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Splendor. Storia (inconsueta) del cinema Italiano di Steve della Casa


Splendor di Steve Della Casa, edito da Laterza, è una breve storia sentimentale e inconsueta del cinema italiano che ripercorre, attraverso i generi e le testimonianze, le avventure e le leggende metropolitane di un cinema ancora pieno di zone d’ombra. L’assunto di base resta la natura di “Industria senza industriali” del cinema italiano: secondo solo a Hollywood per film prodotti, non è mai stato un’industria nel senso compiuto e letterale del termine, ma un vero e proprio “turbinio di creatività, di artigianato, e di arte di arrangiarsi.”Il libro parte dai primi decenni di vita del cinema in Italia e arriva fino ai giorni nostri, passando per il sempreverde dibattito sui generi e sui numeri della produzione nazionale. Dopo i primi capitoli sul cinema muto, sul fenomeno del divismo e sull’avvento del sonoro, si arriva al 1939, l’anno in cui l’industria cinematografica raggiunge quota 100 (cento film prodotti in un anno), un risultato frutto sia dei forti investimenti del regime ma soprattutto della politica cinematografica.In quegli anni il dibattito sui generi intreccia il suo destino alla politica, dettata dalla legge Alfieri che premia il film secondo gli incassi conseguiti e dall’istituzione del Monopolio film esteri per l’acquisto e la distribuzione dei film stranieri: due provvedimenti il cui primo effetto è l’incremento quantitaivo della produzione italiana, cui si chiede di sostituire in qualche modo la latitanza delle quattro majors americane prima dominanti.Se il congedo delle grandi case non implica ancora la mancanza totale dei film americani dalle sale, l’industria privata si rafforza, avvalendosi di premi e benefici. Il genere preferito dal pubblico e dalla produzione resta la commedia con le sue varianti dialettali e populiste, un megacontenitore che non disdegna il melodramma strappalacrime. Sullo sfondo della commedia comico – sentimentale, si delinea l’affermazione dei telefoni bianchi e dell’opera di Mario Camerini, l’Ernst Lubitsch italiano, tanto amato per la scelta di raccontare le vicende di gente povera e miserabile e per lo star system più apprezzato dell’epoca Assia Noris – Vittorio De Sica.Nella seconda parte del libro, l’autore affronta gli anni dei “giovani leoni, dei grandi maestri e dei talenti minori”, gli anni Sessanta, la ripresa delle produzioni cinematografiche e l’inquietudine raccontata – non come nel resto del mondo da autori di venti o trent’anni – da registi di grande mestiere, intorno ai cinquant’anni con un lungo trascorso nel cinema comico. Il genere più frequentato è ancora una volta la commedia che meglio interpreta i segni e gli stati d’animo dell’Italia del boom economico.Uno dopo l’altro escono Una vita difficile, i compagni, I due nemici, L’Armata Brancaleone, che non ebbe certo vita facile e che lo stesso Monicelli definì – in un’intervista rilasciata proprio a Steve Della Casa – “un film che nessuno voleva fare”. Splendor arriva sino ai giorni nostri e racconta i retroscena della storia del cinema italiano districando gli intrecci tra le riflessioni teoriche sul film medio – allargate al significato di mestiere, ai grandi numeri, ai rapporti con i modelli di scorrevole correttezza, tipici del cinema americano – ai racconti appassionati dei protagonisti, ai film nati, non per rispondere scientificamente alle esigenze del mercato ma “casualmente sull’estro delle sensazioni del momento”.Daniela TontiSplendor. Storia (inconsueta) del cinema Italiano di Steve della Casa (Ed. Laterza, 140 pagg., 14 Euro). Nota: Riproduco l’articolo apparso sulla rivista D’Autore (fascicolo di Aprile 2014, anno III numero 8).