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Creato da dibiasefrancesco il 04/03/2008

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Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 18 Marzo 2008 da dibiasefrancesco
 

Arte nel novecento 1 

 

 

La storia... 

Nel primo decennio del XX secolo, dopo le teorie di Marx ed Engels e le profonde trasformazioni sociali, economiche e politiche, prodotte dalla Rivoluzione industriale, si affermano in tutta Europa i movimenti popolari e socialisti, attraverso la costituzione di Sindacati e Partiti operai, che in Russia, nel 1917, avranno una realizzazione concreta con la Rivoluzione d'Ottobre. Dal 1914 al 1918 l'Europa è sconvolta da un conflitto che assumerà carattere mondiale ed al quale parteciperà anche l'Italia, inizialmente neutrale. Alla fine del conflitto, in conseguenza di una serie di scioperi e lotte operaie e contadine, causate dalla grave crisi economica postbellica, in Germania ed in Italia i ceti conservatori determinano una reazione che si concretizza in forme di governo totalitario (Nazismo-Fascismo). Queste dittature impediscono ogni manifestazione di dissenso, non solo politico, ma anche culturale, ponendo al bando tutti gli intellettuali e gli uomini non graditi al regime.

I movimenti artistici italiani, che nella seconda metà dell'Ottocento avevano trovato difficoltà nello stabilire contatti con i movimenti europei, proprio a causa della complessa situazione politica precedente l'unità d'Italia, nel Novecento vedono ancora compromesso il loro sviluppo, che prenderà avvio solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale. I principali movimenti d'arte moderna, fatta eccezione per il Futurismo, si sviluppano quindi fuori l'Italia, in Europa e in America, nei primi trent'anni del secolo, investendo tutti i settori della cultura e testimoniando le notevoli influenze esercitate dalle nuove conquiste teoriche e scientifiche del Novecento.        

Architettura

L'uso del ferro e del cemento nelle costruzioni determina strutture portanti rivoluzionarie rispetto a quelle dei secoli precedenti e qualifica in modo nuovo l'architettura, che ora è realizzata come un'opera d'ingegneria. Mentre con i materiali tradizionali l'architetto poteva limitarsi a progettare la forme dell'edificio, lasciando all'ingegnere il compito di risolvere i problemi relativi al calcolo della struttura portante, ora, con i nuovi materiali, anche l'architetto deve acquisire una diversa competenza sul piano tecnico, perché la forma e la struttura dell'edificio tendono a divenire tutt' uno. Si afferma anche un nuovo concetto di cantiere, come luogo in cui si montano pezzi prefabbricati (travi, pannelli di rivestimento, ecc.), prodotti in serie altrove. Anche nell'architettura, quindi, entrano i processi di industrializzazione: la produzione in serie sfocia nella produzione di massa e si determina una crisi del valore di «architettura», che viene distinta dall'«edilizia», così come l'avvento della fotografia aveva determinato la crisi del valore di «pittura» ponendo il problema della differenza fra la pittura come arte e quella come mestiere, come semplice illustrazione informativa realizzabile anche con un mezzo meccanico. Nascono in questo secolo, proprio in seguito all'industrializzazione dell'edilizia, nuovi schemi di fabbricati che popolano i nuovi quartieri delle città. Si qualifica la funzione dell'urbanistica, che vede la città come un ambiente vitale in cui si rispetti il tessuto urbano della parte antica (il centro storico) e nella quale si integrino, piuttosto che emarginarli, i luoghi in cui vive la classe operaia. Questa concezione democratica di città viene ovviamente rifiutata dai regimi totalitari: basti pensare agli interventi drastici sul tessuto urbano di Roma, compiuti da Mussolini, in base ai quali vengono abbattute vaste aree di quartieri medioevali e settecenteschi. Al loro posto vengono realizzati ampi assi viari che collegano i monumenti ritenuti più rappresentativi della città: il Colosseo, monumento per eccellenza dell'antico impero romano; palazzo Venezia, sede del potere politico del nuovo impero fascista; San Pietro, monumento dell'autorità religiosa. Anche in Germania, con Hitler, si afferma l'idea della città come espressione dell'autorità e della potenza dello Stato e non come riflesso della libera organizzazione dei cittadini. Nel 1933 Hitler sopprime il Bauhaus («casa della costruzione») che, fondato nel 1919 dall'architetto Walter Gropius, si era proposto come la prima vera scuola di disegno industriale. Nel Bauhaus insegnano molti artisti di grande valore fra cui anche Kandinskij e Klee che si impegnano, insieme ai loro allievi, in campi assai diversi: dalla pianificazione urbanistica alla progettazione del semplice oggetto d'uso. In questa scuola si definisce la figura moderna del designer (disegnatore per l'industria) e si elabora una vera e propria metodologia di progettazione, comune a tutte le arti. Messo al bando dal potere politico, Gropius è costretto, insieme ai suoi collaboratori, a lasciare la Germania e si trasferisce prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti. L'architettura moderna troverà proprio qui uno dei suoi esponenti più rappresentativi: Frank Lloyd Wright, che progetta costruzioni dalla pianta articolata liberamente, inserite nella natura e suddivise internamente da pareti scorrevoli, in modo da poter creare di volta in volta gli spazi più funzionali all'uso. In Europa, la ricerca architettonica si sviluppa liberamente:

