Apollo Errante

Invisibile tra gli invisibili


- Silenzioso, infinitamente piccolo… sogno. Invisibile fra gli invisibili mi aggiro silenzioso nel mio sogno di vita. Sogno il Croco, la Rosa, l’Iris, il Salice e il Tarassaco, l’Orchidea. Sogno la vita: quella che è in te. Ma per sognare la morte ho bisogno che tu muoia e come la morte, la vita stessa è sogno immortale che in me vive ad ogni tua vita. Riflesso nello specchio di un mondo invisibile canto il fuoco, la luce, il tempo che non posso lasciar andare libero di scorrere oltre questo mio sogno. Sogno dunque di nascere benché il nascere non sia che un gioco di specchi nei cui frammenti mi sporgo; e questo perché essi non sono che i mille occhi attraverso cui guardo te e vedo ciò che vedi. Ora comprendi che non puoi essere solo. Il mio sogno ha bisogno di sognare se stesso e, se tu fossi solo, sognerei me stesso e non ciò che tu vedi. Non cercarmi, dunque, non puoi vedermi: sono ovunque tu sei, tanto infinitamente piccolo da riempire per intero il tuo più profondo orizzonte. Ho sognato il deserto ed anche il vento perché una voce potesse urlarvi dentro il mio nome. Non parlarmi dunque, perché le tue parole non sono che le mie. Ma puoi cantare, se lo desideri, quel canto infantile che chiama la Madre. Come te, la desidero sopra ogni cosa poiché essa custodisce il mio sonno e il tuo. Lei, e soltanto lei, fa di me l’artefice dei tuoi stessi sogni di vita. Invisibile fra gli invisibili, le ho dato un volto di pietra, ammantato di stelle e cinta di fronde perché realizzasse il mio sogno. Le ho dato un corpo perché potesse contenere ogni più piccolo frammento mortale e perché lo conservasse come un seme in fermento. Su di lei ho soffiato il mio alito. Le ho dato una voce perché, senza parole, cantasse la vita. Così anch’io ascolto il suo canto e lei il mio; corre attraverso il suono delle mie stesse corde, le voci e giunge come eco attraverso i monti e le acque. A lei invio il  mio canto, a lei, cui ho donato il mio respiro perché potesse alitarlo sul frutto del suo ventre. Perché tu ed io eravamo soli. Ed il nostro era un unico sogno senza tempo, senza vita, senza morte. A lei ho donato il mio respiro, ancora custodito nel tuo torace.  A lei ho donato il dolore perché lei e soltanto lei potesse trasfigurarlo in seme gioioso, purché breve, perché continuasse a dare seme. Un seme di terra, mortale ma eterno, lieve ma tenace come acqua di fonte che si scava la via nelle rocce. Ti ho forgiato come Fuoco ma di lei ne ho fatto Acqua. Ho fatto di te un legno di cedro ma lei è la Porta della mia casa. Ti ho fatto sabbia ma lei è la roccia matrice. Le mie stesse corde sono scosse da un turbamento perché la sua voce silenziosa giunge fin qui nel mio lago lucente… Perché io sono la voce ma lei è il canto, io sono il bosco ma lei la pianta.  Io sono l’origine ma lei, lei è il fiore. Ora il bosco è pieno della rugiada, della mia aurora, e quel frutto che ti ho dato in nutrimento non è che il germoglio di questo mio sogno che,  in preda al morso della morte lo credesti peccato. Ma io, e soltanto io andavo incontro alla morte per vivere ancora, come tu aneli alla vita fino a morirne.-CaudapavonisTratto da: Angelus ad Virginem - dialogo del Mal'Akim - di R. Caravella