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Storia & Archeologia

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Il Mulino di Amleto : Saggio sul mito e sulla struttura del tempo

Post n°10 pubblicato il 17 Gennaio 2009 da princepscivitatis
 

Il mulino di Amleto è uno di quei rari libri che mutano una volta per tutte il nostro sguardo su qualcosa: in questo caso sul mito e sull'intera compagine di ciò che si usa chiamare "il pensiero arcaico". Cresciuti nella convinzione che la civiltà abbia progredito "dal mythos al logos", ci troviamo qui di fronte a uno sconcertante spostamento di prospettiva: anche il mito è una "scienza esatta", dietro la quale di stende l'ombra maestosa di Ananke, la Necessità. Anche il mito "opera misure", con la precisione spietata: non già le misure di uno Spazio indefinito e omogeneo, bensì quelle di un Tempo ciclico e qualitativo, segnato da scansioni scritte nel cielo, fatali perché sono il Fato stesso.

Non tutti sanno che Amleto non nacque della fantasia di Shakespeare e che sue tracce si trovano in innumerevoli tradizioni letterarie precedenti, dalla redazione delle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (ca. 1150 - 1216), da cui attinge Shakespeare, agli Skàldskaparmàl, il saggio di poesia di Snorri Sturluson (1178 - 1241).
Amleto, poi, si chiamava anche Lucio Giunio Bruto in una versione ancora più antica della vicenda, tramandataci da Tito Livio e sotto altri nomi ancora, ma con le medesime caratteristiche, lo ritroviamo facilmente tanto in poemi persiani quanto in racconti popolari ugro-finnici: abbiamo messo le mani su un mito antichissimo.
Confrontando tradizioni diverse, virtualmente globali (avestiche, indu, polinesiane, precolombiane, africane, semitiche e “occidentali”) si scopre che Amleto era proprietario di uno dei tanti “mulini” presenti in tutte queste tradizioni, mulini sfortunati perché la loro macina venne violentemente scardinata e, solitamente, gettata in fondo al mare.
Lo scardinamento del mulino è lo scardinamento dell’ordine cosmico ed è causa di sventure, soggioga l’uomo ad una colpa atavica, genera disastri come Diluvi, caduta degli dei, rivoluzioni delle “età del mondo”. Il mulino altro non è che la volta celeste: da sempre imperniata sul suo “vero” asse, quello dei poli dell’Eclittica, dopo la rottura dei cardini gira come impazzita, con un Polo Nord in eterno mutamento fra le stelle e con le costellazioni perse in un continuo avvicendarsi all’alba dell’equinozio di primavera. In una parola, scopriamo che i miti antichi parlano del fenomeno della precessione degli equinozi.
Può sembrare impossibile che il “mondo arcaico” avesse conosciuto il fenomeno della precessione degli equinozi e l’avesse codificato con un linguaggio tecnico, il linguaggio del mito, ma dopo la lettura del “Mulino di Amleto” impariamo che una simile sorpresa è preparata per chi, per tanti motivi, nutre una profonda ignoranza del mondo e del pensiero arcaico.
Uno dei pochissimi libri capaci di cambiare definitivamente la nostra carezzevole ma falsa concezione di un mondo arcaico “primitivo” e “sprovveduto”, Il Mulino di Amleto va letto, per scoprire finalmente quanto inaspettatamente vasta sia la nostra ignoranza nei confronti di un’antichità e una preistoria che di fatto possedeva una cultura che noi (e già i nostri predecessori dell’antichità classica) abbiamo tristemente perso.
Scopriremo che siamo stati abituati a liquidare le età arcaiche (dal tardo Paleolitico in poi) con pregiudizi e luoghi comuni che, dopo la lettura del “Mulino”, ci appariranno di irrecuperabile ingenuità e falsità e impareremo forse ad apprezzare gli sforzi di chi tenta di carpire dalle poche tracce rimaste ulteriori conoscenze sui predecessori delle civiltà storiche.
L’amante dell’astronomia troverà in questo prezioso volume frequentissimi riferimenti alle stelle e ai fenomeni astronomici e non potrà non approfittarne per riscoprire l’importanza che il cielo ha avuto sulla vita quotidiana dell’uomo fin dalle sue origini.

 

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