- in Francia, dove Le Corbusier, architetto, pittore, scultore, elabora importanti studi di urbanistica e progetta nuovi tipi di abitazione secondo criteri oggi largamente in uso. A lui si deve il concetto della casa isolata dal terreno ed elevata da lunghe finestre «a nastro», chiusa in alto da tetti-giardino;

- in Olanda, dove Theo Van Doesburg dà vita al Neoplasticismo che scompone la costruzione in piani verticali e orizzontali delimitando lo spazio senza chiuderlo rigidamente;

- nei Paesi Scandinavi, dove Alvar Aalto propone nell'abitazione il recupero di materiali naturali (legno, pietra, laterizio) e studia con particolare cura i dettagli di ogni ambiente, rivelando un profondo rispetto per le esigenze psicologiche dell'uomo. A lui si devono, ad esempio, importanti osservazioni sul colore degli ambienti negli ospedali, studiato per garantire migliore serenità e riposo agli ammalati; studi sull'acustica nelle sale di riunione, affinché il pubblico desideroso di intervenire in un dibattito possa prendere la parola rimanendo al proprio posto ed essere udito da tutti senza l'imbarazzo di doversi recare al microfono, ecc.

 

 
 
 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 18 Marzo 2008 da dibiasefrancesco
 
Foto di dibiasefrancesco

Architetti, scultori, pittori devono di nuovo imparare a conoscere e a capire la complessa forma dell’architettura nella sua totalità e nelle sue parti, dopo di che potranno restituire alle loro opere quello spirito architettonico che hanno perduto nell’arte da salotto….

L'arte non è una professione,…. non c'è alcuna differenza essenziale tra l'artista e l'artigiano... Formiamo una sola comunità di artefici senza la distinzione di classe che alza un'arrogante barriera tra l'artigiano e l'artista.

Insieme concepiamo e creiamo il nuovo edificio del futuro, che abbraccerà architettura, scultura e pittura in una sola unità e che si inalzerà verso il cielo come il simbolo di cristallo di una nuova fede".

Programm des staatlichen Bauhauses in Weimar (aprile1919) Bauhaus

Queste parole contenute in un volantino di quattro facciate corredate da una xilografia di Feininger intitolata La cattedrale annunciano la fondazione del Bauhaus, la scuola chiusa dalla Gestapo l’11 aprile 1933, dopo una perquisizione che era stata decisa al fine di scoprire materiali di propaganda comunisti, ma che non aveva dato alcun risultato.

