Creato da princepscivitatis il 23/02/2007

Storia & Archeologia

La Storia e l'Archeologia : una passione da sempre! Il luogo di ritrovo per tutti gli amanti di queste discipline meravigliose. Un tuffo nel passato per sognare e vivere esperienze magiche, visitare i luoghi del passato e conoscere i grandi uomini che con le loro imprese hanno segnato la storia dell'Umanità.

 

 

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Per iniziare : cos'è la Storia. A cosa serve?

Post n°2 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da princepscivitatis
 

Come inizio mi sembra opportuno chiarire subito un concetto fondamentale : cos'è la Storia e a cosa essa serve.

Ho letto al riguardo, ma fra tutti gli scritti uno, per semplicità e profondità allo stesso tempo, mi è sembrato fare al nostro caso : un bellissimo colloquio fra Luciano Canfora, sicuramente uno tra i maggiori storici del nostro Paese e i suoi studenti

 (http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Canfora)

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Ve lo riporto per intero :

27 febbraio 1998

CANFORA : Mi chiamo Luciano Canfora, insegno Filologia greca e latina e mi occupo di storia. Come mai questo mestiere? Credo che le cause siano sempre molto soggettive, comunque ne immagino una. Quando facevo il liceo, eravamo alla metà degli anni Cinquanta, cioè in un'epoca di grandi contrapposizioni ideologiche, politiche, e questo spingeva a studiare la storia per capire il presente in un modo abbastanza cogente e anche, direi, drammatico. Ma, nel prosieguo di tempo, mi sono reso conto che questo studio, senza una buona attrezzatura, non si può condurre e allora il lavoro che faccio è un lavoro che si potrebbe definire un lavoro preparatorio allo studio della storia appunto, allo studio dei testi. Si discute molto se questo sia un mestiere produttivo, quello di studiare la storia. Molti dubitano che sia utile. Io credo che per cominciare una discussione sulla storia, possiamo vedere la scheda che racconta in breve di che la storia per lo più tratta.

Sosteneva Cicerone che chiunque non fosse a conoscenza del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a sé. L'affermazione, almeno in teoria, - nella pratica le cose stanno un po' diversamente e la storia la si insegna e la si studia poco - raccoglie il consenso dei più, ma non di tutti.

Un filosofo, sicuramente un po' estremo, ma non per questo meno importante, come Friedrich Nietzsche, sosteneva infatti che la storia fosse una disciplina deprecabile e fuorviante, l'espressione massima di quel pensiero razionale, che impedisce di seguire gli istinti più profondi e vitali della natura umana. Maestra di vita per alcuni, come Tucidide, Erodoto e Marx, o esercizio inutile e addirittura dannoso per altri, vedi Seneca o Voltaire, comunque sia la storia occupa un ruolo decisivo nell'agire umano, dalla cultura alla politica. Quest'ultima, in particolare, è costantemente soggetta alle interferenze dell'interpretazione storica, fino a ingenerare l'annosa polemica sull'uso politico della storia. Qui il rischio della mistificazione è sempre in agguato. Sicuramente però lo studio della storia può aiutare a interpretare correttamente il presente. Non a caso alla storia, e al rigore analitico che essa richiede, i regimi totalitari di questo secolo, hanno contrapposto il mito, cercando, in presunte età dell'oro - la mitologia germanica per il nazismo, l'Impero Romano per il fascismo nostrano -, le proprie radici. Chissà se nei primi vent'anni del secolo ci si fosse applicati un po' di più allo studio della fine di imperi centrali e un po' meno a mitizzare i Nibelunghi, forse la barbarie nazista avrebbe trovato terreno meno fertile.

