XIII CANTO DELL'INFERNO (CONTRO LA SUPERBIA)Mentre io andava, li occhi miei in unofurono scontrati; e io sì tosto dissi: "Già di veder costui non son digiuno";per ch'io a figurarlo i piedi affissi:e 'l dolce duca meco si ristette,e assentìo ch'alquanto in dietro gissi.E quel frustato celar si credettebassando il viso; ma poco li valse,ch'io dissi: "O tu che l'occhio a terra gette,se la fazion che porti non son false,Venedico se' tu Caccianemico:"ma che ti mena a sì pungenti salse?"Ed elli a me:"Mal volentieri lo dico;ma sforzami la tua chiara favella,che mi fa sovvenir del mondo antico.I' fui colui che la Ghisobellacondussi a far voglia del Marchese,come che suoni la sconcia novella.E non pur io qui piango bolognese;anzi n'è questo luogo tanto pieno,che tante lingue non son ora appresea dicer "sipa" tra Savena e Reno;e se di ciò vuoi fede o testimonio,rècati a mente il nostro avaro seno".Così parlando il percosse un demoniodella sua scuriada e disse:" Via,ruffian! Qui non son femmine da conio".I' mi raggiunsi alla scorta mia;poscia con pochi passi divennimola 'v'u'no scoglio della ripa uscìa.
Fatti non foste per vivere come bruti
XIII CANTO DELL'INFERNO (CONTRO LA SUPERBIA)Mentre io andava, li occhi miei in unofurono scontrati; e io sì tosto dissi: "Già di veder costui non son digiuno";per ch'io a figurarlo i piedi affissi:e 'l dolce duca meco si ristette,e assentìo ch'alquanto in dietro gissi.E quel frustato celar si credettebassando il viso; ma poco li valse,ch'io dissi: "O tu che l'occhio a terra gette,se la fazion che porti non son false,Venedico se' tu Caccianemico:"ma che ti mena a sì pungenti salse?"Ed elli a me:"Mal volentieri lo dico;ma sforzami la tua chiara favella,che mi fa sovvenir del mondo antico.I' fui colui che la Ghisobellacondussi a far voglia del Marchese,come che suoni la sconcia novella.E non pur io qui piango bolognese;anzi n'è questo luogo tanto pieno,che tante lingue non son ora appresea dicer "sipa" tra Savena e Reno;e se di ciò vuoi fede o testimonio,rècati a mente il nostro avaro seno".Così parlando il percosse un demoniodella sua scuriada e disse:" Via,ruffian! Qui non son femmine da conio".I' mi raggiunsi alla scorta mia;poscia con pochi passi divennimola 'v'u'no scoglio della ripa uscìa.