Affreschi Yin

DUE MAGLIONI E UNA CRAVATTA


Il fatto è che quando entrava nella soffitta, non tanto gli oggetti, quanto gli indumenti smessi, esalavano parole. Parole continue  e lente si alzavano, sbiadite all’inizio. Quando poi si sedeva, in direzione della luce che illuminava pezzi di stoffa ammucchiati, lenzuola stinte e vecchi maglioni, loro, le parole prendevano vita come un canto antico che bastava intonare perché riprendesse la forma che dentro di sé custodiva.  Sigaretta e accendino si univano alle mani mentre i suoi occhi guardavano il fumo uscire denso dalla sua bocca e viveva felice  quei momenti di intimità assoluta.Quanto tempo c’era voluto! Ora poteva gustarlo con un sorriso sul volto.Ed oggi è stato questo il  canto.“Smettetela di baciare i miei seni, di voler giocare con me. Avete confuso le storie e gli uccelli, i miei sorrisi con i miei denti, i mie amori con le vostre verità.Venite a trovarmi ora, con la stessa sicurezza di prima. Voglio vederli quei vostri piedi camminare e quelle vostre mani cambiare forma, aria e ideali. Io qui, con un buio indeciso, rido sino a  spezzarmi.Vorrei appoggiarmi sul tuo naso quando muori, con il sedere rivolto alle stelle e un breve sesso mortale spunterà fra le mie gambe. Un breve sesso, breve come i vostri colpi, lungo come le mie attese, massiccio come il mio vero essere. Vado e sto andando, senza più ritorni. Perché impazzite se le stelle vi aiutano a graffiare i muri? Non avete desiderato altro. Perché, perché rinasco ogni volta che muoio?Perché vi affido le invenzioni?Mio padre è stato molto buono, molto caritatevole, ma di troppo poco gusto nel dirmi di andare e poi magari tornare, per riportargli le corna che ha perso. E’ stato persino sincero nel salutarmi. Ma che ne sapete di un amore introvabile, collocato fra le mie distanze infantili? Smettetela di guardarmi come esseri sperduti, o di manipolare luci per mostrarmi una lacrima. Datemi ancora i vostri ghigni, fatemi la  solita violenza di sempre. Sbarrate strade e fiumi, incendiatemi, continuate, ma con maggiore attenzione a banchettare, perché io possa ridere, ridere, ridere. Innalzerò il mio ridicolo amore affinché voi possiate sbranarlo e sbranarvi e le lacrime di un mattino sempre uguale daranno nuovi occhi alla fine. Non c’è che dire. E’ sempre più bello sdraiarsi sotto i vostri rancori e coprirsi con i vostri aliti di insonnie stagnanti. E’ sempre più bello la notte, dopo aver fatto l’amore, sentire con che raffinatezza sanno russare gli artisti. E’ sempre più bello. NON C’è CHE DIRE. Anche il sole me lo dice, leccandomi un orecchio. Parla sottovoce. Non ha più voce a dire il vero, ma siamo buoni amici, amici di vino e l’andiamo cercando quando ce ne ricordiamo, questa voce che è poi il cielo. Ma non c’è nulla di più salutare che trovarla addormentata e ubriaca mentre si abbraccia agli sputi di passanti giovani che corrono. Io non sarò più. Io non sarò. Io non. Io. Io non. Io non sarò. Io non sarò più. Certezza. Divenire. Realtà.Forte schiava. Sul quarto tasto mi appoggerò per indurire le corde e insistere sui suoni.Quali frecce? Chi ha parlato di frecce? Ancora frecce? E’ finito il tempo delle ferite inutili.” Questo avevano cantato due maglioni e una cravatta. Anche da un berretto usciva la stessa melodia, ma era piuttosto un controcanto svogliato. Lei sorrise. Agli anni che erano trascorsi. Poi prese i due maglioni e uscì per regalarli.