Serendipity

Sang-e sabur


Una camera piccola, rettangolare. Su un materasso rosso, davanti a una foto che lo ritrae a 30 anni, un uomo ormai vecchio, smunto, con un ago infilato al braccio destro.Sul suo petto la mano di una donna oscilla al ritmo del respiro di lui.Nell’altra, un rosario nero che lei sgrana lentamente. In silenzio, con vicino il Corano.Sono trascorsi 16 giorni da quando lui giace immobile colpito da un proiettile al capo.E lei deve far girare per 99 giorni 99 volte al giorno il rosario, pronunciando uno dei nomi di Dio se vuole sperare che avvenga un miracolo.Mentre lo cura, comincia a raccontare le sue frustrazioni. Le sue umiliazioni.Per gli afgani c’è una pietra che raccoglie tutte le pene che le si confidano e che, a un certo punto, disintegrandosi, libera chi è attanagliato dai dolori. Sang-e sabur: pietra di pazienza.E per lei il corpo del marito è ormai quella pietra che assorbe oggi tutto ciò che lei ha dovuto trattenere in sé.  Io credo che ognuno di noi cerchi la sua Sang-e sabur.A volte, come nel libro, la persona prescelta disgraziatamente è quella stessa che ci ha fatto del male.E continua a farcene, impedendoci di affrancarci da ciò che ci provoca. Perché l’immobilità diventa abitudine. Sorella. Complice.Ma c’è anche il territorio delle “pietre” inattese.Quelle che sono un dono perché non le abbiamo cercate e ci accolgono senza distruggersi. Lisciano la tovaglia prima che tu appoggi il piatto.Ti passano il sale, mentre hai le mani impegnate.Chiamano un minuto prima che tu abbia smesso di ciondolarti fra il “posso o magari…?”E non ti danno mai consigli perché sanno che sei impaurito ma anche testardo. E vuoi fare da te. Una carezza alla mia Sang-e sabur.A volte mi stupisco che non deflagri per quanto la costringo a sopportare.Ma è una pietra porosa, solida, fresca al tatto. Come i ciottoli levigati dall’onda.Che il tempo mi permetta di custodirla come lei protegge me. E mi ricordi che la gratitudine è uno dei volti dell'amore.