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DI CASA IN CASA I VECCHI MESTIERI AMBULANTI NEL VENETO di Frigotto Pier Paolo


PremessaPer non dimenticare: questo dovrebbe essere il titolo della presente pubblicazione dedicata ai mestieri ambulanti di un tempo, oggi quasi del tutto scomparsi. Un mondo di cose e di uomini, di mani e di gesti. Un mondo difficile da raccontare perché quello delle arti minori, dei contadini, è stato il mondo del silenzio: non ha mai parlato in prima persona, non ha mai sospettato che la sua storia potesse avere una qualsiasi importanza; un mondo che ha costruito oggetti ritenuti di nessun valore. E quei mestieri sono definitivamente passati insieme a coloro che li svolgevano.Scelto perché congeniale, conquistato attraverso l'intelligente applicazione delle proprie capacità oppure accettato per necessità, ogni lavoro si legava talmente all'individuo che lo praticava da metterne spesso in ombra i caratteri personali, cosicché il nome del mestiere sostituiva addirittura quello proprio. Ciononostante, pur trattandosi di attività considerate misere, ciascuno le viveva con una sua dignità che conservava anche quando era fatto oggetto di disprezzo o di pesante ironia: sebbene venisse considerato un porocàn e pur nelle quotidiane difficoltà, egli si sentiva padrone di sé e libero dentro un suo piccolo-grande mondo.Coloro che praticavano i mestieri di casa in casa venivano dai paesi vicini o da molto lontano, perfino da fuori regione; si spostavano a piedi, con rudimentali carretti trainati a mano o da un asino, talora servendosi semplicemente della bicicletta. Hanno girato per i nostri paesi e contrade fino a qualche decennio fa, alcuni rientrando a casa propria ogni sera, altri addirittura dopo molti mesi. Si annunciavano per lo più con un caratteristico grido di richiamo e avevano dei giorni o dei periodi dell'anno stabiliti nei quali apparivano, per vendere le loro merci, sovente prodotte da loro stessi, oppure per offrire piccoli ma indispensabili servigi di lavoratori intraprendenti, o anche soltanto per acquistare qualcosa.Non veniva mai negato loro un piatto di minestra e un pagliericcio per passare la notte al riparo dalle intemperie, anche perché non sempre c'erano i soldi per pagarli. Entravano nelle famiglie altrui per poter lavorare e mantenere la propria.Oltre alla presenza ricorrente in tutte le comunità di paese del prete, del medico e della comare, molte altre figure erano testimoni fedeli del "nomadismo lavorativo" nelle contrade. Si trattava di attività spesso accompagnate da stenti e povertà, ma senza ansia, fretta e nevrosi, come mostrano le rare, ma per questo ancor più preziose immagini giunte fino a noi: dai volti, dai movimenti della mano esperta, dagli oggetti prodotti si comprende che questi erano realizzati quando il tempo non contava, quando l'uomo aveva ampi spazi a propria disposizione per levigare, scolpire, limare, battere e intrecciare con fatica operosa e tenace. Un lavorare che non era soltanto sforzo o ripetitività meccanica, che non era eseguito con aria rassegnata; ma con la consapevolezza di chi possiede una tecnica per produrre oggetti durevoli e funzionali; un lavorare che conferiva un senso alla vita: era il solo modo per realizzare se stessi.Scriveva il filosofo francese Alain, uno dei padri del pensiero moderno: «In quanto al bello, so che esso non si è mai inventato fuori del lavoro, e che il mestiere e la materia vi hanno più parte di quello che il laboratorio di psicologia chiama gioco e ispirazione». Queste parole, scritte intorno al 1920, ci ammoniscono e ci rallegrano perché testimoniano il valore del nostro bagaglio antico ma non ancora antiquato, e delle radici da cui siamo nati.Nessuno vuol, mitizzare il proprio paese, la propria terra, storie dimenticate, oggetti popolari scomparsi. Ha poco senso esaltare il passato per sminuire il presente, celebrare il superstite, rimpiangerlo. Chi vorrebbe tornare al lume a petrolio ed al carretto trainato dall' asino? Dovremmo forse preferire un mondo arretrato, quasi primitivo?D'altra parte è un dato acquisito da tutti che i concetti di "arretratezza", di "cultura primitiva” sono assai relativi. Storici ed antropologi ci hanno fatto capire che possiedono una cultura anche quelli che un tempo si definivano «volghi dei popoli civilizzati» e che la Storia è storia di tutti gli uomini, non solo ed esclusivamente dei “grandi” .L’elogio dei vecchi mestieri ambulanti si colloca quindi all'interno di una cornice pudica: non siamo vittime di inutili nostalgie, ma non dobbiamo nemmeno essere dei nuovi barbari, che calpestano un immenso patrimonio di conoscenze e di esperienze.Tali mestieri sono stati suddivisi, nel presente lavoro, in quattro ambiti: quelli legati alla persona, alla casa, agli animali e ai campi. Per comprenderli e quindi descriverli si è dovuto fare un tuffo nel passato non indifferente, in un mondo chiuso in se stesso, in molti casi estremamente povero, con poche prospettive di lavoro, ma con tante certezze tradizionalmente tramandate all' ombra dei campanili.La nostra vita, oggi, è più lunga, più sana, più confortevole e più sicura: ne siamo debitori però ai rischi, agli azzardi, alle fatiche, alla creatività di chi, fedele al suo mestiere, costruì il mondo in cui ci muoviamo.Nessuna bellezza va perduta se la si sa ricordare e conservare. Anche la bellezza che fu dobbiamo saperla ereditare senza vanità, senza lacrime ipocrite, senza arroganza. Per questa ragione, le pagine che seguono vanno anche un po' meditate. Speriamo che, domani e dopodomani, qualcuno possa parlar di noi in identico modo, perché la continuità dell'uomo,  sola, è la garanzia della sua salvezza.