferimenti assoluti: la contemplazione (da parte di Ricky) della bellezza di tante piccole realtà che ci circondano (una busta di plastica sospinta dal vento , un uccello morente) che fanno intravedere la bellezza più grande ma misteriosa dell’universo; il senso della morte, che preannunciata all’inizio e poi manifestata alla fine del film, lo racchiude come una parentesi condizionante, attimo misterioso della nostra esistenza che ci fa cogliere, quando ormai è troppo tardi, la percezione dell’eterno.

Il film ha lo stesso un merito: dal momento che la sceneggiatura è ottima ed è molto ben recitato, tanto che lo spettatore si sente perfettamente coinvolto nella vicenda, proprio per questo si esce da film con un forte desiderio che una società siffatta non riesca ad attecchire

Franco Olearo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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