Le Arabe Felici®

Paninari contro Fasci


Uno dei periodi che ricordiamo con maggior vergogna e disprezzo , e che ci avvolse come la tuta di un palombaro stringendoci in una morsa di livore e dolore, fu quello dei Paninari. Una vera e propria moda che non poteva assolutamente prescindere da una matrice comune che legava insieme tutti i paninari italiani: bisognava essere parecchio coglioni. Andare in giro con i pantaloni a cavallo basso ma con l’orlo ben sopra le caviglie, esibendo dei calzini di spugna bianchi o Barlington su scarpe Timberland andava contro ogni regola minima di buon gusto e rispetto verso se stessi e verso il prossimo. Eppure, se ti abbigliavi così, eri “togo” o “tozzo” , come si diceva a Roma.
Condizione fondamentale erano i capelli egagri di Gel, per l’esattezza di “Gommina” della Simmons, società fallita nel 1985 perché pare che tale sostanza, oltre a scolpire i tuoi capelli, ti ustionava la cute fino a svelare i gangli di materia grigia. Conditio sine qua non per andare a fare le “vasche” al centro era abbigliarsi con il Moncler, costosissimo giubbotto piumone, che avevano solo i più ricchi, che somigliava in modo imbarazzante ad un giubbotto di salvataggio, meglio se infilato dentro ai pantaloni, in modo da assomigliare all’omino della Michelin. Se invece non volevi somigliare a quest’ultimo, legandoti la vita con una cinta di “El Charro” potevi quanto meno sembrare una salsiccia di Montorio Romano. Ci si riuniva nei primi Fast Food , veri e propri feticci ed oggetti di culto, e ci si nutriva di grassi e colesterolo, tanto che c’erano ragazzi che a 18 anni avevano lo stesso intestino tenue di Lou Reed del periodo psichedelico.Ma il danno più grosso che venne portato dai paninari fu lo slang. Purtroppo modellato su quello dei giovani milanesi dei primi anni ’80: credo non faremo incazzare nessuno se diciamo che il dialetto milanese è universalmente riconosciuto come il più fastidioso a livello planetario, proprio perché vive su
abbreviazioni di parole che , musicalmente, starebbero sul cazzo pure se dette per intero. Si indossavano ai piedi “Le timba” , si “Limonavano le squinzie o le sfitinzie” , meglio se “very arrapation”. I genitori diventavano i “sapiens” e si andava a sciare a “Curma”. Ricordando quel periodo ti chiedi se non sia meglio oggi, dove per la strada non si vedono più pagliacci in Cesse e Levis 501, ma fieri e baldanzosi giovanotti rasati a zero, col bomberino e gli scarponcini, che non usano fastidiosi slang milanesi ma parole che ci inorgogliscono come “spavaldo di essere”, “fiero”, “barcollo ma non mollo”, “boia chi molla”, “credere, obbedire, combattere”, “Imbolsito ed egagro per il duce”, “Sarò brutto , sarò racchio, ma ho il cazzo che è un abbacchio”.In tutto questo, però, ci si chiede quando potremo finalmente vedere in giro adolescenti semplicemente “normali”.