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Buchi Neri, evoluzione storica delle Teorie - Parte 5 di 11


Sono in molti gli scienziati che assecondavano la teoria dell’infinità della velocità della luce e persino l’innovatore Keplero non si era spostato da questa affermazione. Ma qualcuno andava controcorrente e in particolar modo la rivoluzione in questo settore parte dagli arabi che riprendono gli studi greci di ottica e li rielaborano. In particolar modo si distingue Alhazen (965-1038) che ritiene la velocità della Luce essere finita. In Italia trova un seguace in Leonardo da Vinci che nel manoscritto F del 1508 trascrive la sua opinione sulla velocità finita della Luce. Andò oltre affermando che la Luce e il Suono potevano viaggiare attraverso un mezzo, mediante quel che descrisse come tremito o una vibrazione, un processo che una volta innescato si ripete trasmettendo un segnale da un punto a un altro, attraverso la propagazione. Con questa descrizione anticipò, di circa due secoli, la “Teoria Ondulatoria della Luce” formulata da Christiaan Huygens nel 1678.
All’inizio del XVII° secolo, erano già molti gli scienziati convinti dell’esistenza di un limite alla velocità della Luce e Galileo nel 1581 fu il primo a cercare di misurarla realizzando  un esperimento semplice, ma fallì in quanto il metodo non era idoneo per alte velocità. Dotato di lanterne, insieme ad un collaboratore si pose tra due colline opposte fuori Firenze. Scoprendo una lanterna la Luce si sarebbe propagata all’altra collina, uno dei due collaboratori appena vista la Luce avrebbe scoperto a sua volta la sua lanterna, la cui Luce sarebbe ritornata e osservata alla collina di partenza.  Il tempo di ritardo nell’osservazione della Luce, scorporato del tempo di reazione della persona, fornisce l’indicazione della velocità della Luce. Purtroppo il tempo di reazione delle persone è ben notevolmente superiore a quello della Luce e con un simile esperimento non venne evidenziato nulla sennonché la deduzione che la velocità era altissima.
E nemmeno l’esperimento di pochi anni dopo di Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), riuscì ad evidenziare qualcosa benché la distanza di misura fosse più elevata. Intraprese la misura sulla distanza di 35 Km tra Firenze e Pistoia ed utilizzando specchi riflettenti moltiplicò il percorso ma non riuscì a notare delle differenze apprezzabili. Questo metodo ispirò il francese Armand Hippolyte Fizeau che, nel 1849, riuscì a valutare una velocità di 283.000 km/s, molto vicino alla misura esatta. Ma prima di lui riuscì nell’impresa l’astronomo danese Ole Rømer che nel 1676 riuscì a misurare la velocità della Luce, notando delle anomalie nei tempi delle eclissi dei satelliti di Giove. Dopo la grande scoperta di Galileo che Giove era a sua volta un mini sistema planetario composto di varie Lune, l’osservazione aveva evidenziato le loro orbite attorno al pianeta gassoso ed erano state redatte molte effemeridi che prevedevano il loro moto.  I transiti sul bordo del pianeta, ovvero le eclissi delle lune dietro il pianeta e i transiti sulla superficie dello stesso erano le osservazioni che maggiormente erano ricercati.