Il programma-manifesto é compilato in una lingua figurata e visionaria, del tutto caratteristica delle atmosfere espressionistiche della Germania appena uscita dalla sconfitta della guerra. L’appello é rivolto a “architetti, pittori e scultori” che debbono “ di nuovo imparare a conoscere e a capire la forma complessa dell’architettura nella sua totalità e nelle sue parti”. Il ritorno all’artigianato viene proposto come una sorta di cammino, di percorso attraverso il quale una nuova figura di artista totale poteva configurarsi. “Formiamo dunque una nuova corporazione di artigiani.........Impegniamo insieme la nostra volontà, la nostra inventiva, la nostra creatività nella nuova costruzione del futuro, la quale sarà tutto in una sola forma: architettura, scultura e pittura”. E’ un appello all’arte unitaria capace di riunificare le sue diverse manifestazioni e, contemporaneamente, è la speranza di porre le basi di un’arte popolare e collettiva non più relegata nei salotti o nei musei e destinata a pochi eletti. Rispetto ai corsi tradizionali il programma della nuova "scuola" si discostava per lo sbocco creativo al fondo del percorso didattico, per la proposta di una collaborazione tra le diverse arti, per il tentativo di superare i confini delle singole discipline, per una nuova sintesi di esperienze e di saperi diversi. Per raggiungere questo scopo – la grande architettura in cui si unificavano tutte le arti – la Bauhaus si proponeva di istituire una nuova comunità di maestri e artigiani, perché “l’arte ha origine al di là di tutti i metodi, essa non è di per sé insegnabile, come lo è invece l’arigianato. Architetti, scultori e pittori sono artigiani nel senso originario della parola, per questo una formazione artigiana sistematica sarà ineludibile premessa di ogni attività creativa”. I maestri e i giovani artisti si dovevano, quindi, interessare non solo dell’architettura, ma anche del teatro e della fotografia della grafica pubblicitaria della progettazione di mobili, del disegno di tessuti, di pittura e scultura.

In una lettera scritta da Gropius negli stessi giorni troviamo un’ulteriore specificazione della sua idea: "Mi immagino che a Weimer prenda forma una grande siedlung (insediamento) nelle vicinanze del monte Belvedere, con un centro di edifici popolari, teatri, casa della musica e come punto culminante un edificio di culto e che ogni anno d’estate vi abbia luogo un grande festival popolare, nel quale venga offerto quanto di meglio il nuovo tempo sappia offrire nel campo della musica, del teatro e dell’arte figurativa”.

Feininger, il primo tra i maestri nominato e amico di Gropius fin dal tempo del Novembergruppe, immagina per il manifesto una cattedrale sormontata da una torre in cima alla quale si incontrano tre raggi che stanno ad indicare le tre arti maggiori: pittura, scultura ed architettura. La cattedrale è il simbolo dell’arte totale (Gesamtkunstwerk) e dell’unità sotto il profilo sociale. Anche Taut nel suo libro La corona della città (1915-17) aveva utilizzato la rappresentazione di una torre della cattedrale come immagine programmatica. Il disegno era, allo stesso tempo, romantico e lirico, come lo erano le parole di Gropius: il fine ultimo di ogni attività figurativa è l’architettura!

Il manifesto annunciava ideali apparentemente semplici ma in realtà rivoluzionari: avrebbe riunificato tutte le arti pratiche sotto il primato dell’architettura e avrebbe fuso il ruolo dell’artista e dell’artigiano. Gropius proclama che la scuola è al servizio dell’officina, dove gli studenti ricevono un’istruzione tecnica e artistica quanto più ampia e varia possibile, come premessa indispensabile di ogni creazione figurativa. In luogo dell’usuale struttura insegnante – allievo, la Bauhaus faceva sue le relazioni che in passato avevano legato tra loro maestri, operai qualificati e apprendisti. L’istruzione doveva includere tutte le discipline pratiche scientifiche della creazione creativa, e agli studenti sarebbe stata impartita un’istruzione che comprende quella artigianale……quella nel campo del disegno e della pittura……quella teorico scientifica.