La scheda che abbiamo visto ovviamente è molto schematica, com'è naturale nelle schede, però ha un elemento, un filo conduttore. Mette insieme una serie di scene; dal cesaricidio, l'ammazzamento di Giulio Cesare in Senato - un pezzo di Shakespeare, naturalmente ridotto al cinematografo con Marlon Brando nella parte di Marcantonio, molto giovane naturalmente - e arriva fino alla Seconda Guerra Mondiale, direi - almeno se abbiamo visto con attenzione -, attraverso una serie di tappe che sono violente. Direi che non c'era nessuna scena tranquilla, rassicurante, in quel rapido, in quella carrellata che abbiamo visto, e scene violente, direi quasi esclusivamente di guerra, tranne una testa, infilata su una picca, di una signora, che poteva essere per esempio la principessa di Lamballe, un amica di Maria Antonietta, che fu trucidata in malo modo, durante le cosiddette Stragi di Settembre, nel 1792, momento cruciale della Rivoluzione Francese, alla vigilia della battaglia di Valmy e della proclamazione della Repubblica, appunto, della Prima Repubblica francese. Ma era una scena che voleva rappresentare le rivoluzioni. Le rivoluzioni peraltro sono l'altra faccia, diciamo così, della conflittualità, per lo più bellica, di cui la storia si occupa. Intendo dire, la storia scritta, la storia che si raccoglie nei libri, nei trattati, nelle storie universali. E' una storia tutta occidentale, anche questo va detto, nel senso che si va dall'antica Roma alla guerra ultima, attraverso scene che riguardano l'Europa, l'Europa come centro del mondo. Anche questa è una scelta, una scelta che ha la sua ragion d'essere nel fatto che l'Europa ha dominato gran parte del pianeta in vari momenti e dopo le grandi conquiste coloniali, dopo la scoperta del nuovo mondo, eccetera, in modo sempre più violento, sempre più continuativo, tanto che noi oggi continuiamo a pensare i fatti sempre dal nostro angolo visuale. Faccio un esempio così, che credo di attualità. Si dice spessissimo: la fine del Comunismo. Questa è una frase che ritorna spessissimo, direi quasi di senso comune ormai. E' un po' buffa come espressione, intendendo per comunismo una organizzazione statale, che si definisca tale, poi la filosofia del comunismo come astrazione è un altro fatto. Ora esso è finito certamente in Europa, ma non in Asia, per il fatto stesso che esiste un grande paese di quasi due miliardi di abitanti, sui prossimi sei miliardi sulla faccia della terra, che si autodefinisce a torto o a ragione, questo è un altro paio di maniche, "comunista". Ora in Europa - mettiamo insieme tutti quanti i paesi d'Europa - ci saranno trecento milioni di persone, importantissime, ricche, decisive, però sono un paio di città cinesi messe insieme, tre quattro, città non di più.

STUDENTE : Tutti e due i miliardi sono comunisti?

