Appunti

Carlo Borromeo


BORROMEO san CARLOdi Giberto II.Nacque nella rocca d’Arona in una stanza detta “dei Tre Laghi”, poi detta “di san Carlo”, il 2 ottobre 1538 in mercoledì, tra le ore otto e le nove, da Margherita Medici, sorella del papa Pio IV. È tradizione che, allorché nacque, si vide nella stanza un raggio. Fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Arona.Deve esser stato ritratto* in fasce, ché dal 14 settembre 1684 al 17 marzo 1685 furono registrate queste spese: «Al pittore Donelli** per un ritratto di san Carlo in fascie, L. 11.2.6. Allo stesso pittore per il costo di tre copie dei quadri di san Carlo in fascie, L. 33.7.6». Con atto 28 novembre 1547 gli fu conferita l’abbazia di S. Felino e S. Graziano in Arona. Dalla lettera 28 dicembre 1547 del fattore di Guardasone, terra feudale Borromeo, rilevasi quanto segue: «Ho avuto piacere haver inteso del conte Carlo che ha mìsso la baréta del prete». Vestì l’abito clericale ed ebbe la tonsura il 13 ottobre 1547. L’8 e il 15 dicembre 1558 gli furono conferiti i seguenti benefici: il priorato di S. Maria di Calvenzano e l’abbazia di S. Silano di Romagnano. Dopo di aver fatti gli studii umanitarii si portò a Pavia a studiare il diritto civile e canonico. A 22 anni fu laureato dottore da Pio IV suo zio. Nel 1551 Tommaso Landriani scrisse da Pavia dove trovavasi il nostro san Carlo al padre di lui quanto segue: «Fin qui mi contento di Carlo, ed in vero il putto non cessa d’affaticarsi, ch’io mi credo che riuscirà, ben è vero ch’ei ha debole memoria, ma col tempo la farà». Nello stesso anno fu a Melegnano a far visita allo zio cardinale Medici, il quale gli regalò il “Corpo di ragione canonica”. Lo stesso Landriani scrisse al padre da Pavia in data 17 novembre 1552: «Sin a quest’ora monsignore [=Carlo Borromeo] si porta   ritrattato  bene così nel studio com’anco nelle altre cose. Egli ogni mattina per tempo si leva a studiare, studiato che ha tre ore o più o meno secondo ch’aviene, se ne va alla messa, poi va alla scuola sempre accompagnato dal bidello». Nello stesso anno il padre gli raccomandò di non conversare se non con gente della professione sua, e che fossero buoni cattolici. Il proposto di S. Ambrogio il 10 settembre 1554 gli scrisse quanto segue: «So che v.ra S.ria ill.ma e m. rev.ma piglierà quanto li scrivo in bona parte, send’io certo che sino alla culla sua nel latte ella dimostrava anzi dava promessa di esser nata al mondo dicata alla religione».Il 31 gennaio 1560 fu fatto cardinale e arcivescovo di Milano, non che legato pontificio a Bologna e della Romagna. L’avvenimento fu straordinariamente festeggiato ad Arona con suo delle campane e collo sparo delle artiglierie della Rocca. Quattro anni più tardi (1564) fu creato conte palatino, mentre l’anno prima gli fu conferito il principato d’Oria. Nel 1566 raccomandò ai suoi dipendenti che non facessero alcuna ingiustizia ai sudditi sottoposti ai feudi Borromeo, dimostrando così buon cuore, tanto giudizio e sentimenti nobilissimi. Lo zio cardinale divenuto papa Pio IV, scrisse più volte che riteneva il nipote Carlo Borromeo come suo figliolo, tanto lo stimava e lo amava. Ebbe per precettore il prete Giacomo Merula, al quale fu tanto riconoscente e grato da raccomandarlo per una buona prebenda. Nel 1568 tentò di riunire i frati della Pace con quelli di S. Angelo e dare il monastero ai preti del Gesù, cosa che mise* di malumore i frati, i quali scacciarono dal monastero il prelato con male parole; dovettero però domandargli perdono.Introdusse in Milano le Vergini di S. Orsola. Nel 1580 il granduca di Toscana gli donò il ritratto dell’Annunciata di Firenze, alla sua volta da lui donato all’altare di Nostra Signora nella Metropolitana di Milano. Nel 1574 eresse il Monte di Pietà in Arona. Morì il 4 novembre 1584 in seguito a febbre continua giusta l’attestato del medico curante d. Bartolomeo Assandri, e sepolto nella cattedrale.Fece l’orazione funebre il frate Francesco Panigarola Minore Osservante. Lasciò il testamento 9 settembre 1576 rogato Giovanni Pietro Scotti colla istituzione di erede a favore dell’Ospedale Maggiore di Milano, il quale conseguì una sostanza modestissima. Nella occasione della sua morte il papa scrisse quanto segue: «Habbiamo sentito estremo dolore della perdita del cardinale di Santa Prassede di bona memoria, per quello che ha perduto la Christianità, et in spetie questo sacro collegio. Et credo che l’habbiano sentito i re, i duchi, principi e marchesi e quanti sono al mondo». Si fecero pratiche vivissime presso il papa perché volesse conferire la sede arcivescovile