Cataloghi mostre

Bauhaus 1919-1928, New York, The Museum of Modern Art,1938
Bauhaus 1919-1928, Le Bauhaus dans les collections de la République Démocratique Allemande, Bruxelles, C.F.C. Editiones, 1988
Experiment Bauhaus, Berlin Bauhaus Archiv, 1988
Bauhaus 1919-1933, Tokyo, Sezon Museum of Art, 1955
Bauhaus 1919-1933, Da Kandinsky a Klee, da Gropius a Mies van der Rohe, Milano, Fondazione Antonio Mazzotta, 1997

Siti

http://www.bauhaus.de/
http://www.bauhaus.de/english/
http://www.bauhaus-dessau.de/
http://craton.geol.brocku.ca/guest/jurgen/bauhaus.htm http://www.cs.umb.edu/~alilley/bauhaus.html
http://www.tu-harburg.de/b/kuehn/wgropius.html
http://www.serve.com/gkraniotis/bauhaus/html/history.html

 
 
 

IL CUBISMO

Post n°5 pubblicato il 05 Marzo 2008 da dibiasefrancesco
Foto di dibiasefrancesco

All'inizio del Novecento l'immagine che si aveva dell'universo era radicalmente diversa da quella che se ne aveva in precedenza. Anche volendo limitare il campo agli strumenti con cui si osserva la realtà, il microscopio, il telescopio e la visione aerea stavano rivoluzionando il modo di vedere (ambito gnoseotogico) e insieme a questo l'intero sapere (ambito epistemologico). Quanto alla visione complessiva del cosmo, basta confrontare un astrolabio medievale o anche un modello astronomico di epoca seicentesca con una mappa dell'universo del XX secolo per rendersi conto di quali profondissime variazioni siano intervenute.
La rivoluzione scientifica annunciata dalle scoperte di Albert Einstein, che nel 1905 propose la prima versione della teoria della relatività, si presentava di portata maggiore di quella del Seicento e da certi punti di vista devastante: l'uomo del Rinascimento aveva, paradossalmente, un'idea più chiara e ordinata del cosmo in cui viveva rispetto all'uomo del XX secolo, il cui habitat andava configurandosi come un insieme di frammenti, in cui neppure spazio e tempo erano parametri assoluti.
Come avrebbe potuto l'arte visiva non tenere conto di mutamenti tanto grandi, che non mancarono di riflettersi sulla mentalità?
Come ha scritto lo storico Pierre Francastel, a questo punto "tutti i ponti col Rinascimento sono stati tagliati perché i valori che interessano gli artisti - ritmo, velocità, deformazione, plasticità, mutamenti, transferts - coincidono ormai con le forme attuali dell'attività fisica e intellettuale e contrastano nettamente con le aspirazioni della società del Rinascimento: stabilità, obiettività, permanenza".
L'arte visiva è stata partecipe di questa grande rivoluzione cognitiva dai suoi esordi, alla metà dell'Ottocento, ma è con il movimento normalmente denominato Cubismo che la cesura con il passato si presenta irreversibile e netta.
"Per gli Impressionisti una mela verde su un tappeto rosso non significa un rapporto tra due oggetti, ma tra due toni di colore, un verde e un rosso. Insisterò particolarmente su quel periodo della pittura francese, poiché penso che in quel momento si incontrino i due grandi modi di concepire la pittura: Realismo visivo e Realismo pensato. Fra gli Impressionisti un solo pittore, Cézanne, comprese pienamente che cosa c'era di incompleto nell'Impressionismo. Egli senti la necessità di rinnovare forma e disegno per uguagliare il nuovo colore degli Impressionisti".
Così scriveva nel 1913 Fernand Léger, uno dei protagonisti principali del movimento cubista, avvertendo la necessità di ritornare a guardare le cose con minore eccitazione rispetto agli Espressionisti e con riferimenti che tornavano indietro, a quegli autori classici e classicisti che avevano cercato una verità dell'essere dietro alle apparenze percepite dall'occhio.
Se la corrente espressionista partì soprattutto dai suggerimenti di Van Gogh e Gauguin, il Cubismo ha avuto quindi il suo punto di riferimento più vicino in Cézanne, trovando uno stimolo formidabile nella retrospettiva che gli venne dedicata dal Salon d'Automne di Parigi nel 1907. Che cosa videro in quella mostra Pablo Picasso, Georges Braque, Fernand Léger, Henry Le Fauconnier, Albert Gleizes, Jean Metzinger, André Derain e tutti i giovani che, in un modo o nell'altro, contribuirono a creare il nuovo stile?

