DIDIER DESCHAMPS, ha cominciato a guardare la classifica?«No, sinceramente. Per il momento preferisco contare i punti, so che ci stanno tutti davanti. E questo basta. La classifica inizierò a guardarla dopo Natale».Beh, gliela diciamo noi: Juve ultima a -4 ma sarebbe prima senza penalizzazione.«Lo so, lo so. Tredici punti su quindici, mi sembra una bellissima media, cerchiamo di mantenerla...». L’arbitrato può cambiare la vostra posizione: che cosa si aspetta?«Un trattamento giusto tenendo in considerazione la retrocessione, il -17 di handicap e i due scudetti tolti. Prendo ciò che mi danno, mi auguro soltanto che i giudici non siano condizionati dal fatto che stiamo facendo tanti punti».Alcuni sostenevano che la Juventus doveva prendere un tecnico conoscitore della serie B, altri che lei è stato un bravo giocatore, è un bravo allenatore e avrebbe imparato presto: hanno avuto ragione i secondi?«Le critiche ci saranno sempre però non sono arrivato qui dicendo di sapere tutto sulla serie B. Conosco i miei limiti, ma anche i miei compiti. E guidare la Juventus è diverso dall’essere sulla panchina di una piccola società. Passo più tempo a migliorare la mia squadra che a preoccuparmi degli avversari. Voglio esercitare la superiorità bianconera, imporre il nostro gioco, non subire e non speculare sulle difficoltà altrui. E’ una questione di mentalità».Dopo il ritiro del ricorso al Tar ha detto di non capire le scelte del club, dopo lo scoppio del caso Telecom i dirigenti bianconeri non hanno commentato mentre lei ha sollevato dubbi su altre società: è un uomo che dice sempre quello che pensa?«Sono una persona schietta, mi piace dire ciò che penso e rispondo sempre alle domande. Mi sono però accorto che con alcune esternazioni sono finito in prima pagina perché in Italia c’;è maggiore attenzione da parte della stampa mentre in Francia esiste un solo quotidiano sportivo ».Verità per verità, in primavera lei ha detto no al Marsiglia perché era già stato contattato dalla Juventus?«Assolutamente no. Allora rifiutai l’incarico perché non avevo le risposte che volevo, non mi andava bene il progetto sportivo».Quando e da chi ha ricevuto la prima proposta per allenare i bianconeri?«Quando, non me lo ricordo... (sorriso sornione). Il primo a parlarmi è stato Secco, poi ho incontrato i dirigenti».Platini ha avuto qualche ruolo nella trattativa?«Io non l’ho mai sentito». Non gli ha parlato in questi mesi? «Ci siamo incrociati un paio di volte, l’ultima allo stadio Saint Denis per Francia-Italia. Ci siamo soltanto salutati, entrambi siamo molto occupati».Dopo le vicende di due anni fa ha avuto qualche dubbio nell’accettare o si è convinto subito?«Il progetto era ben diverso. Due stagioni fa l’obiettivo era vincere lo scudetto e la Champions League, quest’estate ho abbracciato un disegno senza certezze ma non ho avuto titubanze. La Juve è sempre la Juve: questo concetto, valido per far restare i giocatori, è servito anche per me. Da giocatore il club mi ha dato tanto permettendomi di vincere tutto, sono pronto a dare il mio contributo per tornare di nuovo grandi insieme».Sulla decisione quanto ha inciso la famiglia?«La scelta è stata solo mia. Non mi vedevo allenare in certi paesi dove ti coprono d’oro ma l’aspetto sportivo ha una valenza inferiore».Qual è stato l’imprevisto più duro da digerire: la partenza di tanti campioni o la B?«La Juve in B perché è cambiato il progetto sportivo. I giocatori vanno e vengono».Qual è il segreto per costruire un gruppo e motivarlo?«Il gruppo c’era già, come la predisposizione per lavorare e lottare insieme. Non è tanto difficile creare lo spirito giusto quanto mantenerlo e svilupparlo».Lei è riuscito nell’impresa di far nuovamente sorridere Trezeguet e, soprattutto, Camoranesi: come c’è riuscito?