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Buchi Neri, evoluzione storica delle Teorie - Parte 4 di 11


Il primo che ha aperto la nuova strada è stato l’astronomo Polacco Niccolò Copernico che riscopre il sistema eliocentrico, già ipotizzato dal greco Aristarco di Samo nel III secolo a.C. Qualcosa non andava lassù nel cielo, nei calcoli astrologici per costruire delle effemeridi, alcuni moti dei pianeti non erano coerenti con il modello delle sfere di Aristotele e poteva semplificarsi solo se si accettava che tutti i pianeti giravano attorno al Sole e non alla Terra.
Può apparire solo una rivoluzione dei moti ma è un terremoto concettuale in quanto cambia anche lo status della terra, tutt’un tratto diventa un pianeta come un altro e peggio ancora teologicamente non siamo più al centro dell’universo. Il passaggio ovviamente non è indolore, la nuova teoria viene pubblicata nel 1543 solo dopo la morte dell’autore, pertanto senza conseguenze nefaste immediate. Il libro “De revolutionibus orbium coelestium” (Delle rivoluzioni dei corpi celesti), l’autore lo dedicò al Papa Paolo III e probabilmente per non considerarlo eretico, nella prefazione, si sosteneva che il modello era semplicemente uno strumento matematico che non voleva rappresentare la realtà. Forse, grazie anche a questo trucco, si concesse uno spazio temporale di circa 60 anni perché la nuova teoria si diffondesse in tutta Europa e minasse le fondamenta dell’imposizione delle idee teologiche dell’universo della chiesa.
La mano passa a Giovanni Keplero, quando nel 1608 scopre che le “stelle erranti” (le divinità dei pianeti) non si muovono di moto circolare ma ellittico intorno al Sole, dimostrando che gli dei non sono poi così perfetti ma anche loro stessi corruttibili. Ma se il loro moto non era più naturale, cosa poteva indurre gli dei a muoversi attorno al Sole? Pensava che il movimento dei pianeti fosse causato da qualche forza proveniente dal Sole, ma non citò la stessa forza gravitazionale della Terra, forse era già troppo aver distrutto la perfezione assoluta e il paragone poteva essere troppo pericoloso. Il modello di Aristotele subisce un altro colpo quando nel 1638 Galileo fa pubblicare a Leida i “Discorsi e Dimostrazioni matematiche attorno a due nuove scienze attinenti alla Meccanica e i Movimenti Locali” dove dimostra che la caduta dei corpi avviene alla stessa velocità indipendentemente dal loro peso. 
Il colpo finale al sistema Aristotelico venne assestato da Newton nel 1687 quando enunciò nei “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” la legge di “Gravitazione Universale”.    Il termine universale non è inserito a caso ma evidenzia l’estensione della Gravità dalla terra al cielo e tutt’un tratto anche le stelle hanno una massa. Con quest’affermazione opera la prima grande unificazione delle forze della natura e la gravità è considerata una forza che si applica a distanza istantaneamente. Questo è un primo passo verso la teorizzazione del Buco Nero ma per arrivare a concepirne l’idea occorre un altro attore, ovvero identificare una velocità per la propagazione della Luce. Anche per questo concetto la scienza occidentale subisce l’influenza del modello di Aristotele che riteneva la propagazione della Luce essere istantanea e quindi a velocità infinita.