Costruire lo spazio figurativo
Il brano di Léger ce lo spiega: gli Impressionisti avevano rinnovato la maniera di trattare il colore, e sulla loro strada si erano avventurati i Fauves e gli Espressionisti. Cézanne aveva indicato che non solo il colore, ma anche la forma, il disegno, il modo di costruire lo spazio figurativo andavano radicalmente rinnovati rispetto all'arte dei secoli precedenti. Nella sua stessa pittura aveva cercato di ridurre il visibile alle sue componenti geometriche semplici ("il cono, il cilindro, la sfera", come egli scrisse all'amico Émile Bernard nel 1904): come si è visto, le braccia dei suoi giocatori di carte diventano cilindri, le mele delle sue nature morte diventano pure sfere.
Le premesse stavano in molta parte della cultura classica, in particolare nella fisica che il filosofo greco Platone aveva espresso nei due dialoghi Fileboe Timeo, in cui aveva suggerito come tutta la natura fosse costituita di strutture geometriche semplici destinate a comporsi tra loro. Peraltro, nessuno prese alla lettera l'indicazione di Cézanne: i Cubisti non dipinsero mai sfere e cilindri,cioè forme curve, privilegiando, invece, forme che appunto vennero definite "cubi".
 
 
Una nuova prospettiva
Ma Cézanne aveva anche cercato di costruire un nuovo tipo di prospettiva, soprattutto nella serie dedicata alla Montagna Sainte-Victoire: lo spazio non veniva reso secondo la convergenza delle linee verso un solo punto di fuga, ma a prescindere dalle linee, creando un tessuto di pennellate che correva dalle cose vicine a quelle lontane, una trama che si faceva sempre più fitta, ma anche meno precisa. Perché i suoi esperimenti risultassero più evidenti, Cézanne aveva abbassato il tono del colore e aveva ridotto la sua tavolozza ai soli blu, ocra, verde; la riduzione del colore è un procedimento tipico di chi cerchi di proporre non tanto contenuti emotivi, ma piuttosto una ricerca razionale.
Le intuizioni del maestro di Aix folgorarono tutti quei giovani che, pur volendo fare arte in maniera innovativa, nel 1907 trovavano già invecchiata la rivoluzione dei Fauves, nata solo qualche anno prima, ma diventata ormai un paradigma: erano anni in cui le invenzioni correvano velocissime; la concentrazione di tanti talenti nella capitale francese, i dibattiti nei caffè, protratti fino a tarda notte non solo tra pittori e scultori, ma anche con letterati e musicisti,portavano ad accelerare al massimo il ritmo creativo.
 
Rappresentare il tempo
Dunque era tempo di ripensare al disegno, alla linea, alla costruzione dello spazio; occorreva addirittura ripensare che cosa fossero un quadro o una scultura: non soltanto espressioni delle emozioni, ma anche e soprattutto espressioni del pensiero.
Tra le tante scoperte del periodo, il calcolo combinatorio introdusse anche nella matematica il concetto di tempo, assai difficile da rappresentare.
Benché queste scoperte fossero note solo negli ambienti scientifici e gli artisti ne avessero una informazione molto superficiale, si appassionarono ad argomenti suggestivi come quello della quarta dimensione, definito nel 1913 da Guillaume Apollinaire, poeta e teorico del gruppo.
Altri artisti interpretarono la quarta dimensione come la possibilità di ritrarre il movimento attraverso un'immagine ferma e di mettere in evidenza, sovrapponendoli nell'immagine, i molti punti di vista da cui un oggetto o una persona possono essere visti, da posizioni diverse dell'osservatore, quindi in momenti successivi del tempo.

