E' qualcosa che non esiste più...Marta tornò a casa tardi, quella sera. Era una sera come le altre, visitata dal vento e da una leggera pioggia. Erano le prime gocce , di un insolito aprile. Tirò fuori le chiavi dalla borsa. Entrò in casa. Accese la luce. Tutto era calmo e silenzioso. Poggiò la borsa e la giacca sul divano comprato da poco. Il telefono squillò, ma non le andava di rispondere. E quando aveva addosso quella sensazione e quella voglia di non essere trovata, pensava a una frase di Kerouac, letta anni prima. “ Non usare il telefono. La gente non è mai pronta a rispondere. Usa la poesia. “ In parte, era vero. Dopo cinque squilli, scattò la segreteria telefonica. La voce registrata aveva un suono metallico e non sembrava la sua. Dall’altro lato del telefono, chiunque fosse, sentendo la segreteria, mise giù, senza pensarci troppo. Andò in cucina e mise l’acqua sul fuoco. Aveva bisogno di una delle sue tisane. A quell’ora della sera, era un’abitudine alla quale non rinunciava mai. Lasciò in infusione anche i suoi pensieri, stanchi e confusi dopo una giornata di lavoro. Cercò di smorzarli anche nella vasca da bagno, mentre inutilmente provava a non pensare a niente, soprattutto a quell’immotivato senso di paura che avvertiva, seppur in maniera lieve. Prima di rivestirsi, si guardò allo specchio. Ogni tanto lo faceva, dopo anni di assoluto “pudore”. Lasciò cadere le mani lungo i fianchi pieni e morbidi. Con il tempo e con carezze di mani desiderate, aveva imparato a non odiarli più. La pelle bianca e il neo sul seno destro, richiamarono il suo sguardo, come se notasse questi particolari per la prima volta. Il telefono squillò ancora. Stavolta decise di rispondere. Attraversò il corridoio, nuda e con la pelle ancora umida dopo il bagno. Prima di rispondere, indossò la vestaglia che aveva lasciato sulla sedia, di mattina prima di uscire. Era sua sorella. – Ehi !?! Come ti senti ?- Bene -, rispose con voce sicura.- Ha stupito anche me, Marta. Pensavo fosse morto in questi anni.- Lo so…. Durante la pausa pranzo, erano solite incontrarsi e quel giorno avevano riconosciuto un volto, un tempo familiare. Dopo anni, quel volto era saltato subito agli occhi di Marta. Aveva sperato di non rivederlo mai più. Guardandolo da lontano, ormai vecchio, aveva risentito subito la sua voce di allora. – Lo sai come si da un bacio ? No? Vieni qui…vieni qui !Risentì quella frase più di una volta nella sua testa. Risentì l’odore e il sapore di fumo e di birra di quel pomeriggio d’inverno, di tanti anni prima. Aveva sette anni e non aveva difese per quei baci e quelle carezze moleste , che sembravano non finire mai. Quanto tempo passò ? Due o tre ore ? Non lo sapeva. Poteva gridare, forse, ma non lo fece perché non aveva voce. Non capiva cosa quell’uomo che conosceva e al quale voleva bene, le stesse facendo. Ma sapeva che era sbagliato e che non andava fatto. Lo sapeva perché in quel momento non era più fatta di carne e di ossa, ma solo di gelo e di terrore. Spalancò gli occhi. Lo vide appiccicato alla sua faccia. L’ansimare come quello di un cane dopo una corsa. Richiuse gli occhi, scegliendo il buio. Quando sentì i passi di suo nonno, capì che stava per finire. Lui le aggiustò i capelli, il vestito blu e le calzamaglie rosse.-Non dire niente -, le disse. Corse da suo nonno e lo strinse forte come mai prima. Non disse nulla, ma fece in modo di non restare più sola con lui. Non gli rivolse mai più la parola. Sua madre le chiese spesso il motivo. – Perché non rispondi più a Marco ? Lo adoravi !Ma non ricevette risposta. Guardando quell’uomo seduto al tavolo di un bar, quel pomeriggio, rivide tutto nitidamente. Lo osservò. Era vecchio, brutto. Sembrava che la vita l’avesse preso a pugni. Per lungo tempo lo aveva disprezzato con tutta se stessa. Ora , sentiva solo molta pena. Ma della specie più brutta e cattiva. A sua sorella, l’aveva confidato solo pochi anni prima e fu felice, quel giorno, di non essere sola davanti a quella faccia buia e avvizzita. Salutò Gaia e mise giù il telefono. Si strinse forte tra le braccia. Si sdraiò sul divano. Sentì il rumore leggero dei suoi respiri. E’ qualcosa che non esiste più, penso. Chiuse gli occhi e lentamente sprofondò in un sonno dolce e inaspettato. shatzy.shall
