Apulia Cinema

Eyal Silvan e il "documentario politico"


Continua nella Mediateca di Bari il laboratorio sul cinema documentario, dal difficile titolo «I/O Doc - Input Output Doc»: parla Eyal Silvan (nella foto), introdotto dalla giovane Martina Melilli di Padova.Il regista autodidatta presenta spezzoni dei suoi film a cominciare dal primo (Aquabat Jaber, “passaggio attraverso” del 1985), ma il suo discorso parte addirittura dai fratelli Lumière: i due primi film girati, con il treno che arriva in stazione e gli operai ai cancelli della fabbrica - in effetti - sono dei documentari, anche se – documenta – il secondo è girato di domenica e i lavoratori vengono chiamati apposta per recitare la parte davanti a una macchina fotografica, che poi si rivela essere una cinepresa.Capelli brizzolati, un minuscolo codino, computer portatile e telefonino, chiarisce che è israeliano, ma parla correttamente inglese, lentamente, con ampi gesti di tutto il corpo, assume atteggiamenti teatrali, fissa negli occhi i partecipanti, che immaginano di trovarsi davanti a una messa in scena, con le luci che producono ombre sulla parete alle sue spalle. E con un braccio copre una parte delle scritte proiettate sullo schermo. Sposta gli oggetti, gli occhiali, un vassoio di caramelle. Afferra un foglio di carta bianca e realizza al centro una finestra orizzontale, la ritaglia e la usa come una cornice: quello che si vede è dentro questa cornice, ma quello che non si vede è nascosto dalla cornice stessa. «Il documentarista, appunto, decide cosa mostrare al pubblico e cosa no. Specie nei documentari sul potere, argomento del giorno, la soggettività aumenta e sono decise a priori soprattutto le cose che non si vogliono mostrare. I dittatori hanno amato molto il cinema, come arma della propaganda per costruire regimi totalitari. In ogni caso, quello che si registra in un documentario, una volta sola, è una azione ripetitiva che accade con regolarità più volte, anche quando non c’è una camera a riprendere. Da qui la differenza con la fiction, dove l’azione si svolge una unica volta, a beneficio della camera. Ma in entrambi casi i tempi del cinema sono diversi dai tempi della realtà».Chiude la giornata parlando volentieri del prossimo film, già in lavorazione, che coinvolge 18 diverse persone, le quali conversano, con una particolare tecnica di divisione in due parti dello schermo. Ma è giusto aspettare il film definitivo, perché Eyal Silvan, come il nostrano Mago Silvan, tirerà fuori qualche coniglio dal cilindro…Adriano Silvestri