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INTRIGO A BERLINO di Steven Soderbergh


Cast: George Clooney, Cate Blanchett, Tobey Maguire, Leland Orser, Tony Curran, Beau Bridges, Robin Weigert, Dave PowerTrama: Durante la seconda guerra mondiale, un giornalista americano viene inviato a Berlino. Lui in realtà accetta perchè vuole cercare la donna che ama e della quale ha perso le tracce a causa della guerra. Durante la sua trasferta in Germania, però, viene coinvolto nella storia dell'omicidio di un soldato americano, il suo autusta, corrotto fino al collo e fidanzato di Lena, la donna per la quale é tornato in Germania ma che ora stenta a riconoscere...Nonostante sia stato bistrattato, deriso e beffeggiato dai critici di mezzo mondo, l’altra sera mi son deciso ad andare a vedere il nuovo lavoro di Steven Soderbergh, conscio del fatto che, prima di tutto non sono un grande fan del suo cinema e, secondariamente, da grande estimatore del cinema classico, il rischio di uscire dalla sala incazzato era assai elevato. Ma amo il rischio e così sono entrato: per due ore ho di nuovo assaporato il vecchio stampo di faire-du-cinema (recitazione ostentata, scenografie dipinte o realizzate attraverso i trasparenti, tendine che sancivano il passaggio da una scena all’altra, una maniacale cura dei dettagli e delle costruzioni delle inquadrature); per due ore ho assistito a un vero e proprio tributo del genere, come se un giovane studente appassionato di cinema facesse un tour de force guardandosi tutti i più grandi film noir degli anni'40 (le citazioni compaiono ad ogni scena,con il grande epilogo nel finale); per due ore era come se fossi in un vizzo scantinato a vedere vecchie foto d’epoca. E, proprio per questo chiudo volentieri un occhio se la fotografia (peraltro firmata dallo stesso Soderbergh sotto pseudonimo) lascia un po’ desiderare in quanto troppo impostata sui toni bianchi o se mancano un po’ di sequenze in spazi aperti o vicoli che solo a guardarli diventano sinonimo di agguato; e chiudo anche l’altro occhio quando vedo Clooney in un ruolo che non gli si addice (Bogart è ben lontano!) o se alcuni dialoghi mi hanno fatto rimpiangere il Codice Hays. Si, li chiudo volentieri entrambi perché, proprio come per le vecchie foto d’epoca, è il tatto a farla da padrone:  nel momento in cui si entra in sala è come se con la mano si togliesse quella patina di polvere che solitamente ricopre le cose vecchie e si riscopre la bellezza e l’eleganza di chi il cinema vero non l’ha purtroppo vissuto ma che comunque continua sempre a sognarlo. E a chi lo giudica solo come un’inutile operazione nostalgica rispondo dicendo “Frankly, my dear, I don't give a damn”.Ma questa è tutta un’altra storia.