CANFORA : No, non sto dicendo ora nulla di specificamente fazioso. Voglio dire, la formulazione è una formulazione eurocentrica. Questo ha una sua spiegazione naturalmente, nel senso che l'Europa è una parte molto importante del mondo, una delle parti più ricche. Le guerre che si combattono nel resto del mondo, si combattono con armi fabbricate per lo più in Europa, per esempio a Brescia. Va bene? E quindi vuol dire che è un posto che conta parecchio. Grandissima produttrice di cultura, ma anche grandissima distruttrice di altre culture, quelle americane e precolombiane, per fare un esempio. Ma insomma si potrebbe parlare anche dell'Africa, che aveva delle sue culture, che sono state stritolate dalla dominazione coloniale, eccetera, eccetera, eccetera. Tanti continenti si sono risvegliati, in antitesi alle culture di provenienza europea. E così via. Per dire, una scheda che - ora la stiamo massacrando, ma insomma ingiustamente - che ha fatto da cavia ai nostri pensierini, alle nostre riflessioni per i suoi difetti utili alla nostra discussione. Utili perché? Perché ci aiutano, questi difetti, a chiederci che cosa poi effettivamente questo mestiere di storico, di studioso di storia, di narratore di storia deve cercar di fare e di essere. Per esempio, in questo nostro secolo, si è presentata come una grande novità storiografica il fatto che un rivista importantissima francese, degli anni, tardi anni venti, che si chiama Les Annales, di cui ogni tanto sentite parlare, a scuola, più o meno attentamente, ha imposto all'attenzione il fatto che la storia non si occupa solo delle battaglie o delle guerre o delle rivoluzioni, ma anche della pace, della produttività umana, di tutti gli altri aspetti dell'esistere, dei sentimenti, no, i quali non hanno una storia proprio a tutto tondo, però anch'essi sono nella storia e quindi si trasformano, si trasformano perché si intrecciano con la moralità media. La moralità media influenza i sentimenti e il loro manifestarsi. La moralità media è un pezzo dell'evolversi della storia, come è chiaro. E quindi anche i sentimenti non sono dati come fuori del tempo, sono nel tempo. Ecco questa storiografia, detta de Les Annales, è entrata in collisione con la Storia Battaglia, l'Histoire Bataille, come si dice in francese, quasi a voler significare che quella era angusta e unilaterale - ed era vero. Solo che questo è un pensiero molto più vecchio de Les Annales, perché questi due storici che sono qui rappresentati in questo pannello, uniti in modo artificiale, è un'erma, come si dice, bifronte, con due teste unite, uno, questo, si ritiene che sia Tucidide che ha raccontato la storia della guerra del Peloponneso, quell'altro si ritiene che sia Erodoto, e ha raccontato tutto, non solo la storia delle guerre persiane, come molti pensano. Ha raccontato tutto. Ha raccontato i templi egizi come erano fatti, le mura di Babilonia, gli usi funerari dei popoli, degli Indiani, eccetera. Davvero c'è tutto. Ecco quel signore, che appunto dovrebbe essere Erodoto, diciamo, in quell'erma bifronte, è un antenato de Les Annales, perché nel suo librone di nove libri, secondo la nostra divisione affermatasi nell'antichità, c'è molto più delle battaglie. Invece questo signore qui, cioè Tucidide ha raccontato la storia di una guerra - almeno si proponeva di farlo, poi pare che non l'abbia neanche finita -, nella quale ci sono, oltre la guerra, soltanto le rivoluzioni, perché la sua idea è che la guerra civile, lo scontro delle fazioni e la guerra politica, la guerra guerreggiata con le armi, si intrecciano, spesso si intrecciano. Ed è vero. Anche la nostra esperienza - la Guerra Mondiale per l'Italia - è finita con una guerra civile negli ultimi diciotto mesi. Ma anche la Guerra del Peloponneso è finita ad Atene con una guerra civile. Ve bene, di lì discende il moderno modo di scrivere la storia, cioè da questa grande opera esemplare, che Tucidide ha abbozzato. Nell'inizio di essa lui spiega che lo fa perché può servire al politico, anche in prosieguo di tempo, quella lezione tecnica, quell'insegnamento specifico che è contenuto nella sua opera. E' lì che nasce l'idea che la storia serve alla politica o detto in maniera banale, perché è una banalizzazione che Tucidide avrebbe respinto e orripilato, che è maestra di vita. Ecco, questa è, non voglio dire che è una sciocchezza, ma è una semplificazione grossolana di quell'altra idea che è molto più sottile, che cioè il politico di professione, quello che si sporca le mani e fa questo mestiere tremendo che è il politico, che si occupa degli altri, con una dose di ambizione evidentemente perché altrimenti non lo farebbe, ma si occupa degli altri.

STUDENTESSA: Le volevo chiedere: quanto noi possiamo credere veramente alla storia, che per esempio studiamo a scuola. Io ho l'impressione che a noi arrivi sempre e comunque una visione molto parziale dei fatti storici, perché se leggiamo i resoconti di chi la storia l'ha vissuta in quel momento, per forza di cose, deve essere una versione parziale, perché influenzata dalle proprie idee su quello che gli sta succedendo intorno. Uno storico che successivamente si ritrova in mano documenti o fotografie non era lì e quindi non può raccontarci veramente che cosa è successo.

