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Il Sud, il Sudismo e l'Unità d'Italia
Recentemente, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, si è avuto al Sud un risveglio dell'orgoglio sudista in netta contrapposizione al Risorgimento. Ma mi domando: Ci voleva il cento-cinquantennale dell'unità d'Italia per risvegliare questo fermento? Libri come Terroni di Pino Aprile, non sono una novità, i fatti del Risorgimento al Sud sono noti e sono stati pubblicati già da diversi lustri, a memoria di una "invasione" si, ma di una invasione sui generis in cui gli eserciti non hanno quasi combattuto e in cui l'"invasore" fu visto da molti come un liberatore dalla tirannide. Allora occorre interrogarsi sul perché ciò avvenne. Il vero male fu l'invasione oppure altro? Perchè i generali dell'esercito borbonico lasciarono campo libero a Garibaldi (rischiando anche l'esecuzione per tradimento qualora le cose fossero andate diversamente) e molti siciliani si unirono a lui e morirono per lui ? (tra questi anche un mio antenato, cugino del mio trisnonno che prese una pallottola per salvare Garibaldi e gravemente ferito alla mascella morì 1 anno dopo rifiutando la pensione, perchè "ciò che si faceva per la Patria non aveva bisogno di ricompensa"). Non fu per corruzione (o almeno non solo e non per tutti) ma per "speranza". Perché da sempre la Sicilia è stata la "spiaggia" per chiunque volesse invadere l'Italia? La mia opinione è che già a quei tempi il male del disinteresse della classe dirigente per il popolo fosse radicato nella terra di Sicilia cosi come nel Sud. Da sempre il popolo insoddisfatto è pronto ad accogliere a braccia aperte l'invasore, pensando che: "chiu scuru i menzanotti un po fari" (non può essere più buio di mezzanotte), quindi qualunque cambiamento non può portare che ad un miglioramento. Così non fu per l'unità di Italia, si passò dal dispotismo dei Borboni al Nordismo dei Savoia. Gli alti ideali di Mazzini e Garibaldi furono traditi e loro, i veri padri della Patria terminarono la loro vita in esilio, mentre l'Italia piemontizzata era nelle manine della più bassa delle monarchie europee: quella dei Savoia. Leggi a senso unico, depredarono il Sud delle sue casse pubbliche (con cui fu ripianato il debito pubblico del Piemonte) e delle sue migliori risorse sia materiali che umane. La Mafia prese campo anche grazie alla disponibilità di manodopera "qualificata" proveniente dal brigantaggio creato dall'iniquità delle leggi piemontesi. Il "cambiamento" sperato dai siciliani garibaldini, non aveva gattopardescamente cambiato nulla, perchè forse quello estirpato da Garibaldi non era il vero male della Sicilia. Non era e non è un problema chi sia il Re o il Presidente, il problema è l'inettidune della classe dirigente Siciliana! Lo è e lo è sempre stato! Non a caso l'unico periodo di sviluppo per la nostra terra si è visto nel periodo dal dopoguerra alla caduta del muro muro di Berlino, in cui per esigenze di guerra fredda si era puntato sull'integrazione nella classe dirigente siciliana (e non solo) delle migliori intelligenze dell'epoca. Finita questa priorità si è tornati velocemente alla antica vergogna. Con una classe dirigente per cui il basso quoziente intellettivo e la meschinità morale sono tornati ad essere fattori di merito. Dunque come vivere da siciliano fiero di esserlo i festeggiamenti per il "Risorgimento-invasione"? Io penso che sia un bene il "Risorgimento" inteso come rinascita del sentimento di dignità del Sud. L'orgoglio di essere meridionali consapevoli dei nostri errori e della nostra storia. Occorre imparare dal passato per trovare la forza e la capacità di creare una nuova classe dirigente supportata da siciliani e meridionali che vogliono affrontare da sé i propri problemi senza cadere nel "vittimismo piagnone" che è causa della nostra cattiva immagine. Non basta applicare lo Statuto dell'autonomia che già abbiamo, occorre che sia applicato da persone degne e capaci! Senza questo cambiamento interno ogni cambiamento sarebbe inutile: la storia ce lo insegna. Consapevolezza della nostra identità e comprensione dei nostri errori per non perpetuarli all'infinito. Nessuno ci può salvare dalla decadenza se non noi stessi! Come sostiene Marcello Veneziani (componente del comitato per i 150 anni e del Comitato Roma Capitale) le celebrazioni per l'unità d'Italia devono essere una occasione di confronto storico non negando la verità dei contrasti ed integrando dialetticamente e civilmente per ricordare le divisioni del passato e riflettere sul futuro. Un futuro che non sarà diverso dal passato e dal presente se non impariamo dai nostri errori e non ci attiviamo per estirpare il vero male del Sud.
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