«L’approccio è stato diverso. Con Trezeguet sono amico, eravamo compagni in Nazionale e ho fatto leva sulla sua voglia di scendere in campo, di giocare e dare sempre il massimo. Con Camoranesi è stato più difficile, ho trascorso il mese d’agosto a parlargli cercando di conoscerlo anche dal punto di vista umano. Lui ha bisogno di una certa libertà di movimento e io gliel’ho concessa ».Che cosa pensa di Capello che non faceva giocare Del Piero?«Era una scelta sua, ma quella era un’altra Juve, con tanti attaccanti bravi, che lottava per lo scudetto».Il capitano è stato sostituito anche in azzurro.«Alex è intelligente da capire le situazioni. Io preferisco averlo al 100 per cento per un’ora piuttosto che all’80 per cento per 90 minuti ». Se n’è accorto che i giocatori respirano un clima diverso nello spogliatoio rispetto ai due anni di Capello?«Loro possono parlare io no perché non c’ero e quindi non giudico. Mi piace però come il gruppo sta vivendo il momento».Quale impronta è riuscito a dare alla Juventus?«Non ho la presunzione di aver già lasciato il segno sulla squadra, né penso che se la squadra vince è per merito del tecnico e se perde è per colpa dei giocatori. Non cerco meriti, i protagonisti sono sempre i giocatori. Io alleno per vincere, voglio che la squadra vada in campo per lottare e non mollare mai».Quanto hanno inciso le sue origini basche sul modo di giocare e di allenare?«Da dove vengo non ti viene concesso nulla gratuitamente. Sono stato educato a ottenere le cose attraverso il lavoro. Gli stessi valori li applico nella professione e cerco di trasmetterli a mio figlio. La vita non regala nulla, io cerco il rispetto, di essere disponibile e accettare l’opinione di tutti. L’essere diventato un giocatore, un campione del mondo, non ha cambiare la mia prospettiva, gli amici di quando ero piccolo sono rimasti».La Juventus ha varato l’operazione simpatia. Lei si ritiene simpatico?«Non lo so, dovete chiedere agli altri. Mi ritengo disponibile e pongo l’accento sul rispetto e l’educazione ». La Juventus è più simpatica? «Se si ritiene antipatico chi vince perché viene invidiato, allora la Juve resta antipatica».Il rimpianto più grande da quando è alla Juventus?«Vedere partire grandi campioni ».E la novità più piacevole? «L’accoglienza dei tifosi, la loro testimonianza di simpatia. Significa che ho seminato bene se si ricordano ancora di ciò che ho fatto da giocatore. In Francia, purtroppo, si dimentica in fretta del passatoCONOSCEVA già Paro o è stata una scoperta? « Lo conoscevo, poi tutti me ne hanno parlato così bene. Adesso il ragazzo sta confermando l’opinione che abbiamo di lui » . E’ vero che ha posto il veto alla sua cessione alla Sampdoria per gennaio?« Chi c’è resta fino a fine stagione poi si vedrà. Eventualmente, a gennaio può essere ceduto chi non ha trovato spazio in questi mesi » .C’è grande attenzione verso i giovani: di chi sentiremo presto parlare?« Di Marchisio e De Ceglie. Devono ancora maturare ma hanno grandi potenzialità » .Come si concilia nella squadra la presenza di campioni e di giovani?« E’ indispensabile. I ragazzi danno freschezza, con l’esperienza dei “ vecchi” si raggiunge il giusto equilibrio. E’ bello vedere con quale voglia i campioni scendono in campo, un esempio da trasmettere ai giovani » .Pensa di aver vinto una scommessa con Boumsong?« Ha ritrovato fiducia in se stesso dopo una partenza negativa. Del resto, al debutto di Rimini aveva alle spalle un solo giorno di allenamento con la squadra. Ho creduto in lui, si sta esprimendo bene e ha margini di crescita » .Si parla dell’arrivo di Faty a giugno: in estate lei disse che non era pronto, tra un anno lo sarà?« E’ un giocatore interessante, che può fare il difensore e anche il centrocampista centrale. Non c’è nessun accordo, dipende dagli obiettivi e dalle esigenze del club. Ma può anche arrivare per crescere all’interno della squadra » .E’ diverso allenare in Italia rispetto alla Francia?