CANFORA : Beh, questa è già enorme, e ben venuta anche, per varie ragioni. Ben venuta nel senso che ci offre lo spunto per sfatare un mito, che cioè soltanto la storia sia - la storia come storiografia, come racconto -, sia una peccatrice sul piano della oggettività. Non è vero. Tutte le discipline sono peccatrici da questo punto di vista, tutte. Anzi la fisica più moderna ci spiega che lo strumento che osserva la microrealtà, la realtà atomica e subatomica, lo strumento, modifica l'oggetto osservato. Ora questo è agghiacciante, nel senso che tale modificazione, indotta dallo strumento, dovrebbe portarci a una grande prudenza nella accettazione dei risultati di quella osservazione. Infatti le interpretazioni dell'universo che la fisica vivente ci fornisce sono varie e tra loro diverse. Le ipotesi creazioniste o non creazioniste si affrontano nel pensiero fisico, nella riflessione dei grandi fisici, oggi, tanto quanto nella mente più semplice, diciamo così, meno attrezzata di strumenti di osservazione dei filosofi della Grecia antica. E quale più chiaro esempio di non oggettività, di apertura verso risposte diverse, a partire da dati opinabili, di quello che le ho appena detto? Orbene, a questo punto la storia non è la colpevole di un racconto in cui chissà se debbo credere. E uno dei tanti casi in cui noi cerchiamo di conoscere, in questo caso il passato, nell'altro caso la realtà fisica, e non siamo in grado ovviamente di conoscerla in modo totale compiuto e definitivo, perché nulla in questo mondo accade in modo definitivo.

STUDENTESSA : Ma in questo senso allora come fa a diventare lo strumento per capire meglio il passato e quindi vivere il presente, in maniera più consapevole. Nel senso che comunque, lo ha detto Lei, non esiste una oggettività assoluta, e quindi abbiamo interpretazioni diverse anche adesso. Pensiamo al revisionismo, pensiamo all'uso politico che anche viene fatto della storia.

CANFORA : Questa domanda è bella, perché dimostra che il bisogno, evidentemente intimo, di ciascuno di noi, mi metto senz'altro con gli altri, coi presenti in questo bisogno, è un bisogno di assolutezza. No? Cioè o mi date un prodotto assolutamente risolutivo o non lo voglio. Questo è l'anticamera diciamo della sua domanda. Ed è apprezzabile, nel senso che indica che la spinta è sempre una spinta di conoscenza compiuta, una conoscenza soddisfacente. Però, una volta che sia assodato che si tratta di una conoscenza provvisoria e sempre in grado di essere migliorata, uno si rassegna a questo fatto e la pratica ugualmente, sapendo che l'alternativa è l'ignoranza totale, che è molto peggio. Naturalmente io sono, come dire, tra gli studiosi di storia, che meno prova disagio dinanzi alla parola "revisionismo". E' convinzione comune che "revisionismo" è di destra e "non revisionismo" è di sinistra. Questa è una stupidaggine. Il "revisionismo", poi, oltre tutto, non vuol dire negare i fatti. Ci sono alcuni pazzi - pochi - i quali negano che ci siano mai stati i campi di concentramento. Va bene, ma sono confutabili col fatto stesso della loro ignoranza e dell'esistenza di documenti inoppugnabili. "Revisionismo" è un'altra cosa. "Revisionismo" vuol dire che, ad ogni ondata di documentazione nuova, io capisco meglio e riaggiusto la ricostruzione che ho fornito. Quindi son due cose completamente diverse. E, in questo caso, il mestiere di storico è un rivedere continuamente - in buona fede sperabilmente, sulla base di una documentazione che si allarga e che però non va presa come un feticcio - le acquisizioni precedenti. In questo lavoro consiste un tirocinio di capacità critica, che serve comunque, direi, per fare un esempio ovvio, a leggere un giornale. Cioè, lei mi potrebbe rispondere: "Ma io non leggo il giornale". Ma anche se patisce il telegiornale, che è ormai diventato una specie di varietà, va bene, puntualmente lo deve interpretare. E capire perché un certo fatto ha uno spazio di pochi secondi e un altro fatto ha un ampio spazio e un altro fatto non appare per nulla e io lo apprendo da un'altra fonte. L'abitudine alla critica consente di capire il telegiornale. E dunque, se questa abitudine poi ha come scotto da pagare il fatto che è una critica sempre aperta, ben venga.

