Nessuno ne parla sui media; nessuno porta in televisione quelle scene, eppure sarebbero come un pugno nello stomaco di chi gioca a fare il politico o l'amministratore e spreca colpevolmente il proprio tempo e il proprio potere. Dietro ad una porta chiusa, in un reparto di un ospedale qualunque, si sente il pianto disperato di un bambino; forse gli infermieri lo stanno medicando e lui ha paura di quelle strane bende e garze; forse è sotto terapia e quelle siringhe, quegli aghi aguzzi, quei liquidi gli fanno paura. Forse ha dolore, e protesta inutilmente contro di lui con tutta la forza che ha in corpo.Il lamento dei vecchi è forse ancora più straziato, perché è un lamento senza speranza.E' così ogni giorno, in mille ospedali diversi di mille città diverse. Ma non riesco ad abituarmi. Quel pianto strazia le viscere, e non riesco a passare dietro a quella porta. Quanta sofferenza di carne umana è ignorata, nascosta dietro alle pareti delle case e degli ospedali. Quanta paura, quanto dolore!Se lo si mostrasse o se ne parlasse, non sarebbe una mancanza di rispetto, anzi sarebbe un modo per portare all'attenzione della opinione pubblica il tema della sofferenza che, ben più della morte, è un tabù.Si parla molto della morte, magari del modo migliore per affrontarla quando si avvicina. La si mostra senza remore, magari “finta”, ma la si mostra; la morte fa parte ormai dello show. Al contrario si parla pochissimo della sofferenza, vista forse come una sorta di naturale e inevitabile tortura, dunque inconfessabile e forse per questo da esorcizzare ignorandola sui media. Invece, parlare della sofferenza e mostrarla con rispetto e discrezione, aiuterebbe a re-inquadrare la realtà nella sua giusta cornice e magari darebbe ad ognuno nuove scale di priorità e rinnovato impegno ad alleviare la sofferenza di chi ci sta vicino, ognuno per quello che può.Alla morte non c’è rimedio. Alla sofferenza forse sì.Antonio Facchiano
Nessuno ne parla
Nessuno ne parla sui media; nessuno porta in televisione quelle scene, eppure sarebbero come un pugno nello stomaco di chi gioca a fare il politico o l'amministratore e spreca colpevolmente il proprio tempo e il proprio potere. Dietro ad una porta chiusa, in un reparto di un ospedale qualunque, si sente il pianto disperato di un bambino; forse gli infermieri lo stanno medicando e lui ha paura di quelle strane bende e garze; forse è sotto terapia e quelle siringhe, quegli aghi aguzzi, quei liquidi gli fanno paura. Forse ha dolore, e protesta inutilmente contro di lui con tutta la forza che ha in corpo.Il lamento dei vecchi è forse ancora più straziato, perché è un lamento senza speranza.E' così ogni giorno, in mille ospedali diversi di mille città diverse. Ma non riesco ad abituarmi. Quel pianto strazia le viscere, e non riesco a passare dietro a quella porta. Quanta sofferenza di carne umana è ignorata, nascosta dietro alle pareti delle case e degli ospedali. Quanta paura, quanto dolore!Se lo si mostrasse o se ne parlasse, non sarebbe una mancanza di rispetto, anzi sarebbe un modo per portare all'attenzione della opinione pubblica il tema della sofferenza che, ben più della morte, è un tabù.Si parla molto della morte, magari del modo migliore per affrontarla quando si avvicina. La si mostra senza remore, magari “finta”, ma la si mostra; la morte fa parte ormai dello show. Al contrario si parla pochissimo della sofferenza, vista forse come una sorta di naturale e inevitabile tortura, dunque inconfessabile e forse per questo da esorcizzare ignorandola sui media. Invece, parlare della sofferenza e mostrarla con rispetto e discrezione, aiuterebbe a re-inquadrare la realtà nella sua giusta cornice e magari darebbe ad ognuno nuove scale di priorità e rinnovato impegno ad alleviare la sofferenza di chi ci sta vicino, ognuno per quello che può.Alla morte non c’è rimedio. Alla sofferenza forse sì.Antonio Facchiano