 

 

 
 
 

"QUESTO LO SO FARE ANCH'IO"

Post n°4 pubblicato il 05 Marzo 2008 da dibiasefrancesco

È la frase caratteristica che dice chi sostiene di non "capire", cioè di non apprezzare, l'arte contemporanea. Ciò che scoraggia, in realtà, è il fatto che dal Dadaismo in poi l'opera d'arte non richieda necessariamente una forte perizia esecutiva. Ma quanto conta l'esecuzione manuale dell'autore perché l'opera sia dotata di valore? Riflettiamo su qualche esempio.
Canova non scolpiva i suoi marmi ma creava soltanto i modelli in gesso; Raffaello lasciava agli allievi grande parte dell'esecuzione delle opere, che sovente abbozzava soltanto in un disegno. Gli architetti non posano un solo mattone ma, al pari dei registi cinematografici, disegnano un progetto che poi viene realizzato da altri. Ciò non priva di alcun valore le statue di Canova, il Miracolo di Bolsena nelle Stanze della Segnatura al Vaticano o le facciate di Borromini.
In questi casi, infatti, siamo disposti a credere che ciò che conta nell'opera sia stata l'idea iniziale più che il momento esecutivo; né queste opere ci piacerebbero meno se fossero state eseguite in materiali più deperibili.
Proprio questo è stato uno dei punti su cui hanno voluto insistere, anche attraverso operazioni provocatorie, artisti come Duchamp e Schwitters.
La loro battaglia aveva radici molto antiche e non fu che il momento più appariscente di una vicenda secolare. Già nel Rina¬scimento, infatti, appare chiaro agli artisti che il maggiore ostacolo al riconoscimento di pittura e scultura nel novero delle "arti liberali" (cioè in quelle attività a cui si era disposti a riconoscere un alto valore intellettuale) fosse proprio la commistione con l'attività manuale e dunque con il settore che oggi definiremmo artigianato.

 
 
 

Capire l'Arte del novecento

Post n°3 pubblicato il 05 Marzo 2008 da dibiasefrancesco
Foto di dibiasefrancesco