STUDENTE : Professore, scusi, ma per arrivare alla storia intesa come un sapere assolutamente oggettivo, almeno umanamente oggettivo, potrebbe bastare la conoscenza del fattore conoscitivo deformante, derivante dalle particolare influenze dello storico, e quindi che determinano la sua interpretazione?

CANFORA : In realtà non è quello il fattore deformante. Quello c'è, c'è sempre, ma è un malanno secondario, diciamo. Il vero fattore deformante è che i documenti sono casualmente accessibili. Anzi, facciamo un esempio, così ci capiamo meglio. Noi possiamo raccontare, con un certo fondamento documentario, abbastanza soddisfacente, per lo più epoche che si sono concluse, magari in modo traumatico, lasciando gli archivi a disposizione degli studiosi. Noi studiamo abbastanza bene la storia, per esempio, del nazismo, perché, nel suo crollo, i grandi archivi che il Terzo Reich aveva caddero in mano degli Americani, degli Inglesi e dei Sovietici, i quali hanno - e qui interviene, da capo, una manipolazione - messo a disposizione, in tutto, in parte, eccetera, questi documenti, i quali sono la base necessaria per parlare di quella età. Ma noi non riusciamo a raccontare in maniera accettabile, da un punto di vista della veridicità, la storia dell'Italia repubblicana. Io sono un po' più vecchio di voi, ma tutti abbiamo memoria del fatto che per una lunga fase della nostra storia repubblicana di questo cinquantennio, che abbiamo alle spalle, in Italia c'è stata una misteriosa incombente catena di stragi, di violenze, di attentati. Le vere ragioni di tutto ciò noi non le conosciamo in modo documentario. Le possiamo immaginare. Alcuni le congetturano in un modo, altri in un altro. Perché? Perché gli archivi di uno stato, vivente non sono a disposizione degli studiosi. Lei non può andare al Ministero degli Interni e dire: "Voglio vedere gli archivi del Viminale fino all'ultima carta e raccontare quello che è successo al tempo del cosiddetto golpe, non realizzato, ma fallito, di Borghese, nel 1970. Questo non lo può fare. Naturalmente gli stati moderni hanno anche l'abitudine di mettere ogni tanto a disposizione i documenti. Tutti dicono, per esempio, che una delle organizzazioni più misteriose sulla faccia della terra sia la C.I.A. che è una grande potente agenzia di informazione diciamo coessenziale alla politica degli Stati uniti d'America. Tutti i grandi stati hanno, un'agenzia di questo genere. La C.I.A. è così intelligente da mettere a disposizione una parte dei documenti del passato. Trent'anni fa, vent'anni fa. Però li screma, cioè li sceglie. Cioè il soggetto stesso che io dovrei studiare mi dice: "Tu puoi leggere questo, ma non questo". Naturalmente meglio quello di niente. Ma io so benissimo che questo, questa porzioncina più o meno ampia di documenti, potrebbe addirittura portarmi fuori strada. Ecco io vi ho descritto il vero problema, dinanzi al quale i veri studiosi di storia si trovano. Risposta: "Studiamo il passato più remoto, perché lì siamo tranquilli, nessuno ci viene a togliere i documenti". Non è vero, perché lì c'è stata una tale distruzione, dovuta al tempo, che la nostra ricostruzione è purtroppo, per definizione, unilaterale. Noi raccontiamo la storia delle Guerre del Peloponneso perché costui ha scritto un'opera che la racconta, però vorremo avere anche il racconto di un altro, di tutt'altra città, di tutt'altra provenienza. Non abbiamo nessuno storico spartano, per esempio, che ci dica i fatti di quella guerra. Lui era ateniese, era un uomo di grande equilibrio probabilmente, almeno lo dice di se stesso. Noi gli dobbiamo credere. Però non ci basta. E' come se della Seconda Guerra Mondiale noi avessimo soltanto le Memorie di Churchill, per esempio, che fu un grande statista, un grande scrittore. Però accanto a quelle memorie c'è una miriade di documenti che le mettono in crisi.

(fine prima parte)

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