Apulia Cinema

Il cinema di Sergio Rubini al Villaggio del Fanciullo di Bari


Arriva puntuale Sergio Rubini al Villaggio del Fanciullo di Bari e si guarda attorno nella grande (affollata) sala, adibita ad aula universitaria di «e-Campus», con uno schermo per la proiezione, su cui scorrono le immagini dei ciak, dei backstage, del girato di alcuni suoi film ed intere sequenze de L’uomo nero e di Tutto l’amore che c’è.Incomincia subito la lezione con il professore ferrarese Marco Teti, che sottolinea i cambiamenti tecnologici del cinema, introdotto da Gianluca Paparesta e dalla elegante Lorena Albani, dell’Università on line di Novedrate. È presente il giovane giornalista Cafaro, ormai ex di Antenna Sud, nel giorno, triste, di chiusura dell’emittente.Rubini racconta, come in una sceneggiatura, le tappe della sua carriera. il debutto a 16 anni nella compagnia di teatro di Grumo Appula con il padre, la partenza dal suo paese «con la morte nel cuore», la scuola di Roma (dove cambia il suo accento) per la formazione con Andrea Camilleri, che lo fa debuttare a venti anni. Ancora una volta replica la scena del provino con Fellini e poi le telefonate alle sei del mattino del ragista per L’Intervista: impara che, per fare il regista, per prima cosa ti devi alzare presto la mattina. E poi occorre passione, abnegazione, dedizione, ed anche in qualche modo, l’umiltà. Poi finalmente ritorna ai suoi suoni, ai suoi luoghi.«Penso che non sia cambiato il rapporto che c’è tra chi ha il piacere di raccontare una storia e chi ha voglia di ascoltarla. Non cambia lo spettatore, ma i luoghi delle immagini: oltre che nelle sale, oggi un film si può vedere a casa con un proiettore casalingo, oppure scaricarlo da internet, e c’è ancora qualche nostalgico (come me) che compra i Dvd. Resta immutato il desiderio di immedesimarsi in altre culture»«Quando ho iniziato a fare cinema, si parlava già di crisi, una crisi di numeri, non di cultura: c’erano, infatti, i grandi maestri come Antonioni o Rosi e si affacciava una nuova generazione di cineasti, come Nanni Moretti. Oggi posso dire che noi non siamo diventati, a nostra volta, dei maestri e quindi c’è una crisi culturale. Altro che rottamazione: noi dobbiamo tirare fuori i grandi vecchi; in questi giorni sto lavorando con Scola ad un film su Fellini».«Il cinema non necessariamente deve ricostruire un luogo geografico; lo racconta bene la televisione (quella fatta bene, che incontra la realtà), perciò mi è piaciuto sempre confondere i dialetti, raccontare i costumi, le abitudini, la realtà che abbiamo noi al sud. Ne La Terra ho messo un canto bulgaro e la gente credeva che fosse una canzone pugliese. Ho tentato di dare un ruolo di protagonista al sud e alla nostra Puglia, in un periodo in cui Arbore si diceva napoletano, Domenico Modugno passava per siciliano. Descrivo non un sud tra Toritto e Bitetto, ma un sud più ampio, un sud dell’Europa».Adriano SilvestriNella foto: Paparesta, Rubini, Cafaro.