Post N° 141
E' qualcosa che non esiste più...Marta tornò a casa tardi, quella sera. Era una sera come le altre, visitata dal vento e da una leggera pioggia. Erano le prime gocce , di un insolito aprile. Tirò fuori le chiavi dalla borsa. Entrò in casa. Accese la luce. Tutto era calmo e silenzioso. Poggiò la borsa e la giacca sul divano comprato da poco. Il telefono squillò, ma non le andava di rispondere. E quando aveva addosso quella sensazione e quella voglia di non essere trovata, pensava a una frase di Kerouac, letta anni prima. “ Non usare il telefono. La gente non è mai pronta a rispondere. Usa la poesia. “ In parte, era vero. Dopo cinque squilli, scattò la segreteria telefonica. La voce registrata aveva un suono metallico e non sembrava la sua. Dall’altro lato del telefono, chiunque fosse, sentendo la segreteria, mise giù, senza pensarci troppo. Andò in cucina e mise l’acqua sul fuoco. Aveva bisogno di una delle sue tisane. A quell’ora della sera, era un’abitudine alla quale non rinunciava mai. Lasciò in infusione anche i suoi pensieri, stanchi e confusi dopo una giornata di lavoro. Cercò di smorzarli anche nella vasca da bagno, mentre inutilmente provava a non pensare a niente, soprattutto a quell’immotivato senso di paura che avvertiva, seppur in maniera lieve. Prima di rivestirsi, si guardò allo specchio. Ogni tanto lo faceva, dopo anni di assoluto “pudore”. Lasciò cadere le mani lungo i fianchi pieni e morbidi. Con il tempo e con carezze di mani desiderate, aveva imparato a non odiarli più. La pelle bianca e il neo sul seno destro, richiamarono il suo sguardo, come se notasse questi particolari per la prima volta. Il telefono squillò ancora. Stavolta decise di rispondere. Attraversò il corridoio, nuda e con la pelle ancora umida dopo il bagno. Prima di rispondere, indossò la vestaglia che aveva lasciato sulla sedia, di mattina prima di uscire. Era sua sorella. – Ehi !?! Come ti senti ?- Bene -, rispose con voce sicura.- Ha stupito anche me, Marta. Pensavo fosse morto in questi anni.- Lo so…. Durante la pausa pranzo, erano solite incontrarsi e quel giorno avevano riconosciuto un volto, un tempo familiare. Dopo anni, quel volto era saltato subito agli occhi di Marta. Aveva sperato di non rivederlo mai più. Guardandolo da lontano, ormai vecchio, aveva risentito subito la sua voce di allora. – Lo sai come si da un bacio ? No? Vieni qui…vieni qui !Risentì quella frase più di una volta nella sua testa. Risentì l’odore e il sapore di fumo e di birra di quel pomeriggio d’inverno, di tanti anni prima. Aveva sette anni e non aveva difese per quei baci e quelle carezze moleste , che sembravano non finire mai. Quanto tempo passò ? Due o tre ore ? Non lo sapeva. Poteva gridare, forse, ma non lo fece perché non aveva voce. Non capiva cosa quell’uomo che conosceva e al quale voleva bene, le stesse facendo. Ma sapeva che era sbagliato e che non andava fatto. Lo sapeva perché in quel momento non era più fatta di carne e di ossa, ma solo di gelo e di terrore. Spalancò gli occhi. Lo vide appiccicato alla sua faccia. L’ansimare come quello di un cane dopo una corsa. Richiuse gli occhi, scegliendo il buio. Quando sentì i passi di suo nonno, capì che stava per finire. Lui le aggiustò i capelli, il vestito blu e le calzamaglie rosse.-Non dire niente -, le disse. Corse da suo nonno e lo strinse forte come mai prima. Non disse nulla, ma fece in modo di non restare più sola con lui. Non gli rivolse mai più la parola. Sua madre le chiese spesso il motivo. – Perché non rispondi più a Marco ? Lo adoravi !Ma non ricevette risposta. Guardando quell’uomo seduto al tavolo di un bar, quel pomeriggio, rivide tutto nitidamente. Lo osservò. Era vecchio, brutto. Sembrava che la vita l’avesse preso a pugni. Per lungo tempo lo aveva disprezzato con tutta se stessa. Ora , sentiva solo molta pena. Ma della specie più brutta e cattiva. A sua sorella, l’aveva confidato solo pochi anni prima e fu felice, quel giorno, di non essere sola davanti a quella faccia buia e avvizzita. Salutò Gaia e mise giù il telefono. Si strinse forte tra le braccia. Si sdraiò sul divano. Sentì il rumore leggero dei suoi respiri. E’ qualcosa che non esiste più, penso. Chiuse gli occhi e lentamente sprofondò in un sonno dolce e inaspettato. shatzy.shall