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ANDREA PAZIENZA
Solo a quest'ora di notte/mi viene in mente che la tua faccia/risponde ad una geometria particolare/e ne ho così chiara negli occhi la costruzione/che disegnarla sarebbe un gioco da ragazzi/domani, avrò già dimenticato/queste meravigliose intuizioni. (Le straordinarie avventure di Pentothal, Andrea Pazienza)
VERRANNO A CHIEDERTI DEL NOSTRO AMORE
Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a chiederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta
un amore così lungo, tu non darglielo in fretta
non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore
dopo l'amore così sicure a rifugiarsi nei "sempre"
nell'ipocrisia dei "mai"
non sono riuscito a cambiarti
non mi hai cambiato lo sai.
E dietro ai microfoni porteranno uno specchio
per farti più bella e pensarmi già vecchio
tu regalagli un trucco che con me non portavi
e loro si stupiranno che tu non mi bastavi,
digli pure che il potere io l'ho scagliato dalle mani
dove l'amore non era adulto e ti lasciavo graffi sui seni
per ritornare dopo l'amore alle carenze dell'amore
era facile ormai
non sei riuscita a cambiarmi
non ti ho cambiata lo sai.
Digli che i tuoi occhi me li han ridati sempre
come fiori regalati a maggio e restituiti in novembre
i tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro
i tuoi occhi assunti da tre anni
i tuoi occhi per loro,
ormai buoni per setacciare spiagge con la scusa del corallo
o per buttarsi in un cinema con una pietra al collo
e troppo stanchi per non vergognarsi
di confessarlo nei miei
proprio identici ai tuoi
sono riusciti a cambiarci
ci son riusciti lo sai.
Ma senza che gli altri ne sappiano niente
dimmi senza un programma dimmi come ci si sente
continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito
farai l'amore per amore o per avercelo garantito,
andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori
o resterai più semplicemente
dove un attimo vale un altro
senza chiederti come mai,
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai.
(Fabrizio De Andrè, Storia di un impiegato,1973)
« Amore è tutto ciò che si... | Haiku » |
Post n°46 pubblicato il 21 Luglio 2008 da mariposa.blanca
Quanta gente corre a testa bassa, senza viaggiare, senza domande. Corre e corre per non fermarsi, per non accogliere, per evitare. E io sono stanca. Stanca di chi cerca una definizione per ogni cosa, una targhetta per ogni sorriso, un prezzo per ogni sguardo. È difficile posare gli occhi, vero? Difficile la diversità. Difficile il dolore. E io sono sempre più stanca. E disillusa. Vorrei abitare un’umanità più ricca. Più aperta. Più coraggiosa. E vorrei tanto riuscire a ridere degli occhi cattivi, che guardano e non sanno. Che si distolgono. Vorrei ridere della loro paura, che invece mi stringe la gola. Cercate qualche scatto di Diane Arbus, lasciatevi traghettare oltre la soglia. E se dovesse sembrarvi troppo cattiva (o troppo onesta), provate a guardarla con lo sguardo di Walker Evans, che di lei ha scritto: “La sua originalità è nel suo occhio, spesso rivolto al grottesco e all’audace, un occhio coltivato per mostrarti la paura perfino in una manciata di polvere”. Perdonate il post un po’ sconclusionato. Oggi sono solo molto, molto incazzata. |
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale, Satura 1971
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IMAGO MUNDI
Se non è bastato questo corpo
un altro corpo devo aggiungere a me.
Nuove ottave per la mia voce,
una nuova lente per il mio occhio,
per il fiore sparso di sangue
nella gabbia toracica
una specie di linfa mai provata,
svegliandomi un mattino
il punto focale, carato, luce che troverò cambiati.
Questa matita non temperata,
questo volto non toccato,
questa vita non ancora cominciata.
(Enis Batur)
LE NUVOLE
Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio
Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai
Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.
Fabrizio De Andrè, Le nuvole (1990)