Apulia Cinema

Marco Bellocchio, Niccolò Piccinni, Nino Rota, Domenico Modugno: total immersion a Bari


La Sala dell’Organo, collocata scenograficamente al centro della villa che ospita il Conservatorio di Bari (nella foto), è raggiungibile da due rampe di scale, gemelle e simmetriche: sulla porta appare - burocraticamente - la targa «Stanza 27»: e, con questo numero, me la indicano gli studenti, che conversano sulla panchina antistante l’edificio, seduti nel giardino, al quale si accede, dopo aver varcato un vero e proprio passaggio a livello, del tutto simile a quello delle confinanti Ferrovie Appulo Lucane.È questo il percorso che compie Marco Bellocchio, quando arriva puntualissimo all’incontro di lunedì mattina, e si concentra sui (tanti) interlocutori, studenti, docenti e appassionati di musica e di cinema, che intervengono, fino a restare in piedi, anche sull’uscio, o sedendosi nelle antiche poltroncine, poste al lato dell’oratore. Unico tocco di modernità è un televisore a schermo piatto, manovrato da un cd. In effetti qui tutto è antico, a partire dall’organo di grandi dimensioni, che dà il (vero) nome al salone. Anche se le sequenze trasmesse per prime dalla tv sono quelle iniziali di Addio al passato, film relativo alla polemica simpatica tra gli amanti di Verdi, nel centenario della sua scomparsa, divisi tra Piacenza e Parma. Non mancano le immagini amatoriali in Super8, recuperate da vecchi filmini in bianco/nero. Uno sguardo e qualcuno chiude le imposte in legno delle finestre, che danno sul giardino e l’atmosfera si fa più intima, in una penombra che appare in linea con la vicenda narrata.Il regista attende muto, quando fanno gli onori di casa il Presidente e il Direttore del Conservatorio, che Bari ha voluto dedicare all’illustre concittadino Niccolò Piccinni. Sorride quando, dal discorso di benvenuto, echeggia il nome di un altro famoso musicista, quel Nino Rota che diresse ai suoi inizi questa scuola, allora Liceo Musicale, il quale occupava una stanza che confinava – pare – con il salone, ove siamo riuniti, e che musicò i principali film di Federico Fellini.«Io non sono un grande conoscitore di opere. Ho una certa età. Quando ero bambino a Piacenza c’era una tradizione lirica. In casa si respirava un pochino, attraverso i grandi dischi in vinile, l’atmosfera delle romanze dei Pagliacci, della Bohème. Ma io non so leggere uno spartito; sono un dilettante…»: così Bellocchio incomincia la sua esposizione, accanto ad Angelo Amoroso d’Aragona, che non nasconde la sua emozione e che subito entra nel merito dell’opera lirica di Ruggero Leoncavallo (Pagliacci, appunto), che andrà in scena al Teatro Petruzzelli, secondo gli accordi presi «con il precedente Sovrintendente della Fondazione», il quale ha voluto la regia del Maestro, per inserire le sue idee di immagine nella messinscena, dopo una altra opera affidata a Ferzan Özpetek.«È una esperienza molto coinvolgente. Ma nell’opera c’è un rapporto di sguardo tra l’interprete e il direttore, per cui il regista resta fuori da questo rapporto diretto, ma indispensabile. A differenza del cinema, il teatro ha una diversa percezione da parte dello spettatore, ma anche in questo caso è presente, sia pure in maniera parziale, una visione soggettiva del regista…»: si interrompe perché partono improvvisamente le scene di Sorelle mai, girate nella piazza di Bobbio, suo Paese natale; appare l’uomo in frack, con aperto riferimento ad un altro musicista della nostra terra: si immerge, vestito di tutto punto, nelle acque del fiume Trebbia e - sui titoli di coda - echeggia il motivo di Domenico Modugno.«La colonna sonora deve aggiungere qualcosa alle immagini, deve integrarsi con la vicenda narrata, non deve nascondere il vuoto di un film…»: ancora una interruzione perché il cd, trasmesso ora dalla tv, porta nella sala le note e le parole di “Fischia il vento” intonate da un gruppo di commensali appartenenti a più generazioni, riuniti per un pranzo di nozze e ancora più uniti dal canto profondo e partecipato. E poi il discorso verte su Buongiorno, Notte con la spiegazione della scena di Aldo Moro che esce vivo dalla prigione dei brigatisti «come molti speravano al momento…»: e il regista dice queste parole, conscio che molti nella sala hanno conosciuto di persona lo Statista Pugliese e, alla fine, aggiunge «c’è il vero funerale…».Arriva, tra una pausa e l’altra, in sottofondo, la musica di un pianoforte: proviene da una aula più lontana, ove continua la didattica e qualche alunno si esercita, pensando – forse – a Nino Rota, o a Domenico Modugno.Adriano Silvestri