Autoestinguente

L'ultimo chilometro (2ª e ultima parte)


(tempo di lettura: 6 minuti)Giro la chiave nel cruscotto e arriva la botta di adrenalina. Solo adesso mi rendo conto di quanto mi mancava. È una droga, e io ero in astinenza. E questo è niente, tra poco sarà ancora meglio.Cowboy ha voluto una delle sue pon-pon girl a dare il via, sventolando un fazzoletto come in Gioventù bruciata. Non ci sta con la testa, il ragazzo, ma non ho obiezioni. Parte come uno shuttle, me l’aspettavo, ma devo stargli davanti per tutto lo sterro, altrimenti non ho speranze. Gli sto incollato al culo più che posso e prego che si distragga un attimo. Per tutto il pezzo d’asfalto mi mangia vivo, prende metri su metri, ma appena le sue gomme toccano lo sterro finisce lungo, quasi nel fosso, e mi lascia un varco che è la porta del paradiso.Lo infilo sulla sinistra e butto la macchina di traverso, sempre di traverso, per alzare più polvere possibile e per occupare tutta la carreggiata. Se poi gli arriva anche una sventagliata di ghiaia, non sarò io a piangere. L’ultimo chilometro, quello in asfalto dalla casa al traguardo, è quello che mi preoccupa, lì può prendermi quando e come vuole. Mi devo costruire qui il mio vantaggio.Tra il buio e il polverone non ci starà vedendo niente. Per ora è costretto a seguirmi come un’ombra, ed è qui che lo volevo. L’adrenalina è al massimo, il cuore pompa come per uno spavento, ma regolare. Sento gli occhi schizzarmi dalle orbite, vedo i colori molto più nitidi e contrastati del vero, come mi fossi calato un acido. Il tempo sembra si sia dilatato, in un centesimo di secondo ci faccio stare ragionamenti che, di norma, mi prenderebbero minuti. Sto da dio. Questa è la mia dimensione, non vorrei mai uscire da qui, è meglio del sesso e di qualunque altra cosa al mondo. Quasi quasi ringrazio il geppo per avermi dato la possibilità di provarla di nuovo, ma non ora. Concentrato, devo stare concentrato e pensare.I fari illuminano un pietrone che sporge forse tre dita dal suolo, potrebbe bastare. Il mio assetto un po’ più alto mi permette di passarci sopra, il geppo spacca la coppa dell’olio, sento il botto nonostante i motori a palla. Vedo nello specchietto il mostro nero che si scompone e per un po’ perde spinta, ma non dura, si rifà sotto. Mancheranno quattro chilometri all’arrivo e li può fare anche senz’olio, lo sappiamo tutti e due.La strada s’allarga, il bastardo mi affianca, mette il muso davanti, mi mostra il dito medio dal finestrino. Comincio a pensare che non sia stata ’sta gran idea stuzzicare il Cowboy. Faccio il conto di quanto ci perdo, tra soldi e faccia, e mi dico dello stronzo da solo. Poi il miracolo: il mostro nero e fuoco sussulta, perde potenza di colpo, dai tubi di scarico esce una nuvola di fumo di un colore per niente naturale. Lo sorpasso e mi metto a ballonzolare sul sedile e a ululare come un lupo mannaro. Quel che speravo: la polvere gli ha intasato le prese d’aria e il motore è andato arrosto. Rido fino alle convulsioni.Mi perdo un attimo di troppo a guardare nello specchietto e quando rimetto gli occhi sulla strada mi accorgo subito che c’è qualcosa di molto, molto sbagliato. Un dinosauro giallo taxi mi sbarra il passo. Un bulldozer con la pala abbassata. Cazzo, hanno riaperto il cantiere. Faccio in tempo a comporre una miriade di pensieri in un nanosecondo.Ma per dio, proprio adesso dovevano riprendere i lavori? Beh, mi sta a pennello, il giro di ricognizione si dovrebbe fare sempre, e chi non lo fa s’aspetti brutte sorprese. Bene, signori, la mia carriera si conclude stasera. Lascerò la mia pellaccia, portata fuori da mille schianti, attaccata a uno scavatore. Non piangete per me, ho vissuto come volevo. È stato bello.Più per riflesso condizionato che per reale convinzione tiro il freno a mano e sterzo tutto a destra. La macchina sbanda di brutto, slitta, sbatte con la fiancata sinistra e poi col culo e si mette a trottolare senza controllo. Passo in mezzo a due alberi, salto il fosso e volo, come la bicicletta di Eliot con E.T. nel cestino. I fari illuminano prospettive che non avevo mai visto. Atterro in un campo arato, con un rumore di ammortizzatori scoppiati e il motore si spegne.Non ci posso credere, sono vivo.Mi godo il silenzio per qualche attimo, slaccio le cinture a bretella, apro lo sportello (a spallate perché è incastrato) e mi lascio rotolare fuori. Sdraiato sulla terra, con le gambe ancora dentro l’abitacolo, mi accendo una paglia e contemplo le stelle. Fa freddo, ma sono felice di sentire i brividi.Un raglio asinino mi riporta nel mondo reale. Cowboy mi ha seguito a piedi e sta piegato a mezzo dalle risate, di là dal fosso. Lancio la cicca nella sua direzione, ma non gli arrivo nemmeno vicino. La brace compie una parabola rossa nel buio e cade a un paio di metri da me. Il geppo sparisce di corsa, e mi viene il sospetto che voglia provare ad arrivare al traguardo col motore fuso. Chissà, potrebbe anche riuscirci se lo lasciassi tentare.Mi rimetto in piedi e su gambe di budino valuto le condizioni della mia auto. Mmmh… non c’è da stare allegri. Il culo è rimasto attaccato al bulldozer – da fuori si vedono i sedili – e gli ammortizzatori sono schiantati. Salgo e giro la chiavetta: parte! Però non sorrido per molto, perché il cambio è andato, le marce non entrano nemmeno a martellate. Riesco a ingranare solo la retro, e anche quella a fatica. Provo a tornare sulla strada, ma è un’impresa muoversi sulla terra dissodata e nel buio, visto che i fari sono dall’altra parte. Se non altro non avrò problemi di visibilità, con lo squarcio che c’è al posto del lunotto posteriore. Vedo passare il mostro nero del geppo, butta fumo come avesse un falò sotto il cofano e va più piano di un bambino che gattona, ma si muove. Mi scapicollo all’inseguimento, in retro. In teoria andrei parecchio più veloce del bastardo, ma finisco nel fosso almeno tre volte e mi devo impegnare non poco per non terminare la serata in compagnia delle rane. Due chilometri così, uno di sterro e uno d’asfalto. Esattamente alla casa dove finisce la strada bianca incrociamo un drappello di amici preoccupati, sia miei che suoi. Non vedendoci arrivare ci sono venuti incontro. Quando sbuchiamo, i soccorritori non credono ai loro occhi. Per fortuna ci illuminano la via verso il traguardo, e posso smettere di strizzare gli occhi.Dopo quella sera mi sono ritirato davvero. Siamo entrati nella leggenda, il Cowboy e io, difficile fare meglio di così. Alla fine ho dovuto ammettere che il geppo non era poi tanto geppo. Credo che si racconterà per un pezzo di quell’ultimo chilometro, il mostro nero che sbuffava come una locomotiva e la mia macchinetta a marcia indietro, col culo aperto come un petardo scoppiato, le altre auto in parata, col clacson spiegato come a un matrimonio.Di tanto in tanto faccio un salto a buttare un occhio, e se ci trovo il Cowboy ci scappa una birra mentre guardiamo gli altri che si scannano.NessundoveAprile 2007