« Il lavoro dell’allenatore è sempre uguale, ciò che cambia è il tipo di gioco, al quale occorre adattarsi. La Ligue 1 è simili alla serie B: gioco totale per 90 minuti, grande agonismo, molta corsa » .Quale squadra della B l’ha impressionata di più?« Non le ho viste tutte però si sapeva che Lecce e Brescia avrebbero lottato per la A. A queste aggiungerei Genoa, Napoli e Bologna » .E’ strano vedere il miglior portiere al mondo in B?« E’ bello, e ancora più bello è sentirlo parlare e vederlo contentissimo. Buffon è così spontaneo » .Quando è arrivato quali giocatori già conosceva?« Parecchi: Birindelli, Del Piero, Trezeguet. Zalayeta era un bimbo quando giocavo. Poi Zanetti, Nedved e Buffon li ho affrontati da avversari » .E’ strano allenare ex compagni?« Non voglio cancellare quello che abbiamo vissuto insieme. Sono stati però intelligenti da capire che i ruoli adesso sono diversi. Io prendo le decisioni, ma prima di decidere mi piace ascoltare e discutere con loro. C’è un rapporto di fiducia » . Sente la proprietà vicino a lei e alla squadra? « Sia Lapo che John Elkann sono grandi tifosi, quando ne hanno la possibilità vengono a trovare la squadra, li sento anche spesso al telefono. Sono importanti per i giocatori » .Ha trovato Torino cambiata rispetto a quando ci abitava da giocatore?« Molto e in meglio. Le Olimpiadi l’hanno resa più bella e più aperta. E’ la città italiana nella quale si respira un’aria francese » .Ha già trovato casa e quali sono i luoghi che più frequenta?« Non faccio vita mondana, quando non alleno passo il tempo in famiglia. Al massimo mi concedo qualche ore di tennis. E quando posso torno al mare, ho una casa vicino a Montecarlo. Ma non mi dispiace neppure la montagna » . Sua moglie e suo figlio sono sempre all’Olimpico: due tifosi speciali... « A Monaco non venivano quasi mai. E’ mio figlio a spingere perché è appassionato, per mia moglie è diverso. Da quando sono allenatore soffre di più, anche lei sente maggiore pressione » .Suo figlio Dylan ha intenzione di seguire le orme di papà?« L’ho iscritto alla scuola calcio, si diverte e la frequenta con piacere. Ha dieci anni e, per ora, la vive così: per lui giocare significa trovare anche nuovi amici e imparare la lingua » . Tre aggettivi che riassumono il personaggio Deschamps.« Onesto, disponibile e umile » . Ha cambiato la sua opinione su Moggi dopo calciopoli?« No, non l’ho sentito né visto, però nei cinque anni di Juve mi sono trovato bene con lui » .Ha sentito Zidane dopo la finale mondiale?« Non ci siamo sentiti. Probabilmente non ne avevamo neppure voglia » .Ha un modello di tecnico al quale si ispira?« Ho avuto la fortuna di avere allenatori piuttosto bravi. A qualcuno, come Lippi e Jacquet, mi sento più vicino, ma ho imparato anche da chi sbagliava. E ho potuto vedere diversi metodi di lavoro e di gestione umana » .Sarebbe un sogno imitare il primo ciclo di Lippi?« Non ho questa presunzione. Cerco di fare il meglio possibile però sarebbe davvero un sogno vincere tutto per di più in così poco tempo » .Qual è il segreto per superare i momenti difficili?« Evitare di mettersi in discussione. E’ il peggiore errore che uno possa compiere. In questi frangenti è meglio stringersi tutti insieme e aspettare che il momento passi » .Juventus subito in A. E poi? « Vogliamo la promozione al primo colpo e poi bisogna aspettare minimo tre anni per rivedere i bianconeri in Europa. Nella prossima stagione occorrerà valutare anche la situazione economica perché la squadra andrà rinforzata. Non si può non vedere la Juve che lotta per i primi posti in classifica » .Col Monaco è arrivato alla finale di Champions, con la Juventus la vincerà?« Eh, chi non vorrebbe vincerla, ma è un obiettivo troppo lontano » .Già, lei ha solo due anni di contratto.« Ho scelto di firmare un biennale per lasciare liberi me e il club. Ma sono io il primo a dire che mi piacerebbe aprire un ciclo vincente con la Juve » .