Non è possibile definire la parola "arte" in modo esauriente e univoco: di secolo in secolo le manifestazioni, gli oggetti e i manufatti che ascriviamo al suo campo semantico sono diversi e quasi inconciliabili.
Oggi siamo disposti a chiamare arte un vaso greco, che però era nato per scopi decorativi quando non meramente utilitaristici. Il mondo delle forme cambia spesso la sua natura, in risposta alla continua evoluzione del nostro modo di vivere. Ogni qual volta esso cambia, di norma in seguito a sostanziali mutamenti scientifici, tecnologici e relativi al mondo della produzione, cambia anche ciò che siamo disposti a chiamare "arte".
Secondo lo studioso americano George Kubler, erede teorico di Henri Focillon, le opere d'arte e i manufatti in generale rappresentano la "forma del tempo", ovvero danno un aspetto visibile a quel trascorrere invisibile della storia che conduce da un'epoca a un'altra, da un insieme di valori a uno successivo, da un novero di tecniche a uno nuovo.
La storia dell'arte, parte di una più vasta storia delle forme, ci racconta come cambia non solo che cosa l'uomo vede, ma anche come vede, con quale sensibilità, con quali parametri percettivi, con quali conoscenze, con quale visione del mondo alle sue spalle.
Non si comprende l'arte del Novecento se non si inizia da questo punto: in nessun secolo l'umanità è cambiata tanto radicalmente, nel suo modo di vivere così come di pensare.
Non c'è praticamente ambito dell'esistenza, almeno nell'area geografica che definiamo Occidente e che è quella di cui stu¬diamo la tradizione artistica, che non abbia subito alterazioni memorabili. La standardizzazione dell'agricoltura, la medicalizzazione del corpo col conseguente aumento della vita media, la nascita di strumenti informatici e comunicativi che sono diventati vere protesi del nostro corpo, lo spostamento della produzione dall'artigianato all'industria e la nascita di un settore dei servizi, cosiddetto terziario, sempre più prepotentemente presente nei processi economici, l'assunzione di un nuovo ruolo da parte della donna, la liberazione della sessualità dal fine prettamente riproduttivo, la nascita di nuove forme di famiglia, la costruzione di armamenti dagli enormi potenziali distruttivi... questi e altri elementi possono darci un'idea di quanti cambiamenti l'uomo abbia dovuto affrontare e metabolizzare. E con lui l'arte.
La produzione artistica del Novecento si è posta come una reazione a tale cumulo di mutamenti. C'è stata una vasta fase di rifiuto della tradizione precedente, che si avvertiva come poco consentanea ai tempi nuovi: già la fine della pittura di storia e di mitologia, segnata dall'Impressionismo e dai movimenti immediatamente seguenti, aveva risposto a una rivalutazione volontaria del quotidiano, del qui e ora, del momento presente rispetto al "sempre" e all'"assoluto" celebrati da un'arte più accademica.
Nel 1900 Sigmund Freud pubblica L'interpretazione dei sogni, libro in cui, attraverso il concetto di inconscio, si mette in dubbio che un individuo possa pervenire a una vera conoscenza di sé. Il 1905 vede la prima formulazione da parte di Albert Einstein della teoria della relatività: in questo caso l'incertezza non riguarda l'interno della persona ma il mondo in cui ci si trova a vivere, di cui vengono messe in crisi persino le leggi fisiche più assodate.
Rivolta e ripensamento della tradizione sono i due poli tra cui si svolge, quindi, la ricerca artistica del secolo. I tempi corrono veloci e i movimenti artistici si accavallano, nel primo quarto del secolo, con una rapidità che non sarebbe più stata raggiunta. Sono le cosiddette Avanguardie storiche: dal Fauve (1905) all' Espressionismo (1907), al Cubismo (1907), al Futurismo italiano (1909) e poi russo, al Suprematismo di Malevic e al Costruttivismo di Tatlin (1913), al Dadaismo (1913/7), alle ricerche astratte (1910) che compresero il Neoplasticismo di Mondrian e De Stijil (1917) e il Bauhaus (1918). E ancora Metafisica (1917) e Surrealismo (1924), e molti altri movimenti di cui è impossibile dar conto con una data precisa (Nuova Oggettività, Realismo Magico) e molti protagonisti che scelsero di rimanere isolati.
In questo inseguimento di pratiche e di teorie artistiche, davvero all'ultimo respiro, si avvertiva la volontà di dare una forma al mondo e di pensare la storia come un tutto coerente e sensato. La Prima Guerra Mondiale fu l'ostacolo che annunciò tutti gli altri, verso una progressiva decadenza delle ideologie e quindi anche di una filosofia della storia che gli artisti potessero fare propria. Fino a che si potè credere nel futuro, si accanirono a firmare manifesti e a formulare teorie.
Dopo l'era atomica, dopo Auschwitz, dopo il crollo dei comunismi, dopo che inevitabilmente l'idea di progresso si è scissa in molte sfaccettature per le quali non è possibile giudicare facilmente cosa sia bene e cosa male, anche gli artisti visivi hanno iniziato a elaborare un lungo disorientamento.
Quelle tecniche nuove che con tanto entusiasmo erano state abbracciate negli anni Dieci e Venti - collage, assemblaggio di oggetti trovati, estensione dell'opera nell'ambiente, performance che coinvolge il corpo, utilizzo della fotografia e della cinepresa -vengono poi rigettate in favore di un "ritorno al mestiere", ma anche rimeditate nel corso di tutto il Secondo Dopoguerra. Periodo, questo, che potremmo definire come il lungo svolgimento di intuizioni che erano state già messe sul piatto dalle prime Avanguardie, anche se molto sinteticamente.
La messe di innovazioni e di stimoli accumulata nel primo Novecento fu tale che ci volle tutto il resto del secolo per sondarne a fondo le conseguenze, anche includendo in questo lavoro di scavo l'apporto di tecnologie prima impensabili. Matura nel contesto dei Secondo Novecento, infatti, la rinascita e la crisi dell'idea di Avanguardia.
Nonostante   le  perplessità  che  ancora esprimono molti commentatori, come del resto già al tempo degli impressionisti, la storia si è incaricata di definire arte anche le opere nate da questa rivoluzione del linguaggio visivo. Ed è nel primo, decisivo quarto del Novecento, che essa pone le sue radici e incomincia a dare forma al tempo nuovo.

Storia dell'Arte volume 4 Atlas
GilloDorfles - Angela Vettese

 
 
 

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