di Milano al cardinale Federico Borromeo, cosa che non attecchì* avendo il papa ritenuto quello troppo giovane. Dalla cassa del conte Federico Borromeo fu registrato sotto la data 9 gennaio 1585 la spesa di L. 56.10 per altrettante restituite al conte Renato, da lui pagate al pittore Galeazzo per il ritratto del cardinale Carlo Borromeo. Dichiarato prima beato, fu proclamato santo il 1° novembre 1610 dal papa Paolo V, sopra istanza del cardinale Federico Borromeo e dietro il solito laborioso e costoso processo. Quattro anni dopo le registrazioni di cassa dei Mastri di Contabilità ci danno queste spese: «1614, 21 maggio. Cónti al Duchino pittore a bon conto del quadro di san Carlo in gloria, L. 29.-.-». «1614, 1° luglio. Cónti al Duchino pittore a conte dell’ancona di san Carlo in gloria, L. 57.10.-». «8 luglio, altro acconto di L. 49.10.- », e «10 luglio, altro di L. 34.10.-». Il re di Spagna donò la cassa di cristallo e la duchessa di Toscana il 22 gennaio 1619 donò al card. Federico Borromeo un reliquiario d’oro con diamanti e catena per mettere al collo al corpo di san Carlo.Il 21 settembre 1751 il corpo stesso fu trasportato dal Duomo ad una cappella fatta costruire dal conte Renato Borromeo sulla piazza di S. Maria Podone ed in quest’occasione il frate Antonio Maria Perotti pubblicò alcuni versi in onore del santo. Dagli Annali della Fabbrica del Duomo del 1567 rileviamo che nel giugno cedette alla detta fabbrica per ornamento del tempio alcune tappezzerie assai belle, alcune delle quali tessute in oro e seta, per il corrispettivo di scudi 2135, che il cardinale destinò per la costruzione di tre casse per gli ordinari [=monsignori]. Fu lui che nel 1576 ideò la via sotterranea di comunicazione dal Tempio alla canonica degli ordinarii. Il Collegio Elvetico, che funzionava nel vasto caseggiato ora sede dell’Archivio di Stato e che aveva lo scopo di educare 60 chierici della Svizzera fu fondato da lui e dal cugino cardinale Altemps. Sarebbe superfluo rammentare la santità di sua vita e le prodigiose sue opere per la prosperità della cattolica religione, del culto e della pietà della sua diocesi, note e pubblicate colle stampe. Sulla di lui austerità scrisse il padre Giovanni Stefano Menocchio, nei suoi trattenimenti eruditi. Scrissero sulla vita di lui il Vescovo di Novara Carlo Bascapé barnabita, Pietro Agostino Giussani, Valerio cardinale vescovo di Verona e Giuseppe Ripamonti. Dall’opera “Detti memorabili di personaggi illustri” di mag.r Giovanni Bottero, togliamo quanto segue: «Il cardinale Borromeo diceva che è meglio che il principe molti buoni ministri abbia dei quali a luogo e tempo si serva, che egli sia per sé sufficiente».«Egli diceva che la virtù non tanto consisteva nell’astenersi dalla cupidità e dai piaceri, quanto in far loro guerra offensiva ed in perseguitarli ed in privarsi di ricreamenti anche leciti». «Usava dire che per distruggere ognuno è buono, per fabbricare non ognuno».«Un alemanno avendo secretamente nella terra di Locarno avendo visto il cardinale Borromeo solo in camera desinare a pane e acqua, ebbe a dire: “Si Germania Borromaeum episcopum habuisset, a fide non recessisset». «Soleva dire che un vescovo che vuol fare l’ufficio suo, non deve stare sul detto dei medici, perché non sogliono mai approvare né asprezze di penitenza e di astinenza, né continuazione di digiuni e di fatiche e sempre trovano qualche opposizione per conto della sanità».«Egli era deditissimo agli studi delle lettere e in quelli consumava quotidianamente molte ore. Con tutto ciò diceva che le lettere si devono amare quanto comportano i carichi che si hanno e che non si deve dare agli studii più tempo di quello che ai negotii». Sull’Umiltà di san Carlo, incoronata come primogenita della Carità, Carlo Maria Maggi lasciò questo sonetto:È carità delle Virtù reginaSantità d’amor re degli affettiMa de la Carità fra i primi affettiSplende Umiltà, che al Sommo Ben s’inchinaL’amore umilia ed è d’un Dio dottrinaInnamorando umiliar gli Eletti,Perché gloria mortal qui non gli alletti.Innalzati a cercar sol la divinaAmano il ciel, e come il cor ne insegna.Godono che sia la gloria, ov’hanno il core;E in lor, come in cadaver si spegna.Carlo fu pien di quel celeste ardore:E perciò l’umiltade in Carlo regnaCosì esaltata è l’umiltà d’Amore.Il 21 settembre 1751 fu trasportata dal Cordusio alla piazza Borromeo la di lui statua. Sia per il trasporto, sia per la costruzione di una cappella provvisoria per la traslazione della statua stessa furono spese circa L. 9000 a risultanza delle registrazioni di cassa per gli anni 1751-1752.